Vittorio Sgarbi, il Giornale 19/12/2008, pagina 12, 19 dicembre 2008
il Giornale, venerdì 19 dicembre 2008 Nonostante sia difficile per me separare la responsabilità del sindaco di Pescara da quella dei costruttori che hanno distrutto l’area della stazione costruendo architetture immonde con il solito obiettivo della «riqualificazione», resto interdetto alla lettura degli addebiti che i magistrati indicano per motivare l’ordinanza di custodia cautelare
il Giornale, venerdì 19 dicembre 2008 Nonostante sia difficile per me separare la responsabilità del sindaco di Pescara da quella dei costruttori che hanno distrutto l’area della stazione costruendo architetture immonde con il solito obiettivo della «riqualificazione», resto interdetto alla lettura degli addebiti che i magistrati indicano per motivare l’ordinanza di custodia cautelare. A fronte di vantaggi non concessi e non dimostrati il presidente di AirOne Carlo Toto e suo figlio Alfonso avrebbero, come risulta da una cartelletta improvvidamente conservata dal tesoriere dell’appassita Margherita (una ingenuità crepuscolare per favorire le perquisizioni), fornito servizi al sindaco di Pescara. Preziosa cartelletta! Vi sono nomi, cognomi, numeri di telefono, date, cifre quali sotto la B, quali sotto la N, facile rebus per «pagamenti in bianco» e «pagamenti in nero» come hanno acutamente interpretato i valorosi magistrati. Toto Alfonso è arrivato a dare 7N e perfino il corrispondente per pagare il palco e le strutture per una manifestazione a Pescara di Romano Prodi. Why not? Dopo la formidabile inchiesta calabrese di De Magistris perché non indagare ancora l’ex presidente del Consiglio? E quali altri delitti ha compiuto D’Alfonso, sindaco di Pescara, per essere arrestato? Ha avuto offerti alcuni voli dal famigerato Toto che, guarda caso, è il presidente di AirOne. D’ora in avanti, anche chi abbia un’automobile stia attento a chi la presta o a chi dà un passaggio. Toto avrebbe offerto alcuni biglietti aerei a D’Alfonso e addirittura gli avrebbe messo a disposizione un Falcon 20 per una vacanza con la famiglia da Pescara a Malta e da Malta a Venezia. Anch’io ho viaggiato su aerei di imprenditori amici, senza aver fatto loro nessun favore. Ho viaggiato con Luigi Cremonini, ho viaggiato sull’aereo di Luigi Zunino offertomi per un lungo viaggio da Damasco a Shiwa, oasi di piacere che suggerisco ai magistrati abruzzesi, e da Shiwa a Milano. I piloti sono rimasti a dormir fuori due notti. E con ciò? Non mi sono preoccupato dei costi, non ho neanche una cartelletta B/N per documentarli. Ho viaggiato sugli aerei di Berlusconi. Ma D’Alfonso non può. Toto, come i magistrati ricavano dalle cartellette, ha pagato: «25.893 euro sostenuti interamente da AirOne Spa». Se Toto non può essere generoso e non può neppure sostenere il sindaco della sua città, cosa diranno allora i magistrati degli aerei offerti dal marito, e anche da me usati, al sindaco di Milano? Sarò indagato anch’io perché una volta ho viaggiato sull’aereo di Moratti che accompagnava il sindaco di Salemi nella sua città? E, per di più, gli ho offerto anche una casa a un euro! Il sindaco di Milano ha, in B, avuto dal marito un sostegno per la campagna elettorale di 6 milioni e mezzo di euro. Cosa ne penserebbero i magistrati abruzzesi? D’Alfonso ha ottenuto da Toto 924 euro di ospitalità al Flora Marriott di Roma e ha interceduto per averne 10mila per la Pro Loco di Lettomanoppello (paese natale di Toto). Addirittura Toto ha versato 10mila euro, spero spontaneamente, per l’acquisto di un mezzo di soccorso in favore della lega abruzzese antidroga sempre per il comune di Lettomanoppello. Per questa e poche altre ragioni il sindaco di Pescara, ovunque ammirato, e certamente capace di organizzare il consenso e di attivare, come la legge prevede, sostenitori, è stato arrestato. Fino a qualche tempo fa era una persona onesta e perbene, amatissimo e votatissimo. Oggi è il padrone di un sistema di potere criminale e, avendo toccato Toto, lodato da Berlusconi come «capitano coraggioso» della nuova Alitalia, si è contaminato. Addirittura è diventato il perno di «un’associazione a delinquere» con una straordinaria «forza di intimidazione» nella città di Pescara. Il gip Luca De Ninis scrive: «Sembra quasi che i Toto e D’Alfonso agiscano come un’unica entità politico-imprenditoriale». Non diversa è l’inchiesta del valoroso inquisitore di Fabrizio Corona, di Vittorio Emanuele IV e di Flavia Vento, H.J. Woodcock, che contesta al deputato del Pd Salvatore Margiotta un contributo promesso e mai dato di 200mila euro per un appalto petrolifero; ma ne ha chiesto anche il rinvio a giudizio per aver ottenuto, grazie alla moglie poliziotta, l’annullamento di una multa di 300 euro fatta al suo autista. Con il profilo di questa nuova tangentopoli il Partito democratico è stato profondamente colpito e i suoi dirigenti non hanno voluto reagire all’azione sacrosanta dei magistrati. Why not? Essi crolleranno sotto i colpi degli austeri e incorruttibili De Magistris, Woodcock e abruzzesi vari. Mentre io non riesco a vedere reati né in viaggi regalati né in multe cancellate. Sarà la mia bassa tensione morale, ma mi piace condividere la posizione di Marco Alessandrini, figlio del giudice Emilio, ucciso dai terroristi di Prima linea, il quale, divenuto assessore alle Politiche giovanili del Comune di Pescara, non vuole credere alle accuse contro il suo (ex) sindaco: «Questo sindaco è uno straordinario amministratore della cosa pubblica... E mi sento di escludere che abbia preso per sé anche un solo centesimo. Solo il processo ci darà gli sviluppi di questa inchiesta. Ma la giustizia ha tempi inconciliabili con l’attività politica. Fra dieci anni, forse, sapremo. Nel dubbio, la carriera di Luciano D’Alfonso e della sua giunta sono già archiviate». Sono solo le parole che io tante volte ho pronunciato davanti alle inchieste spettacolari degli anni Novanta. Ora Alessandrini non ha neppure il conforto dei dirigenti del partito cui si è iscritto. E insiste, per D’Alfonso: «Ho molte perplessità sul suo arresto. Ma immagino anche di vivere in un Paese dove i giudici non prendono alla leggera certe decisioni. da molto tempo che ho smesso di pensare alla magistratura come ad un totem intoccabile». Povero Alessandrini e, peggio di lui, povero Veltroni, in balia di Di Pietro, come lo fu, un tempo, Craxi. Se Veltroni non chiederà giustizia contro inchieste sbagliate come quella contro Del Turco e contro D’Alfonso, sarà travolto come Craxi. Il suo grillo parlante è proprio Alessandrini, che dice cose bellissime e nobilissime che forse provocheranno una reazione indignata contro i magistrati più nel centrodestra che nel centrosinistra. Ricordo quando con Taradash, nel martoriato Abruzzo, andai a ribellarmi, essendo querelato, contro i magistrati che avevano arrestato, nel ”92, l’intera giunta. Comincia da lì la decadenza dell’Abruzzo e procede, ma la storia non insegna niente, con l’incriminazione di Gaspari per voli in elicottero, questa volta non pagati da Toto, ma dallo Stato (volare non va mai bene né con mezzi privati né con mezzi pubblici: c’è sempre qualche magistrato che, da terra, ti impallina). Alessandrini è sconcertato. E mentre riceve una telefonata di solidarietà da Gerardo D’Ambrosio che partecipò alla mattanza di Milano, può intanto pensare di farne una allo zio Remo (Gaspari) per ripassare la storia dell’Abruzzo negli ultimi 15 anni. Intanto, con spirito nobile, dichiara, e pensa anche alla sua vita, di assessore decaduto mentre aveva creduto a una nuova e bella impresa politica: «Provo un senso di scoramento e di imbarazzo. Come fossi finito anch’io in un tritacarne». E qui è il passaggio più dolente: la communis opinio, la rabbia del popolo, lo stesso consenso che andò ai magistrati di Tangentopoli, con l’aggravante che oggi gli incriminati sono i titolari della questione morale indicata da Berlinguer. «L’altro ieri ho sentito dell’arresto alla televisione. Mi sono messo al computer, per saperne di più. Il primo commento alla notizia era di una ragazza. Scriveva che tutti i politici dovevano essere rinchiusi su un’isola circondata da pescecani. Sono gli effetti di una forma perversa di giustizialismo, che accomuna tutto e tutti, che non opera alcuna distinzione. L’Italia dei valori ha sostenuto in campagna elettorale che i politici sottoposti ad indagine non debbano essere candidati. Nonostante le mie radici, non sono affatto d’accordo. E lo ribadisco anche oggi. C’è indagine ed indagine e se prendiamo l’avviso di garanzia come metro di misura del mondo, allora non andiamo certo lontano. Anzi ci fermiamo tutti». Parole bellissime, tristissime e verissime. Riuscirà ad ascoltarle Veltroni o aspetterà di essere travolto senza reagire anche quando i migliori dei suoi vengono travolti (D’Alfonso, Del Turco, D’Alema) da magistrati ridicoli, mentre Di Pietro ride soddisfatto insieme a Travaglio? Vittorio Sgarbi