Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Calisto Tanzi è stato condannato a dieci anni di reclusione al termine del processo per il crac Parmalat: secondo i giudici è colpevole di aggiotaggio, falso dei revisori e ostacolo alla Consob. Dovrà anche risarcire Bank of America con 80 mila euro. Condannata inoltre la società Italaudit, ex Gran Thornton, che certificava il bilancio dell’azienda: 240 mila euro di provvisionale e 540 mila euro di confische. Tutti gli altri imputati, quelli che avevano preferito non patteggiare, sono stati assolti, compresa la Bank of America.
• Che c’entrava la Bank of America?
Il crac Parmalat è stato provocato per il 70 per cento da banche straniere. possibile che queste si siano mosse con l’abilità necessaria per non cascare nelle trappole del diritto penale. Certo, tutte le ricostruzioni, giornalistiche e no, mostrano che la loro responsabilità e quella delle banche italiane per il restante 30 per cento erano gravissime. Gli avvocati, all’uscita del tribunale, hanno detto che Bank of America se l’è cavata grazie alla prescrizione. Per i risparmiatori truffati è una doccia fredda: il governo aveva già annunciato lo slittamento di sei mesi della class action. Adesso Bank of America è fuori e si varrà di questa assoluzione per respingere tutti gli assalti…
• Che cos’è la class action?
Cittadini che si ritengono truffati si mettono tutti insieme e promuovono una causa collettiva. Se l’imputato perde deve pagare tutti. In America funziona alla grande, al punto da essere diventata un problema alla rovescia: gli avvocati specialisti in class action sono diventati degli squali capaci di terrorizzare una società con la minaccia della class action e poi di spolparla. Legga Il re dei torti di Grisham, un bel romanzo, e capirà tutto di questo meccanismo infernale. In ogni caso, da noi la class action, varata da Prodi, resta un sogno e per i truffati di Parmalat, che avrebbero diritto a un mega risarcimento, una chimera.
• In che modo dei cittadini sarebbero stati truffati da Parmalat?
Già alla fine degli anni Ottanta Parmalat era indebitata fino alla cima dei capelli, anche per via delle manie di grandezze di Tanzi, che s’era pure comprato il Parma calcio. Spinto dalle banche, il cavaliere si finanziava emettendo bond, cioè titoli attraverso i quali si faceva prestare dei soldi su cui avrebbe pagato periodicamente un interesse e che avrebbe restituito alla scadenza. Alla scadenza, restituiva il capitale accendendo un altro prestito. La maggior parte di questi bond – e specialmente quelli emessi negli ultimi anni – erano in realtà destinati alle banche, che non avrebbero dovuto venderli al pubblico, tanto più che erano perfettamente consapevoli e della situazione finanziaria dell’azienda (tecnicamente fallita dal 1989) e dell’assoluta mancanza di garanzie del prestito. Invece le banche le vendettero tranquillamente al pubblico facendosi forti delle valutazioni delle cosiddette agenzie di rating che davano sempre voti altissimi. Pensi che Deutsche Bank consigliava di comprare Parmalat – azioni o bond – ancora pochi giorni prima del crac.
• E perché? Che cosa avevano da guadagnare le banche?
Una montagna di commissioni, prima di tutto. La banca che piazza il bond trattiene per sé una piccola percentuale dell’incasso per ripagarsi del lavoro svolto. Si chiama, appunto, ”commissione”. Poi le banche hanno usato Parmalat come una discarica: quando c’era un’azienda nei guai che chiaramente non sarebbe mai stata in grado di ripagare i suoi debiti, si obbligava Parmalat a comprarla in modo che con i soldi dell’acquisto il soggetto indebitato potesse saldare il dovuto. Parmalat si procurava i soldi con questi bond. Era evidente che prima o poi sarebbe a sua volta saltata per aria e tutti i banchieri sapevano che prima o poi sarebbe accaduto. Ma su tutto questo è in corso un altro processo a Parma, per il quale Tanzi ha chiamato a sua difesa 30 mila persone. Spera nelle prescrizione e continua a dire che è tutta colpa delle banche e che lui non sapeva niente dei titoli venduti al pubblico
• Ed è vero?
Il fatto è che un imprenditore onesto avrebbe affrontato già alla fine deegli anni Ottanta la procedura fallimentare senza sprofondare sempre di più nell’abisso. Sa quante persone hanno visto polverizzati i propri risparmi per colpa dell’atteggiamento irresponsabile di questo signore e degli istituti che lo hanno sostenuto? Ottantamila. Sa a quanto ammontava il crac? A 14 miliardi di euro. Una somma enorme che Tanzi e il suo ragioniere Fausto Tonna cercarono di occultare falsificando addirittura con uno scanner e una stampante a colori un estratto conto della Bank of America. Sarebbe stato difficile assolverlo, no? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 19/12/2008]
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