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 2012  aprile 25 Mercoledì calendario

Achtung, di austerità si può morire - Presto, qualcuno fornisca uno psicologo ai governi d’Europa

Achtung, di austerità si può morire - Presto, qualcuno fornisca uno psicologo ai governi d’Europa.Se­guendo ciecamente la linea rigori­sta dettata da Berlino e da Bruxel­l­es, una dietro l’altra le cancelle­rie dell’Eurozona si avviano sere­namente verso l’harakiri. Sono i dieci piccoli indiani della finanza pubblica. Fino a pochi me­si fa l’Olanda era praticamente la vice-Germania: predicava rigore dei conti e guai a chi sgarrava dal verbo della Bce. Poi è venuto fuori che i conti del Paese dei tulipani erano tutt’altro che rose e fiori.Ri­sultato: le dimissioni del governo Rutte. Sarkozy ha capito trop­po tardi che ri­schia di rimet­terci l’Eliseo. Nelle ultime settimane di campagna ha fatto di tutto per smarcarsi da Bruxelles, sparando schioppettate contro gli euro­burocrati e an­n unciando una revisione degli accordi di Schengen. Ma non è bastato: al primo turno del ballottag­gio è scivolato dietro all’avver­sario sociali­sta, che aveva da subito caval­cato il te­ma del­l’antieuropei­smo. Hollande sa bene che a in­d ebolire Sarkozy è Me­rkozy: Ieri ha scelto il tg più ascoltato, l’edizio­ne delle 20 di Tf1, per annunciare: «Se conquisterò l’Eliseo andrò su­bito a Berlino per illustrare alla cancelliera la mia idea di un’altra Europa: serietà di bilancio sì, au­sterità a vita no ». La tendenza è or­mai chiara anche a Monti, che ha visto il suo gradimento crollare a picco nei sondaggi. Ma a che pun­to arriverà l’autolesionismo della linea teutonica? Certo, Berlino ha maggior inte­resse a mantenere il rigore dei con­ti, ma l’interconnessione tra le economie europee è tale che an­che la locomotiva tedesca rischia di rallentare, non fosse altro per­ché i suoi clienti nel resto d’Euro­pa sono ridotti alla fame e smetto­no di comprare il made in Ger­many. Il titolo con cui il Financial Times ha aperto l’edizione di ieri non lascia dubbi: «I leader (euro­pei) fronteggiano il contraccolpo dell’austerità». Il riferimento era al contraccolpo politico, vedi Francia e Olanda, ma la Germa­nia non è un’isola, tantomeno feli­ce. Lo dicono i dati sull’industria manifatturiera dell’Eurozona che indicano una frenata inattesa del­la produzione, Germania inclusa. La domanda è sempre più debole a causa della terribile tenaglia co­stituita dalle misure di austerità dei governi concatenate alla stret­ta del credito da parte delle ban­che. Il risultato è un crollo della do­manda che ha spento le speranze di una ripresina di cui si comincia­va a parlare ( altro che la luce in fon­d­o al tunnel ritratta da una ottimi­stica copertina dell’ Economist di un paio di settimane fa). Al contra­rio, la lettura di ieri del quotidiano finanziario britannico non lascia dubbi: «La recessione è peggiore di quanto si credesse». Ma niente da fare: nei summit europei si continuano a lanciare allarmi contro i rischi terribili che l’Europa correrebbe se non se­guisse la dieta prescritta dal dotto­re tedesco. Pazienza se perfino gli uffici statistici di Bruxelles, con­trollando gli esiti della cura, regi­strano sintomi da malattia termi­nale. Il deficit dei Paesi dell’Euro­zona nel 2011 è sceso al 4,1 per cen­to, dal 6,2 dell’anno scorso,ma no­nostante i tagli siamo sempre più indebitati: il rapporto tra debito e Pil è salito all’87,2% dall’85,3 del­l’anno precedente. Tra i Paesi che non sono in regola con il limite ide­ale del 60% ci sono ovviamente i soliti osservati speciali, Italia in prima fila,ma c’è anche la Germa­nia: 81,2%! E non è finita. Anche se il club degli affamatori è sempre più ri­stretto (dopo che anche l’Olanda ne è uscita), la ricetta tedesca non accenna a cambiare. Ieri i Paesi dell’Europa dell’Est si sono duramente scontrati con Germania e sodali durante le trat­tative per il budget settennale del­l’Unione: i Paesi forti vogliono ta­gliare 100 miliardi di euro, ma na­tu­ralmente solo dai capitoli che ri­guardano il sostegno ai Paesi più deboli. Qualcuno spieghi loro che di austerità si muore. Forse invece di dar retta al nuo­vo appello al rigore di Jens Weid­mann, presidente di Bunde­sbank, dovremmo ascoltare un al­tra banca di Germania, la Deut­sche Bank. Un suo economista, Gilles Moec, ieri l’ha detto chiaro: «Siamo di fronte a una recessione auto-inflitta». Chissà come si dice Tafazzi in tedesco.