MONICA MAZZOTTO, Tuttoscienze-La Stampa 25/4/2012, 25 aprile 2012
“Che cosa fanno due radici quando si incontrano” - Esplorano il suolo come una colonia di formiche ed ascoltano le vibrazioni come un serpente, eppure sono piante
“Che cosa fanno due radici quando si incontrano” - Esplorano il suolo come una colonia di formiche ed ascoltano le vibrazioni come un serpente, eppure sono piante. Ad arricchire con nuove scoperte il quadro sempre più complesso della biologia vegetale è Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università di Firenze. «Finora abbiamo sottovalutato le piante - sostiene - considerandole esseri passivi ed inferiori, ma la realtà è diversa. Per capire quanto questi organismi siano evoluti, basta pensare che il 99,9% di tutto ciò che è vivo sulla Terra è Pianta». Professore, lei da poco scoperto che la modalità di esplorazione del suolo delle radici è simile a quella delle formiche. Cosa hanno di simile? «Una pianta di grano ha 20-30 milioni di apici radicali e ciascuno si muove abbastanza autonomamente nell’esplorazione del terreno, ma non in modo casuale o caotico. C’è una comunicazione tra le radici che mostra delle proprietà tipiche dei comportamenti “di sciame”». Può fare un esempio? «Seguono delle regole. Quando due radici di una stessa pianta o di una pianta della stessa specie si incontrano, invece di sovrapporsi, si allineano. Inoltre, allineandosi, mantengono una distanza di pochi millimetri. Bastano queste due regole per creare un andamento che, visto nella sua totalità, appaia coordinato o comandato da un “cervello centrale”, cosa che invece non è». Una pianta può essere dunque paragonata ad una colonia di animali piuttosto che ad un singolo individuo? «Sì, le piante non sono dei veri e propri individui. “Individuo” vuol dire indivisibile. Al contrario una pianta si può tagliare in tanti pezzi e, invece di eliminarla, spesso la si propaga. Le radici sono l’esemplificazione di questo concetto». La sua seconda scoperta recente riguarda la bioacustica: com’è nata l’idea che le piante potessero sentire? «Le piante vengono viste come esseri primitivi e a nessuno viene in mente di andare a controllare se siano in grado di sentire. Il punto di vista del mio laboratorio è il contrario: per noi sarebbe stato sorprendente se non avessimo trovato alcun sistema di percezione dei suoni in esseri viventi che si sono evoluti per 500-600 milioni di anni in un mondo rumoroso. Per noi l’avere scoperto che le piante possono ascoltare è quasi “banale”, sicuramente sensato e plausibile». Come avete dimostrato questa capacità? «Siamo partiti dal fatto che, se le radici crescono in assenza di stimoli particolari, crescono verticali, seguendo la gravità. A questo punto abbiamo messo una fonte sonora da una parte, creando un’asimmetria: ci siamo accorti che esistono delle frequenze, in un intervallo basso tra i 100 e i 400 hertz, che attraggono le radici e la loro crescita. Allo stesso modo ci sono suoni, di frequenza più alta, verso i 2 mila hertz, che “non sono gradite” alle radici stesse». Quali meccanismi utilizzano per percepire i suoni? «Riescono, come gli animali a contatto con il suolo, per esempio serpenti o vermi, a sfruttare le vibrazioni del terreno grazie ai meccano-recettori posti nelle cellule». A cosa serve questa capacità? «Secondo noi, per avere informazioni sull’ambiente. La presenza di acqua o di ostacoli varia la propagazione dei suoni e questa cambia anche se ci sono delle fonti sonore vicine, come altre radici». Intende dire che le piante potrebbero comunicare tra loro acusticamente? «Dopo aver scoperto che erano in grado di percepire suoni, abbiamo notato che le radici emettono una serie di suoni che, se amplificati e trasformati in frequenze udibili al nostro udito, sembrano un susseguirsi di clic, frequenti, proprio nell’intervallo tra i 100 e i 400 hertz. Ora abbiamo avanzato l’ipotesi che i suoni siano una fonte di informazione anche per il comportamento di sciame: le radici potrebbero coordinare i loro movimenti anche grazie ai suoni».