MARCO BRESOLIN, La Stampa 4/7/2012, 4 luglio 2012
Privacy, gli Stati assediano Twitter - Censura e trasparenza. Anonimato e privacy. Nell’era del boom dei social network, dietro cui si celano profili di utenti più o meno «veri», le pressioni dei governi di tutto il mondo per svelare chi c’è veramente dietro un account crescono in maniera esponenziale
Privacy, gli Stati assediano Twitter - Censura e trasparenza. Anonimato e privacy. Nell’era del boom dei social network, dietro cui si celano profili di utenti più o meno «veri», le pressioni dei governi di tutto il mondo per svelare chi c’è veramente dietro un account crescono in maniera esponenziale. Twitter, il più famoso sito di microblogging, cerca di resistere, tentando di fare scudo alla privacy dei suoi utenti. Ma non sempre è possibile proteggere i cinguettii: sei volte su dieci la società è costretta a fornire i dati di chi (e da dove) ha scritto quei 140 caratteri incriminati. Seguendo la scia di quanto fatto nei mesi scorsi da Google, Twitter ha infatti pubblicato un report sulle «pressioni» degli Stati per avere le informazioni private degli utenti. Quasi 900 richieste soltanto nei primi sei mesi di quest’anno (849 per la precisione), circa 10 al giorno. Un dato che - secondo Twitter ha già superato quello relativo a tutto il 2011. «Se posti un tweet, è come gridare alla finestra, l’obiettivo non è di tenerlo riservato»: con queste parole Matthew Sciarrino, giudice del Tribunale di Manhattan, ha ordinato a Twitter di fornire tutti i dati relativi a Malcolm Harris, un attivista del movimento Occupy Wall Street accusato di essere tra i responsabili dei disordini avvenuti lo scorso anno sul ponte di Brooklyn. Di lui i giudici vogliono sapere tutto: dove si trovava prima e dopo gli incidenti, quanti e quali tweet ha inviato e, soprattutto, se attraverso i suoi messaggi ha incitato altri attivisti a provocare il caos in città. Al di là del caso specifico, la sentenza potrebbe fare giurisprudenza e rappresentare quindi un precedente che impedirebbe a Twitter di rifiutarsi di fornire le informazioni richieste. In questi primi sei mesi, soltanto il 63% delle richieste è andato a buon fine: negli altri casi Twitter le ha rispedite al mittente. Gli Stati Uniti dove il social network conta il maggior numero di utenti - sono il Paese più interessato a spiare «i tweet degli altri», con 679 domande da gennaio a giugno relative a 948 account. Nel 75% dei casi la richiesta è stata accettata. Ma sul secondo gradino del podio c’è il Giappone, che ha inoltrato 98 richieste per 147 diversi account. In questo caso, però, le percentuali sono invertite: otto volte su dieci Twitter ha negato l’autorizzazione. Maggiore persuasione da parte degli Usa oppure ingerenze fuori luogo da parte di Tokyo? Difficile trovare una risposta, fatto sta che Twitter - se non espressamente vietato dai procedimenti penali in corso cerca sempre avvisare i suoi utenti: «Attento, ti stanno spiando». In Europa il primato di Paese «spione» spetta al Regno Unito, con 11 richieste: soltanto due, però, quelle andate a buon fine. E l’Italia? Meno di dieci casi in questo semestre, anche se - visto il basso numero delle richieste - il dato esatto non è stato fornito per non compromettere le indagini. Nel report di Twitter sono incluse anche le richieste di rimozione di contenuti per violazione di copyright: 3.387 richieste relative a 5.874 utenti. Soltanto nel 38% dei casi, però, Twitter ha deciso cancellare i messaggi, le foto o i video «incriminati». Come dire: non mettete becco nei nostri cinguettii.