Angelo Aquaro, la Repubblica 25/4/2012, 25 aprile 2012
Dai piatti in tavola alle taglie, dall´urbanistica ai voti a scuola. Siamo nella società della "panflazione"
Dai piatti in tavola alle taglie, dall´urbanistica ai voti a scuola. Siamo nella società della "panflazione". Cioè l´inflazione del mondo che ci sta intorno – No, se riuscite a infilarvi ancora nella stessa taglia di jeans che portavate vent´anni fa, non illudetevi. Non è vero che siete in forma come allora: è che le taglie non sono più quelle di una volta. Altro che diete e palestra e tutto il resto: tu chiamala, se vuoi, "panflazione". L´inflazione di tutte le cose. Ovverosia quel meccanismo perverso per cui il mondo che ci circonda sta diventando sempre più grande. Un mondo Big Size: dalle taglie dei jeans alle camere d´albergo passando per i tranci di pizza. E, certo, i voti a scuola. Le misure dei vestiti? Uno studio inglese ha scoperto che la taglia media dei pantaloni da donna, che a Londra è la 14, dagli anni Settanta a oggi si è miracolosamente allargata di 4 pollici. Così quella che una volta era una 14 oggi equivale a una taglia 18. Ci stanno sostanzialmente ingannando: illudendoci di vestire come allora. Il guaio è che con l´inflazione delle taglie - detta non a caso anche "vanity sizing" - viene stravolto pure il nostro senso della realtà. Un signore che sarebbe per esempio XXL, extra extra large, e scopre di poterci stare invece nella XL, o addirittura nella large, beh, che incentivo potrà avere a dimagrire? Non è solo questione di "grasso è bello", o meno. L´obesità, come l´America dimostra con un terzo della popolazione sovrappeso, è un´epidemia sociale: e i costi sanitari poi vanno divisi per tutti. La panflazione è un neologismo con cui l´Economist ha provocatoriamente lanciato l´allarme sui «pericoli della svalutazione di ogni cosa». Ma perché piccolo oggi non è più bello? L´inarrestabile corsa verso porzioni sempre più grandi per la verità fu già teorizzata da Jeremy Bentham: la felicità che un singolo percepisce da una sterlina in più decresce con il numero di sterline che quella persona continua a possedere - motivo per cui i ricchi vogliono diventare sempre più ricchi. Nell´Inghilterra di due secoli fa il vecchio Jeremy utilizzò la teoria per predicare la ridistribuzione del reddito. Inutilmente: da allora i soliti ingordi non hanno pensato che a dilatare la torta. Qui negli States proprio la disponibilità delle risorse è stata evocata come antidoto a ogni ridistribuzione. Era un modo di dire: in America è tutto più grande. Big Size! Strade più larghe, auto più grandi, palazzi più alti. Ma non era solo un mito. Qui c´è sempre stata una Nuova Frontiera: e la disponibilità degli spazi ha prodotto - per la gioia dei razionalisti - le case enormi e le città allargate che giusto mezzo secolo fa Jane Jacobs indicò tra le cause della cattiva socializzazione nell´ormai classico "The Death and Life Of Great American Cities". Solo la Grande Recessione - oh yes, grande anche quella - ha portato a costruire case un tantino più piccole. Ma se dal 2007 al 2010 l´appartamento medio ha perso poco meno di 10 metri quadri, il rapporto con il resto del mondo resta gigantesco. Gli americani vantano ancora una media di 80 metri quadri a testa di calpestabilità: in Italia è meno della metà, cioè 37. Oggi, poi, il problema si è ulteriormente ingrandito: la panflazione è accusata di "distorsione del mercato" perché sconvolge i parametri. La tazza di caffè più piccola da Starbucks - il bar anche qui più grande del mondo, 20mila negozi in tutto il pianeta - si chiama "tall": vuol dire alta, grande. E se cercate un trancio di pizza "small", piccolo, non lo troverete mai: si parte da "regular", poi "large" e "very large". Qui il meccanismo psicologico è inversamente proporzionale a quello delle taglie. Presentare un trancio "piccolo" e farlo pagare una cifra non si può: sapere invece che per quel prezzo ci stiamo pappando una porzione "regular" ci rassicura. «È il vecchio effetto framing», spiega Benedetto De Martino, esperto di neuroscienze e ricercatore di psicologia alla City University di Londra. È il fenomeno scoperto da Daniel Kahneman già una ventina d´anni fa: presentare la stessa opzione sotto una diversa cornice - framing - altera le decisioni che prendiamo. Un altro esempio? Le stanze degli alberghi. Quelli più raffinati, quei boutique hotel ora di moda, non offrono più camere "standard". Il nuovo "standard" si chiama "deluxe": poi si sale a "luxury", "superior luxury" e così via. Perfino i resort hanno gonfiato le stellette: 5 non bastano, adesso ci sono i complessi a 6, 7, 8 stelle. Di più. Molte compagnie aeree hanno abolito la parola "economy". Se voliamo British Airways ci accomodiamo in "World Traveller": siamo o non siamo viaggiatori del mondo? Se voliamo AirFrance la categoria è chiamata "Voyageur": che fa comunque chic. Alitalia non soltanto ha trasformato patriotticamente la business in "Magnifica": probabilmente conscia di farci viaggiare a prezzi non proprio economici, ha ribattezzato la "economy" in "Classica" - e in un trionfo di effetto framing ora offre anche la "Classica Plus". Messa così, la panflazione sembrerebbe l´ennesima trama per farci consumare di più, e più felicemente. Ma non basta. Diamo un´occhiata a quello che sta succedendo a scuola. Gli studenti saranno pure diventati più bravi: ma anche gli insegnanti di manica più larga. Uno studio della Durham University ha calcolato che il voto "A" di oggi equivale al voto "C" degli anni Ottanta. Chiosa l´Economist: l´inflazione dei voti gratificherà certamente gli studenti ma l´impossibilità di sfondare il tetto più alto (non c´è vita oltre il 10 e lode) comporta una "compressione" dei giudizi, e quindi una distorsione del valore. Risultato: non solo il voto dei più brillanti è svalutato perché la media si è alzata, così diventa più difficile per i datori di lavoro identificare i più bravi. Anche il fenomeno dei bravi tutti ha naturalmente la sua brava spiegazione psicologica: sempre firmata Kahneman. "Loss aversion" è quel meccanismo che ci spinge a contenere le perdite (a scuola le insufficienze) piuttosto che scommettere sui guadagni: ma l´ineludibile conseguenza è l´appiattimento dei giudizi. Siamo dunque condannati al gigantismo? Il marketing da una parte e la psicologia dall´altra ci terranno prigionieri della panflazione? La neuroscienza ha dimostrato che l´ipotesi psicologica ha più che un fondamento. Tra "effetto framing" e "loss aversion", ad accendersi è sempre l´amigdala: quella parte del cervello che regola le reazioni emotive. Però sempre il nostro De Martino sospetta che l´allarme sia eccessivo. Spesso, suggerisce, il timore dei comportamenti emotivi nasconde altri tipi di preoccupazioni. Ma leggi e leggine dell´economia più spregiudicata crollano come un castello di carte, se non postuliamo più la razionalità completa dell´uomo e dei mercati: facendo crollare anche l´idea - tanto cara agli ultrà liberisti - dell´inutilità delle azioni correttive. Lo grida finalmente anche Ian Tattersall, direttore di antropologia del Museo di storia naturale di New York, nel suo ultimo "Masters of the Planet: The Search for Our Human Origins": «Per quanto si decanti la nostra razionalità, noi non siamo esseri interamente razionali. E grazie a Dio: se i nostri cervelli fossero disegnati come macchine sarebbero, appunto, macchine». Confrontarci con l´irrazionale che è in noi, insomma, può essere, al contrario, salutare: aiutandoci a vivere meglio. Sì, la panflazione sta ingigantendo un mondo che nella realtà è diventato invece sempre più piccolo: come la globalizzazione e il villaggio dei media insegnano. Ma quando, strizzati nella nostra vecchia/falsa/nuova taglia di jeans, ci compiaciamo di fronte allo specchio, forse stiamo soltanto rispondendo all´ennesima spinta dell´evoluzione naturale. Che, come si sa, è basata su quella legge chiamata adattamento: e perché no, anche delle taglie?