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 2012  aprile 25 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. FINMECCANICA AVREBBE PAGATO UNA TANGENTE DI DIECI MILIONI DI EURO ALLA LEGA


ARTICOLI USCITI SUI GIORNALI DI OGGI.
CORRIERE DELLA SERA
CRONACA DI FIORENZA SARZANINI
NAPOLI — L’affare degli elicotteri in India sarebbe stato chiuso grazie all’attività di corruzione svolta dai due mediatori stranieri. Personaggi che godevano della massima fiducia di Giuseppe Orsi, all’epoca amministratore delegato di Agusta Westland. Proprio lui, questa è l’accusa, avrebbe autorizzato la creazione di «fondi neri» poi utilizzati per versare tangenti agli esponenti politici di New Delhi e per finanziare i partiti italiani, «soprattutto la Lega». Per questo il manager che adesso guida Finmeccanica è indagato per corruzione internazionale e riciclaggio, gli stessi reati contestati ai due «procacciatori». Per questo dovrà chiarire ogni passaggio della trattativa che nel 2010 portò alla vendita dei 12 mezzi «AW 101» al governo indiano per circa 560 milioni di euro.
I controlli sui contratti
e sui bilanci
L’inchiesta avviata dalla Procura di Napoli è al punto di svolta con il coinvolgimento del vertice della holding specializzata in sistemi di difesa. E altre novità potrebbero arrivare nelle prossime ore, con l’identificazione del secondo intermediario conosciuto finora soltanto con una falsa identità. Ma anche grazie all’esame dei documenti contabili acquisiti nelle settimane scorse presso la sede di Agusta Westland e in altri uffici di Finmeccanica e affidati al controllo di un consulente nominato dalla Procura.
Il suo compito è quello di esaminare i bilanci e i contratti per rintracciare eventuali altre «provviste» create per scopi illeciti. Ma anche per individuare gli affari che potrebbero nascondere accordi illeciti stipulati dagli stessi manager per ottenere una «cresta» personale, come del resto era già stato accertato in inchieste condotte da altri uffici giudiziari.
Il mediatore britannico
dal nome falso
Negli atti acquisiti dai magistrati di Napoli è indicato come Christian Mitchell, ma non sarebbe questa la vera identità dell’uomo scelto da Orsi per distribuire i soldi ai politici italiani. Il suo ruolo era tratteggiato in una lettera inviata qualche mese fa ai pubblici ministeri, il resto lo ha raccontato Lorenzo Borgogni, l’ex responsabile delle relazioni istituzionali del Gruppo, diventato testimone chiave dell’inchiesta. Secondo le dichiarazioni verbalizzate dal manager — che ha dato le dimissioni poco dopo la sostituzione di Pier Francesco Guarguaglini alla guida della holding — Orsi avrebbe deciso di utilizzare due consulenti esterni al gruppo per creare «fondi neri» e poi smistare le tangenti. E uno sarebbe proprio Mitchell.
In queste settimane i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Francesco Curcio e Henry John Woodcock hanno cercato di rintracciarlo, ma poi hanno scoperto che si trattava di un nome falso. Nelle ultime ore i carabinieri del Noe avrebbero però imboccato una buona pista per identificarlo. Il suo ruolo viene ritenuto fondamentale per ricostruire che cosa è accaduto dopo la sigla del contratto indiano. Secondo quanto ricostruito da Borgogni è proprio in questa seconda fase del negoziato che Orsi avrebbe autorizzato la distribuzione in Italia dei soldi ottenuti con la sovraffatturazione. E i destinatari sarebbero esponenti del Carroccio. I reati ipotizzati al momento dell’iscrizione nel registro degli indagati riguardano soltanto il sospetto del pagamento di tangenti all’estero, così come ricostruito da Borgogni. Nessuna contestazione specifica è stata invece fatta sul finanziamento ai politici italiani perché su questo sono ancora in corso le verifiche ed eventuali iniziative potranno essere prese soltanto al termine dei controlli su tutta la documentazione acquisita in Svizzera.
I compensi
dello svizzero
Alla creazione della «provvista» fuori dal bilancio ufficiale avrebbe provveduto — secondo l’accusa — Guido Ralph Haschke, l’ingegnere svizzero specializzato nel procacciamento di affari in India da anni consulente di Agusta e di altre aziende di Finmeccanica, che i magistrati hanno perquisito due giorni fa. Secondo quanto raccontato da Borgogni, il suo compenso da 51 milioni di euro nascondeva in realtà i dieci milioni che invece sarebbe poi stati distribuiti in Italia. Non solo. Lo svizzero avrebbe avuto anche il compito di pagare le tangenti ai politici indiani che avrebbero dato il via libera all’affare.
Durante i controlli effettuati in sede di rogatoria nelle sedi della «Gadit GA» di Lugano e in altre dieci società che fanno capo allo stesso Haschke sono state acquisite le copie dei contratti stipulati negli ultimi anni, ma anche i documenti che consentono di ricostruire le movimentazioni finanziarie del professionista. La normativa elvetica prevede che l’indagato possa opporsi all’acquisizione degli atti e Haschke l’ha fatto di fronte ai magistrati. Questo non ha impedito che fossero portati via i fascicoli che custodiva nelle sedi delle sue aziende, ma nei prossimi giorni le autorità svizzere decideranno quali atti trasmettere ai colleghi italiani.
I contratti
sui voli
Tra le attività svolte da Haschke per conto di Finmeccanica ci sarebbe stato il procacciamento delle cosiddette compensazioni industriali. In sostanza il governo indiano avrebbe investito soldi nell’acquisto dei 12 elicotteri modello Vip dopo aver ricevuto la garanzia di investimenti che altre aziende italiane avrebbero effettuato negli anni successivi. Non solo. Secondo quanto emerso sino ad ora, quello con Agusta Westland non sarebbe l’unico contratto con la holding ottenuto dall’ingegnere di Lugano e adesso si sta cercando di ricostruire tutti gli altri affari esteri agevolati grazie alla sua mediazione.
Questa attività potrebbe essere svolta in collaborazione con le autorità di New Delhi che un paio di mesi fa hanno comunicato di aver avviato un’indagine proprio per verificare il pagamento di tangenti e il rispetto della normativa anche su altri aspetti della vicenda. In India è vietato il ricorso a intermediari quando si trattano contratti nel settore militare e dunque l’impiego di Hasckhe e di Mitchell — certificato dall’inchiesta giudiziaria — rischia di pregiudicare la possibilità per Finmeccanica di ottenere nuove commesse o comunque eventuali trattative con il governo di quello Stato.

LA DIFESA DI ORSI
DI ANTONELLA BACCARO
ROMA — La linea scelta da Giuseppe Orsi, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, non è nuova: negare ogni addebito. Anche ieri, mentre si diffondeva la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, a piazza Montegrappa una riunione con i legali è servita a stendere l’ennesimo comunicato di smentita: il terzo dall’insediamento di Orsi, nel dicembre 2011.
Le notizie circa presunte tangenti pagate per assicurarsi la fornitura di 12 elicotteri al governo indiano, risalenti a due anni fa, quando Agusta Westland era guidata da Orsi, avevano cominciato a diffondersi alla fine di febbraio. La prima smentita fu secca: «Finmeccanica non è coinvolta in nessuna irregolarità». Ma già a metà aprile, di fronte all’allargarsi dell’inchiesta, con l’apertura di un filone-Panama e del caso Reguzzoni-Lega, la questione veniva esaminata con più dovizia. Il secondo comunicato chilometrico avrebbe dovuto fugare ogni dubbio e mettere il manager nelle condizioni di guidare il gruppo all’approvazione di un bilancio assai difficile addebitabile al predecessore: Pier Francesco Guarguaglini.
Ieri il terzo comunicato è giunto nelle redazioni alle 16.30, dopo un’ora esatta è arrivata la notizia dell’apertura dell’indagine a carico di Orsi. Ma intanto l’azienda aveva già messo agli atti la propria posizione. Primo: «Né Agusta Westland né Finmeccanica hanno corrisposto alcuna tangente alla Lega Nord». Secondo: «Agusta Westland non ha commesso alcun tipo di irregolarità né pagato commissioni di alcun genere per la vendita di elicotteri AW101 al governo indiano, come una recente indagine del ministero della Difesa indiano ha confermato». Terzo: «Il Dottor Lorenzo Borgogni, le cui dichiarazioni “per sentito dire” sembrano essere alla base delle iniziative giudiziarie, ha lasciato Finmeccanica su richiesta della società. Le “consulenze” per milioni di euro ammesse dal dottor Borgogni, pagate anche da fornitori di Finmeccanica, erano in palese contrasto con il codice etico di Finmeccanica».
È la prima volta da quando si è insediato Orsi che viene nominato quello che è stato il «braccio destro» di Guarguaglini. La presa di distanza da Borgogni è totale anche perché per ora è sulle sue affermazioni che si regge tutto l’impianto accusatorio. Tra Orsi e l’ex responsabile delle Relazioni esterne i rapporti sono sempre stati difficili, dal momento che il primo aveva fatto di Agusta Westland un proprio feudo personale, l’unico dal quale Borgogni era rimasto tagliato fuori. «Finmeccanica ha dato incarico ai propri legali di valutare, in relazione alle dichiarazioni del dottor Borgogni, le azioni ritenute necessarie alla tutela dei propri diritti e al ristoro dei gravi danni subiti e subendi» è la sfida finale. Il 3 maggio intanto è convocata l’assemblea che dovrà approvare i conti del primo trimestre 2012 e qualcuno si chiede se il governo interverrà in qualche modo per mettere a riparo l’azienda dalla bufera giudiziaria.
Intanto è Massimo D’Alema (Pd) a pronunciarsi sulla vicenda per dire che «il governo deve intervenire per evitare lo smantellamento di Finmeccanica e Fincantieri e per garantire il rilancio dei settori produttivi del nostro Paese».
Antonella Baccaro

LA DIFESA DELLA LEGA
DI MARCO CREMONESI
MILANO — Il Carroccio si ribella: «Il coinvolgimento della Lega nell’affaire Finmeccanica, semplicemente, non esiste. Anzi, io non credo proprio che esista un affaire Finmeccanica». Parola di Roberto Maroni. Mentre Umberto Bossi torna alle inchieste sull’ex tesoriere Francesco Belsito e ribadisce la sua convinzione: «Era tutto preparato. Dite di no? Mah... Basta vedere. Tre procure insieme, non si era mai visto. Napoli, Reggio Calabria, Milano si mettono insieme per vedere le cose dentro la Lega. Figurati un po’». Il presidente padano si scalda: «Evidentemente qualcosa non quadra... oppure è un Paese di merda. Paese in cui a Reggio Calabria avanzano il tempo di pensare alle beghe della Lega, con tutta la mafia che hanno. Questa roba puzza...».
Roberto Maroni, ieri mattina, leggendo i giornali ha fatto un balzo sulla sedia. Tutti i giornali parlano di «tangenti alla Lega» in relazione alla vicenda Finmeccanica. Lui, il neo triumviro, in più di un’occasione aveva detto di «non credere ai complotti». Semmai, il problema era ed è la stampa: «Qui abbiamo un tizio (l’ex responsabile della comunicazione di Finmeccanica Lorenzo Borgogni, ndr) che sostiene di aver sentito dire che è stata pagata una tangente per i partiti. "Anche per la Lega?" gli chiedono, e lui conferma. Per i giornali, diventa la tangente della Lega. Ma perché?».
Di più. In mattinata, raccontano gli amici dell’ex ministro dell’Interno, Maroni era anche indignato per i tentativi di tirare il suo nome in vicende tutte da verificare: «Adesso — avrebbe confidato — sembra che Orsi lo abbia designato io. Noi eravamo d’accordo, certo: era un esponente del nostro territorio che andava alla testa di una multinazionale. Ma non dimentichiamo che lui è sempre stato assai più vicino a Casini e all’Udc. Per tacer di Bersani, piacentino come lui e suo buon amico». Inoltre, Orsi era «all’interno di una terna, tutta interna al gruppo, da cui poi è stato scelto dal ministro all’Economia». Maroni, a sentire chi gli è vicino, resta in ogni caso assolutamente «convinto dell’estraneità di Orsi a quanto gli viene contestato. Tutto è basato su quanto afferma uno che proprio da Orsi è stato cacciato». Eppure, quel che fa storcere il naso all’ex ministro — che ieri avrebbe sentito per telefono lo stesso Orsi — è il tentativo di accostarlo a vicende in cui non c’entra: «Dicono che le nostre famiglie si frequentano — avrebbe detto —, alludono a chi sa quali relazioni. La verità è che io Orsi non l’ho mai incontrato neppure al ristorante, ma soltanto in occasioni aziendali».
Peraltro, come ha ricordato ieri sera a Como Umberto Bossi, chi nella Lega si occupava di nomine e designazioni era Roberto Giorgetti, il segretario uscente della Lega lombarda. Uomo, secondo Bossi, lontanissimo da «tangenti e cose del genere. Io non penso proprio che ci siano state tangenti. Lì, di solito, lavorava Giorgetti, che è un pretino. Di lui sono ultrasicuro. Se gli avessero dato delle tangenti, lui gliele riportava indietro». Un riferimento al rifiuto di denaro offerto a suo tempo dal patron della Banca popolare di Lodi Gianpiero Fiorani. Il nome di Giorgetti già nel luglio scorso era apparso sulla stampa quale referente del Carroccio nelle designazioni in Finmeccanica.
E intanto, Umberto Bossi sta meditando qualcosa. Un ritorno all’indipendentismo, sia pure in forma diversa dalla secessione lanciata nel 1996. A chi gli chiedeva delle politiche 2013 («Non si è mai votato ad ottobre, però vediamo, non dico niente in questo momento...») ha risposto duro: «Per la lega è stato un errore andare a Roma». E poi, con convinzione: «Spero sempre che nessuno vada più a fare il deputato a Roma, compreso me». E dunque, quel che Bossi annuncia è «la guerra, la battaglia per la libertà del Nord che, dopo tanti anni di Italia e di Roma, ne ha piene le scatole e vuole l’indipendenza».
È assai probabile che di questi argomenti Bossi parlerà il Primo maggio, data per la quale è stato fissato un «Lega unita day» a Zanica, nella Bergamasca. Bossi all’evento ha accennato ieri: «La Lega aveva un grosso difetto, si era divisa: mai dividersi in battaglia perché lo Stato si infila dentro». E, appunto, c’è chi è pronto a scommettere che il discorso di Bossi riguarderà l’indipendenza, rilanciata anche dalla Padania oggi in edicola. Resta da capire quanto il capo in pectore Roberto Maroni possa apprezzare un programma neo secessionista.
Marco Cremonesi

TUTTI GLI INTRECCI DEL CARROCCIO VOLANTE
DI M.CRE.
MILANO — Leghisti, popolo di aviatori. Finmeccanica, si sa, nel Carroccio è sempre stata considerata un po’ di casa: dei 70 stabilimenti italiani del colosso aerospaziale, quelli lombardi non sono certo i meno rilevanti: dalla sede legale di Alenia Aermacchi a Venegono superiore ad Agusta Westland di Cascina Costa a Samarate, entrambe nel Varesotto, alla bresciana Oto Melara fino alla Selex di Nerviano, nel milanese. In tutto, 7.109 dipendenti sui 40 mila del gruppo in Italia. Nel cda, siede Dario Galli, il leghista che guida la Provincia di Varese.
Eppure, le relazioni con il mondo aeronautico sono assai più ramificate di quel che potrebbe suggerire la sola contiguità territoriale con grandi aziende del settore. Si prenda, per esempio Giuseppe Leoni. Il senatore che nel 1984 fondò la Lega con Umberto Bossi e Manuela Marrone — ed è tuttora comproprietario del marchio con Alberto da Giussano insieme a Bossi e alla di lui moglie Manuela Marrone — è dal 2002 alla testa dell’Aero club d’Italia, prima come presidente, poi come commissario. Prorogato nel luglio scorso dall’allora ministro all’Ambiente Altero Matteoli. Il club non è un sodalizio di amatori. Si tratta di un ente di diritto pubblico che riunisce le associazioni di appassionati, tiene gli albi dei velivoli ultraleggeri, organizza i corsi per i piloti. È una sorta di Pra del mondo dell’aviazione amatoriale. Va detto che i suoi associati ogni tanto si ribellano al pugno di ferro del parlamentare di Gallarate, che tra l’altro ha di fatto paralizzato tra le polemiche la scuola di elicotteri di Lugo di Romagna, il paese di Francesco Baracca: lui, il leghista con il papillon, avrebbe voluto spostare la storica scuola a Milano.
Eppure, fino a oggi, Leoni è riuscito a rimanere in sella. A dispetto di un certo sprezzo per il buongusto: nel 2010 il ministro Matteoli pagò all’aeroclub 18 monoplani che dal cattolicissimo Leoni furono battezzati con nomi di ministri e politici del centrodestra. C’era l’I-Cald dedicato a Roberto Calderoli, l’I-Rmar per Roberto Maroni, l’I-Gitr per Giulio Tremonti, un I-Noel che fa pensare al nome di Leoni al contrario e, manco a dirsi, un I-Umbe dedicato al capo padano. Che oggi, tuttavia, non esiste più: è precipitato sulle Dolomiti nei pressi della cima dei Tre Scarperi. Portando via con sé le vite di un ex assessore leghista di Pordenone, Claudio Rosset, e della compagna Michela Marconi.
Ma Leoni non è l’unico leghista nell’Aero club. Azzerato il cda, resta soltanto il collegio dei revisori. Uno dei quattro componenti si chiama Pier Luigi Arnera ed è il sindaco di un paese dell’alessandrino, Sezzadio. Ma anche il direttore generale della Padania, il giornale del movimento.
La passione per il cielo non è solo di Leoni. Presidente della Sea, la società che gestisce Linate a Malpensa, è Beppe Bonomi, avvocato e manager di sicura fede leghista, che tra il 2003 e il 2004 fu anche alla testa di Alitalia. Bonomi guidò la spa aeroportuale tra il 1997 e il 1999, gli anni del lancio di Malpensa 2000, l’aeroporto che si sognò hub. Il curriculum di Bonomi continua con la guida, tra il 2004 e il 2006, di Eurofly. Nel 2006, il sindaco di Milano Letizia Moratti lo riporta alla testa di Sea con doppio incarico: presidente e amministratore delegato. E pazienza se la Corte dei conti ebbe a ridire sul doppio stipendio.
Ma la passione per i cieli coinvolge anche Marco Reguzzoni, già presidente della Provincia di Varese e capogruppo a Montecitorio. Che, vale appena la pena di notarlo, è genero di Francesco Speroni: per 27 anni tecnico di volo Alitalia prima di diventare ministro alle Riforme e poi eurodeputato. Reguzzoni è infatti presidente di Volandia, parco e museo del volo a due passi da Malpensa. I magistrati stanno tuttora investigando — ma Reguzzoni non è indagato — per l’affitto di alcuni capannoni da una società che sarebbe stata segnalata dal giovane ex capogruppo. In ogni caso, nella società del museo, il vicepresidente è un altro leghista doc come Stefano Gualandris.
Nella galassia Finmeccanica orbita anche una figura molto particolare. Quella dell’avvocato Andrea Mascetti, consigliere Aermacchi. Non è un politico, ma il fondatore dell’associazione Terra Insubre, la culla dell’orgoglio padano a Varese. Nemico giurato del «cerchio magico» bossiano fu anche sospeso dal Carroccio. Nella geografia interna è maroniano, ma il suo profilo è assai più complesso. Mentre se non si vuol far infuriare l’ex ministro dell’Interno, vietato far riferimento al fatto che anche la moglie lavora in Aermacchi: «Ma fate il piacere! Mia moglie ci lavora da 25 anni, un quarto di secolo. Quando la Lega non avrebbe potuto raccomandare neanche un netturbino».
M. Cre.

COMMENTO DI MASSIMO MUCCHETTI
Il caso Finmeccanica sta minando la reputazione della Repubblica italiana nel mondo. E richiama
il governo Monti al rapido
esercizio delle sue responsabilità
di azionista di controllo.
L’inchiesta sulla corruzione internazionale operata dalla multinazionale italiana della difesa appare tanto più grave in quanto è promossa non dalla magistratura indiana ma da una procura italiana, quella di Napoli; coinvolge il presidente della società, Giuseppe Orsi, chiamato a sostituire quel Pier Francesco Guarguaglini che è anche lui oggetto di imbarazzanti indagini, e prospetta il ristorno in patria di una parte del malloppo consegnato ai soliti mediatori per ricavarne di che finanziare sotto banco i partiti politici, Lega in primis, e integrare il portafoglio di alcuni top manager.
Il buon nome del Paese dipende certo dalla tenuta dei conti pubblici, ma anche — e in misura non inferiore — dalla serietà con cui le grandi imprese si muovono sui mercati. Già la sola ipotesi accusatoria che siano state violate le leggi anticorruzione dell’India — e per finalità tanto caserecce — getta discredito sull’intero sistema delle nostre imprese all’estero. Il governo Monti deve certo preoccuparsi che lo spread tra il Btp e i Bund non torni sopra i livelli di guardia, ma deve pure onorare le sue responsabilità di azionista di Finmeccanica.
È questo un ruolo che gli deriva da una legge del 2000, voluta dal governo D’Alema, per proteggere il campione nazionale delle alte tecnologie e della difesa in fase di privatizzazione dall’assalto di soggetti interessati a spartirne le spoglie tra i colossi francesi, inglesi, tedeschi e americani. Le varie Thales, Eads, Bae System, Siemens, Lockheed hanno subìto anch’esse l’accusa di corruzione, ancorché la giustizia dei loro Paesi non sia sorda alla ragion di stato nella gestione delle indagini. L’Italia è meno granitica. Forse, alzando lo sguardo dall’economia e dal potere, non è nemmeno un male. Ma proprio per questo il governo Monti deve avere la forza di fare chiarezza in tempi rapidi e certi. Per esorcizzare i fantasmi di Finmeccanica.
Con un’intervista al Tg 1 e un comunicato, Orsi e la società hanno negato ogni colpa. È possibile che abbiano ragione e in ogni caso l’onere della prova spetta all’accusa. Ma oggi la questione per il governo azionista non è se Orsi abbia o meno ragione. Il ministero dell’Economia non è uguale ai privati che hanno affrontato analoghe situazioni in banche e imprese. Come tutte le società quotate in Borsa, Finmeccanica appartiene a una pluralità di soci, ma anche, per il tramite dello Stato azionista, alla generalità dei cittadini. Che esigono gestioni al di sopra di ogni sospetto in tempi di riforme delle pensioni e del mercato del lavoro e hanno un cruciale interesse a conservare e migliorare il patrimonio tecnologico, la propensione alla ricerca, le abilità produttive della seconda impresa manifatturiera nazionale dopo la Fiat. Il governo dei tecnici deve dunque dire se a Finmeccanica basta l’autodifesa del suo presidente o se ha bisogno d’altro.
Negli ultimi 10-12 anni, i gerenti di Finmeccanica hanno commesso grandi errori, ma hanno anche costruito un grande gruppo. Uno dei pochissimi che l’Italia ha. Gli errori hanno trovato plastica evidenza nel bilancio 2011 chiuso con oltre 2 miliardi di perdita a causa delle svalutazioni di contratti, joint-venture e partecipazioni e anche a causa di un’insufficiente produttività. Ora il gruppo sta perseguendo un piano di ristrutturazione validato da McKinsey. Il personale verrà ridotto. Gli stabilimenti accorpati. Alcune partecipazioni cedute. Altre messe in partnership: in particolare l’Ansaldo Energia per il quale sono in corso negoziati con il Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti mentre si fa avanti la Siemens, e l’Ansaldo Trasporti, che potrebbe attrarre la giapponese Hitachi o la China South Railways. È bene che questo piano venga completato. Meglio se concentrando nella holding un ferreo controllo sulle società operative, finora feudi di affari e consociazioni.
Il nuovo scandalo espone Finmeccanica a due vecchie e pericolose tentazioni. La prima tentazione è la conservazione dello status quo. A Genova, per esempio, politici, sindacalisti e perfino la Curia, sia pure con cardinalizia prudenza, osteggiano a priori il cambiamento anziché domandarsi, numeri alla mano, quale sia l’assetto proprietario più adatto a garantire le risorse per le due Ansaldo: se la Finmeccanica senza più soldi o una nuova, più ricca e focalizzata compagine. La seconda tentazione è la privatizzazione e l’immediata rivendita a pezzi del gruppo in omaggio a un pessimismo su questa società, comprensibile nell’uomo della strada ma imperdonabile in chi sa di fare così un piacere a Londra, Parigi, Berlino e Washington.
Per disinnescare gli opposti estremismi, Finmeccanica ha bisogno di riacquistare autorevolezza, e dunque di smarcarsi immediatamente dall’inchiesta. I pm devono poter lavorare. Gli eventuali beneficiari dei denari di Finmeccanica vanno smascherati. Ma l’azionista non può mettere la testa sotto la sabbia. Negli ultimi mesi tutti hanno notato uno stato di incomunicabilità tra i ministri di riferimento — da Monti a Di Paola, da Passera a Terzi e a Grilli che regge, da viceministro, il dicastero dell’Economia — e il capo dell’azienda. È una distanza che non va bene. È giunto il momento di non lasciare più sola Finmeccanica. L’azionista dica se ha fiducia in Orsi. Se sì, lo sostenga apertamente. Se no, lo induca a compiere un passo indietro, a salvaguardia della continuità dell’azienda e delle persone non sfiorate da nessuna inchiesta che a ogni livello vi lavorano. Ma forse, lo stesso Orsi dovrebbe riflettere se la sua resistenza, in linea di principio perfettamente legittima, sia utile alla società che pro tempore presiede o se non sia arrivata l’ora di un gesto unilaterale di responsabilità.
Massimo Mucchetti
mmucchetti@rcs.it

I LINGOTTI E I DIAMANTI DI BELSITO
Erika Dellacasa
Giuseppe Guastella
MILANO — Dove nascondeva Francesco Belsito il tesoro accumulato con i soldi della Lega? «Dietro l’armadio del mio studio a Genova», confessa l’ex tesoriere del Carroccio ai pm di Milano, scettici dato che l’ufficio è stato perquisito accuratamente dalla Guardia di finanza che non ha trovato né oro né diamanti. E intanto Belsito perde la protezione fornita dallo Stato, e per garantire la propria sicurezza, più che altro dagli inferociti militanti leghisti, assume a sue spese una guardia del corpo privata. Dopo il più raffinato puff con i gioielli di Poggiolini, è il momento di un nuovo scrigno fuori ordinanza. Interrogato dai pm Alfredo Robledo, Paolo Filippini e Roberto Pellicano, che gli chiedevano dove avesse tenuto nascosti i 5 chili di oro in lingotti da 500 grammi (valore 200mila euro) e gli 11 diamanti (100mila euro per 12 pietre, una è sparita), risponde di aver spostato da solo il pesante armadio nel suo ufficio di via Fiasella e di averli messi lì dietro. Dato che il 3 aprile non è stato trovato nulla nella perquisizione, ed è difficile che il fagotto possa essere sfuggito, gli investigatori, quasi divertiti dal racconto, sospettano che il tesoro sia stato celato in un altro posto prima che il 17 aprile lo stesso Belsito lo riconsegnasse alla Lega. Oro e diamanti sono stati acquistati con soldi del partito, ma il Carroccio per ora ha accettato solo i lingotti mentre ha «disconociuto» le pietre preziose — sequestrate dalla magistratura — perché in questo caso i documenti d’acquisto fanno riferimento solo a Belsito e non anche al partito. L’ex tesoriere ha raccontato di aver prelevato tempo fa oro e diamanti dalla cassaforte dell’ufficio della Lega a Roma, perquisito anch’esso il 3 aprile dalle procure di Milano e Napoli, e di esserseli portati a Genova perché, ha detto, nella sede nazionale di via Bellerio a Milano non era ancora pronta una cassaforte. «Non c’è nessun mistero che non siano stati trovati, la buona fede assoluta di Belsito è dimostrata dal fatto che nei giorni successivi alla perquisizione ha fatto recapitare tutto alla Lega. In quel momento, oro e diamanti non erano oggetto di indagine», dichiara il legale di Belsito, l’avvocato Sandro Vaccaro. Ai magistrati milanesi, che domani incontreranno i colleghi di Reggio Calabria, che come quelli di Napoli indagano per riciclaggio, l’ex tesoriere avrebbe detto che per gli investimenti più importati è stato autorizzato ad amministrare «con ampia autonomia» i soldi della cassa dai vertici della Lega, Umberto Bossi e Roberto Calderoli in particolare. Belsito è indagato a Milano per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato in relazione all’impiego di parte dei rimborsi elettorali ricevuti dalla Lega per il 2010, in tutto a 18 milioni. Ma i pm milanesi sono interessati anche agli 8 milioni assegnati dalla Camera dei deputati e agli altri 6 dal Senato ai gruppi parlamentari del partito e ad ogni altra forma di finanziamento, compresa un’ipotesi di fondi neri.
Lunedì scorso, l’ex tesoriere si è visto revocare il servizio di tutela a carico dei contribuenti italiani, che in passato è stato al centro di polemiche con i sindacati di Polizia che hanno protestato perché l’ex sottosegretario alla semplificazione spesso parcheggiava il suo suv nei posti riservati alla Questura.
Erika Dellacasa
Giuseppe Guastella

LA REPUBBLICA
SENZA FIRMA
ROMA - Nei contratti Finmeccanica tra Panama e Italia «non c´è stata corruzione». Lo ha detto il ministro per la sicurezza di Panama, Jose Raul Mulino, a proposito di presunti casi di corruzione nel Paese centroamericano nella vicenda Lavitola. Panama potrebbe «rivedere» i consistenti contratti firmati nel 2010 con il gruppo Finmeccanica se dall´Italia non arriverà «un chiarimento». «A decidere il futuro dei contratti - ha ribadito il ministro - sarà il presidente Ricardo Martinelli: se non avremo una risposta soddisfacente, valuteremo. Preferiamo rimanere senza contratti e pulire il nome del nostro Paese. Non sarà un contratto con Finmeccanica a intaccare il prestigio di Panama».

CHE DICONO IN FINMECCANICA
DI ROBERTO MANIA
«SONO assolutamente tranquillo. Non ho nulla da temere». Chiuso nella sua stanza al settimo piano della sede di Piazza Monte Grappa, con i suoi più stretti collaboratori, il numero uno di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, ostenta serenità. Ma la botta è di quelle pesantissime e di certo non è arrivata come un fulmine a ciel sereno: è indagato con l´accusa di corruzione internazionale e riciclaggio. Lui, il manager lodigiano di nascita ma varesotto d´adozione, che aveva annunciato «discontinuità», anche etica, rispetto alla lunga stagione di Pier Francesco Guarguaglini, l´ultimo autentico boiardo di Stato coniugato con l´ingegner Marina Grossi che aveva fatto della Selex Sistemi Integrati un crocevia per appalti gonfiati alla mercé di affaristi pasticcioni.
Ora, però, è proprio lui, Giuseppe Orsi, nominato anni fa "Commander of the British Empire" dalla regina Elisabetta, nella bufera. E resiste: «Non ho mai pagato una tangente», dice, con il volto segnato palesemente da settimane di tensione, davanti alle telecamere del Tg1 delle Venti. «Non ho mai pagato nessuna somma illegale né alla Lega né ad alcun altro». È la linea dell´azienda diventata pubblica già nel pomeriggio, con un comunicato, per smentire le affermazioni rese ai magistrati da Lorenzo Borgogni, ex potente direttore delle relazioni istituzionali del gruppo ai tempi di Guarguaglini. Contro Borgogni, Finmeccanica si prepara a promuovere azioni legali. «Ne vedremo delle belle», preannunciò a bassa voce, come sempre, il livornese Guarguaglini prima di abbandonare, sconfitto anche da Orsi, Piazza Monte Grappa. L´ultimo giro di valzer sembra cominciato.
Giuseppe Orsi, però, non ha intenzione di dimettersi. Per ora, almeno. D´altra parte non ha ancora ricevuto l´avviso di garanzia. La notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati l´ha letta sulle agenzie di stampa. Ma in realtà sarà il governo di Mario Monti, lo stesso che ha invitato alla porta il suo predecessore, a decidere il destino professionale di Orsi, che voleva essere l´anti-Marchionne, presentarsi come il volto partecipativo del padronato, e che rischia, invece, di finire come Guarguaglini. Nella polvere. Finmeccanica, gruppo da 72 mila dipendenti con tante eccellenze mondiali ma anche tanti debiti e tante magagne, è quel che resta delle vecchie partecipazioni statali, dove i partiti entrano nei cda e non solo, dove si lottizza come prima e più di prima. E che sia la Lega ad essere coinvolta nell´ultima inchiesta stile tangentopoli sta lì a mostrare la parabola del Carroccio che ora urla contro il complotto, come facevano i partiti della prima Repubblica. Perché Orsi è salito al potere per uno strano connubio di forze tra Comunione e Liberazione e la Lega Nord. È un cattolico praticante, con un passato nell´Azione cattolica dove ha incontrato la moglie Rita, che non si perde da anni il Meeting estivo di Rimini, ma che senza la Lega, dopo trent´anni di Agusta Westland, non sarebbe mai arrivato alla guida del più grande gruppo industriale italiano. E la Lega (Roberto Maroni, allora ministro dell´Interno, in testa) lo sostenne non perché leghista ma perché presente sul territorio, semplicemente perché l´Agusta sta a Cascina Costa, provincia di Varese. Per questo quella casella andò alla Lega (alleato del Pdl), mentre Giulio Tremonti e Gianni Letta si fronteggiavano su tutte le altre nomine pubbliche, Eni, Enel, Poste, Terna. La moglie di Maroni è un dirigente dell´Aermacchi, l´Alenia è stata fusa con l´Aermacchi e la sede legale spostata dalla Campania al Varesotto. Scelta dal sapore poco industriale e molto leghista. Ma forse faceva parte del patto Orsi-Carroccio.
Per la prossima settimana, il 2 maggio, è prevista la riunione del consiglio di amministrazione per esaminare i conti del primo trimestre 2012. Non si hanno anticipazioni, ma il 2011 è stato terribile: il bilancio ha chiuso con un rosso di 2,3 miliardi. Il 16 maggio è convocata l´assemblea dei soci. Le voci che Orsi possa essere costretto a lasciare prima continuano a girare. Un candidato in pectore per la sostituzione c´è già: è Alessandro Pansa, direttore generale cooptato nel consiglio di amministrazione, antagonista di Orsi in Finmeccanica. È l´uomo di Vittorio Grilli, vice ministro dell´Economia, ma piace anche a Corrado Passera, ministro dello Sviluppo. Quanto durerà ancora Orsi?

LA STAMPA
CHE COSA DICE IL GRANDE ACCUSATORE
DI GUIDO RUOTOLO
E alla fine di una giornata in cui il suo nome ha ballato parecchio, indicato come il «colpevole» dell’incriminazione di Giuseppe Orsi, numero uno di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, ex relazioni esterne della holding pubblica del settore difesa, sbotta: «Vorrei ricordare che il sottoscritto, interrogato nell’ottobre e novembre scorso a Napoli, ha soltanto risposto alle domande che hanno rivolto i pubblici ministeri».
Lei, indagato e cacciato da Finmeccanica, dunque, non si è vendicato accusando il suo nemico, Giuseppe Orsi?
«Questa interpretazione dei fatti è offensiva, diffamatoria. Ripeto, a domanda dei pm ho risposto, fornendo indicazioni precise sulle mie fonti».
Notizie de relato, di seconda mano le sue...
«Notizie di cui ero venuto a conoscenza grazie a rivelazioni o a documentazione della quale ero venuto in possesso».
E perché non è andato prima dai magistrati?
«La vicenda della vendita degli elicotteri in India si era consumata da poco tempo».
Senta Borgogni, lei ha parlato di una tangente di 10 milioni di euro alla Lega. Conferma?
«Per il sostegno alla nomina di Orsi ai vertici di Finmeccanica sono stati dati 10 milioni di euro alla Lega. Questo è quanto ho appreso da fonti la cui identità ho rivelato ai magistrati di Napoli. Se dopo cinque, sei mesi di tempo, Orsi è stato indagato per riciclaggio e corruzione internazionale, vuol dire che sono state fatte delle verifiche. E il loro esito è stato positivo, evidentemente».
Lei è stato sentito da Napoli nell’ambito della inchiesta sulle commesse estere di Finmeccanica.
«E quando mi hanno chiesto di Valter Lavitola e delle commesse in CentroAmerica, a Panama, non ho saputo rispondere, perché non conoscevo Lavitola e nulla ho mai saputo su quelle commesse».
Il presidente Finmeccanica, Giuseppe Orsi, intervistato ieri sera al Tg1 ha detto che nessuna attività di intermediazione è stata attivata per la commessa indiana, anche perché in quel Paese l’intermediazione è bandita.
«Io ho risposto a domande precise dei pm. E ho raccontato quello che avevo saputo, del ruolo di Haschke e del secondo intermediario».
Il rapporto tra Orsi e la Lega era davvero così stretto? Lei ha parlato delle assunzioni di un parente dell’onorevole Giorgetti, Lega, e degli affari di Reguzzoni...
«È vero, ho detto dell’assunzione nell’interesse di Giorgetti ma anche del figlio del senatore Pd Nicola Latorre o della figlia del banchiere Ponzellini all’AgustaWestland. Ma, ripeto, solo perché ho risposto a delle domande molto precise dei pm. E poi ho parlato dell’ex capogruppo della Lega, Reguzzoni».
La storia dei capannoni vicino Malpensa affittati da AgustaWestland per 5,4 milioni di euro all’anno, dopo che l’azienda aveva chiuso il capannone di sua proprietà a Sesto Calende. Capannoni presi in affitto da una società nella quale ha interessi Reguzzoni. Ecco, Borgogni si è chiesto perché tutto questo gran da fare di Orsi per la Lega?
«La risposta già l’ho data. Orsi voleva essere nominato ai vertici di Finmeccanica. E aveva bisogno del forte sostegno della Lega. Del resto, l’AgustaWestland è l’azienda che ha radici antiche nel territorio della Lega, la provincia di Varese. E quindi lui era nei fatti investito dalla Lega a rappresentare il territorio».

RITRATTO DI ORSI
Il cuore nero di Finmeccanica questa volta scuote la sponda padana. L’avviso di garanzia al presidente e ad (in quota Lega) Giuseppe Orsi, per una presunta tangente da 10 milioni versata al Carroccio, basta e avanza per riaccendere veleni mai sopiti, sindrome da complotto e guerre intestine tra maroniani e Cerchio magico. La vicenda risale infatti all’epoca in cui Orsi guidava la controllata Agusta Westland, la società degli elicotteri che proprio nel Varesotto ha importanti insediamenti industriali.
Sessantasei anni, sposato con due figli, Orsi è nato nel Piacentino ma vive da sempre a Sesto Calende. Da neolaureato in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano, il futuro manager entra nel 1973 in Siai Marchetti (poi inglobata in Agusta); la sua è una trentennale carriera interna fino a diventare nel 2004 ad di Agusta Westland, nata dalla fusione dell’azienda di Cascina Costa con il «gioiellino» britannico.
Conoscenti varesini lo dipingono un cattolico praticante, trascorsi di gioventù nell’Azione cattolica e, ormai da manager affermato, frequentatore (e sponsor) del Meeting di Rimini. Senza perdere le vecchie abitudini: a Sesto lo si vede spesso a messa o in piazza per un veloce aperitivo. Stimato in azienda nonostante i modi spicci, ha guidato tutta la fase espansiva all’estero dell’azienda elicotteristica e riportato l’accademica di simulazione volo a Sesto Calende, creando molti posti di lavoro. I presidenti (leghisti) della provincia di Varese apprezzano: ieri Marco Reguzzoni, oggi il maroniano Dario Galli, che siede addirittura nel board di Finmeccanica, cioè il maggior datore di lavoro del territorio con 10 mila addetti (sic).
La vicinanza alla Lega è quindi successiva per un manager dato vicino all’Udc e, all’inizio, un po’ indotta da motivi istituzionali. Sono le ambizioni di carriera a spingere Orsi sul Carroccio, dopo il boom elettorale di un partito alle prese con tante poltrone da occupare ma pochi manager spendibili. Non è un mistero che la Lega lo abbia sponsorizzato nell’ultima tornata di nomine del Tesoro. Dall’anti-reguzzoniano Giancarlo Giorgetti, da sempre l’uomo dei dossier economici, a Maroni a, raccontano, la stessa Lady Bossi, Manuela Marrone.
La scorsa primavera, nel corso di una furibonda guerra di potere Gianni Letta - Giulio Tremonti, sulle nomine uscì fuori un pari e patta. Il sottosegretario difese con le unghie la poltrona di Pierfrancesco Guarguaglini, che rimase presidente di Finmeccanica, ma dovette cedere al ministro e al Carroccio su Orsi amministratore delegato il quale, a dicembre, con l’uscita definitiva del presidentissimo travolto dagli scandali e gli avvisi di garanzia alla moglie, Marina Grossi, assumerà anche la guida del gruppo. Sembra la chiusura del cerchio: con Orsi in quota Lega l’anima lombarda del colosso pubblico romano prende il sopravvento. Per la Procura potrebbero esserci intrecci più oscuri, ma questo andrà provato.
Di certo la relazione speciale LegaOrsi è suggellata da alcuni fatti simbolici, raccolti dalle cronache locali: Maroni allora ministro del Welfare che porta in Agusta i suoi colleghi europei nel corso di un summit organizzato dal Semestre di presidenza italiana dell’Ue. La serata all’Auditorium Agusta Westland di Vergiate del 9 ottobre 2009: in platea i piccoli imprenditori falcidiati dalla crisi; sul palco, ospiti a casa Orsi, Bossi, Tremonti, Giorgetti e Ponzellini. La poltrona in cda di Finmeccanica per Dario Galli. E poi la vicenda della moglie dell’ex ministro dell’Interno, Emilia Macchi, da 25 anni in Aermacchi (Gruppo Finmeccanica), apprezzata internamente ma diventata dirigente proprio grazie a una delibera del board. Si dice che le famiglie Maroni e Orsi si frequentino da tempo. Di per sé significa nulla, forse abbastanza per riattizzare polemiche dentro e fuori il Carroccio.