Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 25/04/2012, 25 aprile 2012
CALLIGRAFIE ARABE. SEGNI D’ARTE TRA CIELO E TERRA
Tra i cinquantasette artisti che espongono le loro opere nella mostra «Riflessioni dal cielo, meditazioni in terra: arte moderna calligrafica del mondo arabo» (patrocinata dalla regina Rania di Giordania, promossa da Roma Capitale e aperta fino al 10 giugno ai Mercati di Traiano), dieci si sono formati in Italia, sette sono donne. Sembrano due informazioni di poco conto. Invece sono importanti per capire il senso dei lavori, basati sull’ arte calligrafica, un movimento nato tra gli artisti di diciotto paesi di cultura islamica a metà del Novecento. Anche se le sue vere origini risalgono a quindici secoli fa, quando la scrittura araba diventò una forma artistica autonoma, con proprie regole, classificazioni e varianti. Fu allora che il mondo islamico - anche sotto la pressione delle norme che proibivano la riproduzione della figura umana - adottò le belle lettere nelle decorazioni di palazzi e moschee, producendo quell’ insieme di ghirigori, forme vegetali stilizzate, motivi geometrici e versetti del Corano o di classici della letteratura, noti nella nostra lingua col termine di arabeschi. Famosissimi quelli che ricoprono le pareti dell’ Alhambra a Granada. Nei primi decenni del secolo scorso avviene una svolta storica tra gli artisti adesso ospiti ai Mercati di Traiano: abbandonano la tradizione per rivolgersi all’ estetica occidentale. Vanno a studiare nelle accademie inglesi, francesi e italiane e si avvicinano alla pittura da cavalletto, alla prospettiva tridimensionale, alla figurazione. Così per cinquant’ anni. Gli influssi delle avanguardie europee si ritrovano infatti più forti negli artisti che hanno cominciato a lavorare prima delle seconda guerra mondiale, come l’ iracheno Shakir Hassan Al Said, le cui tavole presentano un astrattismo a grandi campiture di colore con graffiti appena accennati di lettere. O Jamil Hammoudi, iracheno anche lui, che nel dipinto «Le persone sono uguali fra loro come denti di un pettine», rende una sentenza di Maometto con caratteri calligrafici tracciati in puro stile futurista. Mentre i segni vigorosi dell’ egiziano Mohammad Taha Hussein riecheggiano astrattismi della scuola tedesca, che l’ artista ha frequentato negli anni Cinquanta. Fu una donna, Madiha Omar (nata nel 1908, morta nel 2005) a recuperare per prima l’ arte calligrafica araba, ma in uno stile nuovo, che comprendesse anche la pittura e la scultura. La sua opera in mostra, «Evoluzione della mim», interpreta chiaramente il suo obiettivo. La mim è una lettera dell’ alfabeto arabo. L’ artista la prende a ispirazione di un’ arte astratta e simbolica, riducendola al suo contorno essenziale e liberandola dai confini del significato. L’ acquerello su carta, qui esposto, risale al 1947, proprio all’ anno in cui Madiha elaborava la sua teoria. Cresciuta tra gli arabeschi degli edifici islamici in Siria, Turchia e Iraq, si trasferisce nel 1944 negli Stati Uniti. Nel 1949 presenta alla biblioteca pubblica di Washington la sua prima mostra di opere d’ arte calligrafiche islamiche moderne. Una decina di anni più tardi, la consapevolezza del valore della calligrafia nell’ arte plastica raggiunge altri artisti islamici a Parigi, Beirut, Khartum, Baghdad, Teheran. Ognuno di loro comincia a inserire lettere dell’ alfabeto nei propri quadri. Ognuno lavora completamente isolato dai suoi contemporanei, pensando di essere l’ unico ad aver intrapreso un nuovo percorso. Il movimento acquista slancio negli anni Sessanta, raggiunge il culmine negli Ottanta e si esaurisce all’ inizio dei Novanta, sostituito da forme artistiche tendenti al realismo e alle rappresentazioni figurative. Ad inquadrare gli artisti calligrafici ci ha pensato la principessa giordana Wijdan Al Hashemi, pittrice e storica dell’ arte che presenta in mostra anche una sua suggestiva installazione di rotoli in carta di gelso giapponese, carta di riso cinese e carta di cotone indiana. Wijdan ha riunito questi artisti in quella che lei chiama la Scuola calligrafica, suddividendoli in gruppi tematici (dal sacro al profano, dal socio-politico al letterario, al decorativo) e stilistici (calligrafia pura, astratta, combinazioni). Come spiega nel catalogo che accompagna l’ esposizione.
Lauretta Colonnelli