Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Facciamo un po’ di matematica. Da una parte mettiamo l’aumento dell’inflazione e dall’altra mettiamo l’aumento degli stipendi. Che cosa vediamo?
• Che cosa?
Che confrontando il marzo di quest’anno col marzo dell’anno scorso risulta che l’inflazione è aumentata del 3,3% e gli stipendi dell’1,2%. I dati vengono dall’Istat.
• Temo l’inizio di questa puntata. So già che saremo sommersi dai numeri. E senza essere neanche sicuri del significato da dare alla parola “inflazione”.
Per questa volta limitiamoci alla definizione più semplice. L’inflazione corrisponde all’aumento dei prezzi. Cioè in un anno i prezzi sono aumentati del 3,3% e gli stipendi dell’1,2%. Quindi se lei con il suo stipendio l’anno scorso comprava cento cose, quest’anno ne compra novanta. Gli economisti chiamano questo «diminuzione del potere d’acquisto», cioè lei può acquistare meno di prima. Se lei acquista meno di prima vuol dire che i commercianti vendono meno di prima. E che i produttori producono meno di prima. Insomma è un altro modo per rappresentare la crisi. La gente ha meno soldi, compra meno e fa cadere la domanda.
• Che si può fare?
Ho visto un sottile ragionamento sul sito di un grande giornale, che non nomino per carità di patria (non si tratta comunque del “Corriere della Sera”). Questo grande giornale ha preso una tabella di Eurostat da cui risulta che nei paesi in cui gli stipendi sono più alti, è anche più bassa la disoccupazione. Per esempio, la Norvegia che paga mediamente i lavoratori 44,2 euro l’ora ha un tasso di disoccupazione di appena il 3,3%. Noi invece, che sborsiamo per un’ora di lavoro mediamente 26,8 euro, abbiamo il tasso di disoccupazione all’8,90. Scorrendo tutte le voci si scopre che, effettivamente, i due dati stanno tra loro in proporzione inversa: più alti gli stipendi più bassa la disoccupazione. Quindi, ne deduce il grande giornale, per combattere la disoccupazione bisogna aumentare gli stipendi. Non è fantastico?• Invece…?
Ma scusi, è chiaro che dove l’economia è più forte, dove le lobbies non paralizzano il paese (tra le lobbies io metto pure i sindacati, Confindustria compresa), dove la corruzione è a livelli fisiologici, dove la burocrazia è meno asfissiante e più efficiente, è chiaro che in questi paesi le aziende guadagnano di più, quindi pagano meglio e dànno lavoro a più persone. Si tratta di effetti, cioè, che dipendono tutti dalla stessa causa: non sono gli stipendi più alti ad aver sconfitto la disoccupazione, ma stipendi più alti e meno disoccupazione sono, tutti e due, il risultato di un sistema che funziona.
• Ora le dico questo: e se il guaio in cui ci troviamo dipendesse dall’euro? Cominciano a pensarlo in parecchi: in Francia un elettore su tre ha praticamente votato contro la moneta unica. In Olanda il governo è caduto sul problema se fare o no i sacrifici che pretende la Merkel. Che accadrebbe se si votasse adesso in Italia sull’unità europea? Ho l’impressione che saremmo molto meno entusiasti di un tempo.
È possibile. Ed è anche vero che dall’unificazione monetaria ha guadagnato più di tutti la Germania. Costretti alla stessa valuta dei tedeschi, i paesi economicamente più deboli non hanno più potuto difendersi col sistema delle svalutazioni, cioè abbassando i prezzi per conquistare i mercati. Ho letto proprio ieri che la Germania conta di raddoppiare le sue esportazioni verso la Cina entro il 2015! Però è anche vero che a Berlino hanno fatto le riforme che oggi lo rendono tanto competitivo dieci anni fa. Mentre noi siamo rimasti fermi alle nostre vere, care logiche concertative di una volta, con i partiti che hanno cambiato nome ma che presentano sempre le stesse facce, dilettantismo, malavita, impreparazione generale eccetera eccetera. E poi non creda: prima dell’euro pagavamo tassi sul debito anche del 6% e se avessimo continuato così la bancarotta sarebbe arrivata da un pezzo. Voglio dire: abbiamo incassato anche noi il nostro dividendo dalla moneta unica.
• È un fatto che se gli stipendi non pareggiano nemmeno l’aumento dei prezzi siamo destinati a sprofondare sempre di più…
Bisognerebbe mettere soldi nelle tasche degli italiani, facendogli venire la voglia di comprare, stimolando quindi la domanda e con la domanda la produzione. Sa però che cosa c’è? Che l’eta media degli italiani è sempre più alta e non sono i vecchi a sentire il bisogno di comprare le cose, ma i giovani. Bisognerebbe che ci fossero più giovani e che crescesse il tasso di desiderio della popolazione. Come si fa? I giovani che non abbiamo fatto nascere in questo mezzo secolo dovremmo adesso farli venire dall’estero… Ma francesi e olandesi, contrari alla moneta unica, non vogliono neanche nessuna apertura al resto del mondo. E noi su questo punto, adesso che la Lega si sta squagliando, come la pensiamo?
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 25 aprile 2012]