Francesca Basso, Corriere della Sera 25/04/2012, 25 aprile 2012
L’INFLAZIONE BATTE GLI STIPENDI, MAI COSI’ DALL’ ’83 —
Un altro record ci riporta indietro agli anni Ottanta. Un mese fa era la spesa alimentare delle famiglie italiane, ora è la crescita contratta degli stipendi: solo +1,2% in un anno, la percentuale più bassa dal 1983, da quando cioè l’Istat ha avviato le serie storiche ricostruite.
Ma non è l’unico primato negativo del mese di marzo. Il divario tra salari e prezzi ci riporta indietro di diciassette anni, all’agosto del 1995. La differenza tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,2%) e il livello d’inflazione (+3,3%) su base annua, ha registrato una differenza del 2,1%. Foto finale, sintesi delle statistiche, le famiglie italiane sono in grave difficoltà.
Per le associazioni dei consumatori Federconsumatori e Adusbef gli italiani perdono «638 euro l’anno» come effetto «dell’ennesima bastonata da inflazione, che si somma a una perdita del potere di acquisto che dal 2008 è stata di -9,8%, portando così il totale a 3.738 euro in meno per famiglia». Il calcolo del Codacons alza la cifra: «È come se una famiglia di tre persone avesse avuto una perdita equivalente a 720 euro (610 per un nucleo di 2 persone)». Il dito è puntato contro la decisione di «aumentare Iva e accise, facendo galoppare i prezzi nonostante il calo della domanda, e aver contemporaneamente e sadicamente bloccato pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici per ben tre anni». Ma una minore tassazione non sarà la via per rinforzare il potere d’acquisto, almeno nell’immediato. Un taglio delle aliquote fiscali non è «nella nostra disponibilità in questa fase di consolidamento», ha detto ieri il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, rimandando il calo della pressione fiscale ad una fase successiva al miglioramento dei saldi di finanza pubblica: «Faremo tutti gli sforzi per migliorare e quando sarà possibile troveremo gli spazi per ridurre le tasse».
La pubblica amministrazione è uno dei settori che ha più risentito dello stallo dei salari, insieme all’agricoltura, al credito e alle assicurazioni. I dipendenti statali scontano anche il blocco della contrattazione: dei 4,3 milioni di dipendenti in attesa di rinnovo, circa 3 milioni lavorano nel pubblico. E l’Istat ha calcolato che l’attesa media per chi ha il contratto scaduto è stata in media di 27 mesi sia nel pubblico sia nel privato. Nel panorama si differenziano in positivo le retribuzioni del settore tessile e abbigliamento, +2,9%, e quelle del comparto chimico e delle telecomunicazioni, +2,7%.
Il futuro non sembra più roseo. Del resto le stime di crescita del nostro Paese ci raccontano un’economia che fatica a ripartire. E secondo le proiezioni dell’Istat, l’indice delle retribuzioni, sulla base delle disposizioni dei contratti in vigore alla fine di marzo, registrerebbe nel 2012 un incremento dell’1,4%, in leggero miglioramento rispetto a un mese fa ma comunque su livelli minimi. Quindi se l’inflazione non calerà, anche il gap tra salari e prezzi si manterrà alto. Per i sindacati i dati Istat sono un ulteriore campanello d’allarme sull’impoverimento degli italiani. La leader della Cgil Susanna Camusso vi legge la conferma di un peggioramento del reddito dei lavoratori. Il segretario generale Cisl, Raffaele Bonanni, avverte che se «non si abbassa la pressione fiscale non si potranno alzare gli stipendi». E per il numero uno della Uil, Luigi Angeletti, «la contrazione dei consumi porterà a un aumento della disoccupazione, si supererà il 10%».
Francesca Basso