a cura di Eugenio Occorsio, la Repubblica 19/12/2008, pagina 36-37, 19 dicembre 2008
Dieci domande a Nouriel Roubini la Repubblica, venerdì 19 dicembre 2008 Quali conseguenze potrà avere la decisione senza precedenti della Fed di azzerare i tassi? La misura della Fed non è stata che la presa d´atto di una situazione di fatto
Dieci domande a Nouriel Roubini la Repubblica, venerdì 19 dicembre 2008 Quali conseguenze potrà avere la decisione senza precedenti della Fed di azzerare i tassi? La misura della Fed non è stata che la presa d´atto di una situazione di fatto. Già da tempo il tasso praticato dalle banche era vicino allo zero, perché il mercato spingeva in tal senso. E questo succedeva perché la stessa Fed aveva intrapreso un´ampia politica di monetary easing, inondando letteralmente il mercato finanziario di denaro con prestiti ed emissioni speciali rivolti alle istituzioni che vi operano ad interesse pressoché inesistente, e anche stampando dollari sic et simpliciter. Tutto questo sta portando già a qualche risultato, ma non dobbiamo farci illusioni: la crisi si è ormai estesa all´economia reale e sarà ancora lunga e dolorosa. Il mercato azionario scenderà ancora del 20%. La recessione è cominciata nel dicembre 2007 e andrà avanti per tutto il 2009. E anche quando nel 2010-11 l´economia riprenderà a crescere, lo farà a ritmi molto lenti, inferiori all´1%. Insomma, bisogna salvare Wall Street per salvare Main Street, il sistema finanziario (banche, broker, assicurazioni) per rilanciare quello produttivo. A questo punto, i percorsi di America, Europa e Asia sono paralleli, e i tempi di recupero potrebbero essere più o meno gli stessi. Quali saranno i futuri sviluppi dei rapporti di cambio a partire da quello di dollaro ed euro? I mercati delle valute rispondono a logiche veramente imprevedibili. La verità è che America, Europa e Giappone sono tutti e tre in recessione, quindi a rigor di logica le valute che ne sono espressione dovrebbero andare tutte e tre male, il che è evidentemente impossibile. Il vero gioco è sui differenziali dei tassi, il cosiddetto carry trade, e quindi sulle speculazioni che comporta. Negli ultimi mesi c´era stato un rally del dollaro sull´euro, il che se vogliamo era irragionevole perché l´America andava peggio dell´Europa. Poi l´euro ha recuperato appunto perché in America si stava diffondendo il marchio del "tasso zero". Ma credo che il dollaro tornerà presto a rafforzarsi per la forte domanda di asset denominati in dollari causata dall´emissione di titoli Usa per finanziare i tanti interventi previsti. A meno che l´Europa non risponda con massicce emissioni di eurobond. Poi c´è il Giappone, che è in crisi nera da molto più tempo dell´occidente: bene, lo yen è stato paradossalmente forte per mesi sul dollaro, ma ora credo che anche qui la situazione si riequilibrerà. Lo vede quanto è complicato? Perché si sono salvate tante banche dal fallimento e non le aziende manifatturiere? C´è stata un´attenzione speciale per le banche, è vero, ma io concordo con questa posizione. Le banche costituiscono l´ossatura del sistema economico del paese, e una serie di loro fallimenti avrebbe comportato un danno sistemico irreversibile. Pensate a cos´è accaduto per il fallimento della Lehman Brothers il 15 settembre: la crisi sembrava sul punto di esser risolta, o almeno aveva allentato la sua morsa, ma dopo quella data la situazione è di nuovo precipitata in un modo ancora più grave. Comprendo la difficoltà ora di allargare gli aiuti anche al comparto manifatturiero, a partire dall´auto. E´ anche vero che mi ero espresso con decisione contro il piano Paulson nella sua originaria formulazione, in ottobre: sembrava che quei 700 miliardi di dollari dovessero essere utilizzati solo per riacquistare i titoli tossici e liberare così i bilanci delle banche, senza nessun intervento strutturale che risolvesse i problemi. Sarebbe stato un colossale spreco di denaro. Poi per fortuna è intervenuto un generale ravvedimento ed è stata ampiamente rimodulata la tipologia di aiuti, compreso l´intervento diretto nel capitale delle banche e anche probabilmente di alcune importanti società manifatturiere. Ora secondo me gli aiuti sono impostati correttamente. L´Italia dimostra tutta la sua debolezza: non rischia di finire come l´Argentina o l´Islanda? La mia risposta è no. Il vostro paese presenta una serie di elementi di instabilità e di difficoltà economiche, ma non è a rischio di fallimento. Restano comunque estremamente urgenti gli interventi di cui da tempo avete bisogno. Penso soprattutto all´incremento della produttività e della competitività, da perseguire con una serie di misure come il miglioramento della formazione professionale dei lavoratori, una decisa spinta sul fronte della ricerca scientifica e tecnologica, la modernizzazione delle aziende con l´introduzione massiccia delle nuove tecnologie, l´introduzione di ulteriori elementi di flessibilità nel mercato del lavoro. La chiave è tutta qui: oggi la produttività cresce meno del costo del lavoro, è un problema che hanno anche Spagna e Grecia e ha avuto a tratti anche la Germania, ma è inaccettabile per un paese che peraltro deve già fronteggiare quello che è un elemento di forza e insieme di debolezza, e cioè l´appartenenza all´unione monetaria. Un fattore che la rende ovviamente solida ma anche in un certo senso vulnerabile perché non consente di avere una propria politica monetaria, sostanzialmente una propria indipendenza, o meglio autonomia. Ma i governi hanno a disposizione le risorse per tutti gli interventi statali che vengono reclamati? Qui c´è uno dei punti centrali dell´intera crisi. Naturalmente ci sono paesi più pronti a varare massicci interventi pubblici, e altri meno. Fra i primi c´è sicuramente l´America, per la sua facilità di accesso ai mercati internazionali del credito e anche perché quanto a debito pubblico c´è ancora margine di manovra: oggi è inferiore al 50% del Pil, dopo questa massiccia ondata di interventi si potrà arrivare al 60-65%, che è molto ma per un paese forte come gli Stati Uniti è ancora tollerabile e riassorbibile in un ragionevole numero di anni. Fra i paesi che invece incontrano dei limiti c´è l´Italia. Come dicevo, dovete considerare una grande fortuna far parte dell´euro, però bisogna misurarsi concretamente con i problemi. E a volte può diventare un problema un patto di stabilità così rigido e severo: ora, non sostengo che debba essere abolito, però dovrebbe essere interpretato con maggior flessibilità perché stiamo vivendo veramente tempi eccezionali. Di questo, tra l´altro, doveva rendersi conto prima la Bce, che invece pur di salvaguardare la stabilità monetaria ha tenuto innaturalmente alti per troppo tempo i tassi. Se li avesse abbassati prima, in Europa si poteva evitare il peggio. Quello che emerge è un´allarmante carenza dei controlli nella finanza: come è stato possibile? Quando un sistema finanziario perde in un anno e mezzo quasi un trilione di dollari, per la precisione 945 miliardi, qualcosa che non è andato nel sistema dei controlli c´è sicuramente stato. Si deve indagare senza indulgenze sia sul sistema del rating di Moody´s e delle altre agenzie, sia soprattutto sugli illeciti che si sono annidati a Wall Street in tutti questi anni, cosa quest´ultima che è finalmente cominciata la settimana scorsa. Troppe opacità, troppe mancanze di trasparenza, troppi meccanismi ambigui. E in unione a questo, troppo reckless investment, investimento incosciente. Non è un reato, ma è ugualmente distruttivo. Servono poche ma precise regole. E´ un grossissimo impegno: in America, Obama direi che è perfettamente consapevole di quest´esigenza di riportare ordine. In Europa probabilmente la consapevolezza è la stessa, occorre la volontà di trasformarla in fatti. E bisogna agire subito, per evitare che quando finalmente la situazione migliorerà si ricada ancora una volta nello stesso errore, e si riavvii lo stesso circolo vizioso di boom and bust. Si dice che le banche italiane siano meno a rischio di quelle americane perché non hanno rischiato. E´ vero? Mi sembra che non abbia molto senso quest´argomentazione, o meglio: forse all´inizio il fatto di essere un po´ meno esposte su titoli cartolarizzati e con gli hedge fund le ha parzialmente tutelate. Ma ormai la crisi è generale, il credit crunch ("stretta creditizia") è globale, lo stesso sistema produttivo contraendosi trascina con sé quello finanziario. Possiamo forse dire che in America la crisi è partita dalla finanza ed è approdata all´industria e in Europa il contrario, ma non ha molto senso imbarcarsi in queste distinzioni. Ora è tempo che, per quanto possibile, anche l´Europa, Italia compresa, intervenga a favore delle proprie banche, acquistando se e quando necessario sull´esempio inglese quote di azioni privilegiate senza diritto di voto. Purché siano chiari alcuni punti: che l´intervento non è una nazionalizzazione ma è temporaneo, che i manager incapaci vanno estromessi, che la stessa banca nel frattempo deve bloccare il dividendo e intraprendere misure di razionalizzazione e risanamento interno. In tutto il mondo le banche devono essere messe in condizione di riprendere a prestare efficacemente il denaro, e parallelamente i paesi devono avviare misure in grado di rilanciare la domanda interna. Lei parla di flessibilità, però proprio l´esasperazione di questo concetto, la precarietà, è uno dei mali dell´Italia... Premesso che io non sono un esperto di mercato del lavoro, posso solo dire che da sempre c´è una disputa fra gli economisti sul punto di equilibrio fra lavoro "formale" e lavoro "precario". Il cosiddetto "dual labor market" è una realtà in molti paesi. Probabilmente in Italia è successo che gli eccessi di tutela e di rigidità per la prima di queste due voci hanno portato le imprese a stringere troppo sulla seconda. Una certa mancanza di controlli ha poi fatto sì che da "precari" molti lavoratori siano diventati "shadow", cioè siano entrati nel lavoro nero. Bisogna considerare il risentimento politico e le tensioni sociali che questa situazione comporta, e intervenire. Ma non sarà semplice, tutt´altro. Posso dire però una cosa: in questo momento l´inflazione da prezzi non è un problema, anzi il mondo intero teme il contrario, cioè la deflazione, che è l´abbassamento generalizzato di tutti i valori. In America l´indice dei prezzi al consumo è addirittura sceso in negativo il mese scorso, e la core inflation è a zero. In Europa avete situazioni se non analoghe piuttosto simili. Così, il sistema forse è in grado di tollerare un minimo di spinte sull´altro fronte tradizionalmente inflattivo, cioè i salari. Qualcuno ipotizza un sovvertimento dei rapporti di forza globali, con la Cina che prende il posto degli Usa... La Cina? Non credo che stia per rimpiazzare l´America, oppure come qualcuno con ancora maggior fantasia dice che un sistema collettivistico prenderà il posto di quello capitalistico, a parte che ormai in Cina il socialismo è un ricordo. No, guardi: anche la Cina, come altre economie in via di sviluppo tipo Russia o India, sta bruscamente rallentando. La base di partenza era così bassa che una crescita del 7 anziché del 9% equivale a una recessione in Occidente. E´ un fatto che la gelata è arrivata anche lì. Questo spiega perché la Cina, per esempio, stia oggi tentando di temperare l´apprezzamento della sua moneta, lo yuan, verso l´euro, che è stato del 25% nei soli ultimi sei mesi, e stia anche cercando un diverso equilibrio con il dollaro. Ma poi di fondo c´è il fatto che la recessione globale, con le tensioni che comporta, riduce la disponibilità al rischio da parte degli occidentali e quindi l´impatto su queste economie può essere pesante. Non a caso, con uno sforzo di cooperazione mai visto prima, le autorità di Cina, Giappone e Corea si sono incontrate nei giorni scorsi per gettare le basi per una cooperazione inter-asiatica economica e monetaria. Cosa augura ad Obama? Ma lei è stato contattato? Ed è vero che sta investendo in Borsa? Barack Obama ha tutte le qualità e l´intelligenza per essere un grande presidente. Certo, le condizioni sono disastrose, stiamo attraversando la più grave crisi degli ultimi 60 anni, e i tempi di recupero non saranno immediati. Però ha le migliori idee e il miglior team per realizzarle, da Larry Summers a Tim Geithner, il ministro del Tesoro, dal superconsulente Paul Volcker a Mary Shapiro (nominata ieri a capo della Sec, ndr). Quanto a me, ho già lavorato con l´amministrazione Clinton, e ora preferisco mantenere l´attuale posizione, da un lato di docente universitario e dall´altro di consulente tramite la mia newsletter, che per fortuna va molto bene (Rge Monitor, ndr). Dagli ambienti politici, in tutti questi mesi mi hanno telefonato spesso, non le dirò chi, per chiedermi consigli: spero che continueranno a farlo. Se sto investendo in Borsa? Diciamo che io sono il tipico investitore "passivo". Non mi preoccupo dell´andamento del breve termine. Se mi chiede se da qui a 20 o 30 anni sarà stato un buon affare, migliore di tanti altri investimenti, le rispondo certamente di sì. Sul breve e medio il discorso è molto diverso. Come dicevo, neanche Obama può fare miracoli.