"Per l’auto Usa bancarotta ordinata" di Glauco Maggi, La Stampa, 19/12/2008, pag. 37, 19 dicembre 2008
Il presidente Bush vuole una «bancarotta ordinata», le tre moribonde dell’auto di Detroit chiudono gli stabilimenti per mostrare dal vivo lo scenario di un fallimento: produzione ferma, lavoratori a casa, indotto colpito a morte
Il presidente Bush vuole una «bancarotta ordinata», le tre moribonde dell’auto di Detroit chiudono gli stabilimenti per mostrare dal vivo lo scenario di un fallimento: produzione ferma, lavoratori a casa, indotto colpito a morte. Ore decisive per General Motors, Chrysler e Ford Motor, che hanno bussato due volte al Congresso chiedendo prima 25 e poi 34 miliardi di dollari per evitare la bancarotta, ma sono state respinte dai senatori repubblicani e dall’opinione pubblica, a maggioranza contro il salvataggio. Ridotta a 15 miliardi la richiesta, i top management sono ora appesi alla decisione di Bush, che aveva espresso il suo appoggio alla legge passata alla Camera e bocciata in Senato e ha poi promesso che non avrebbe abbandonato le tre aziende. La sua soluzione, ha spiegato ieri parlando in un tempio del libero mercato, il pensatoio American Enterprise Institute, sarà quella della «bancarotta ordinata». Bush vuole salvare l’industria, ma non pagherà due mesi di stipendi senza una seria prospettiva di ripresa. E le trattative di queste ore, condotte dal ministro del Tesoro Henry Paulson, sono con tutti gli interessati: aziende, sindacati e azionisti. Per una «bancarotta ordinata», infatti, occorre capire - prima del ricorso al capitolo 11 del fallimento - quali concessioni ogni controparte è disposta a fare. Parallelamente alle richieste del governo, piani industriali fatti di tagli e ristrutturazioni, tra General Motors e Chrysler si sono anche riaperti i colloqui per studiare una acquisizione-fusione che sarebbe utile per generare risparmi. «Sono un uomo del libero mercato, e penso che le compagnie fallimentari debbano fallire», s’è difeso Bush. «In circostanze normali, non c’è dubbio che un tribunale fallimentare sarebbe il modo migliore per trattare crediti, debiti e ristrutturazioni. Ma non sono tempi normali, questo è il problema». Il fantasma è un collasso incontrollato, con effetti a catena su fornitori e concessionari e «uno choc al sistema. Il presidente non lo consentirà», ha detto la portavoce Dana Perino, aggiungendo che tra le opzioni possibili per il reperimento del denaro c’è il ricorso al fondo da 700 miliardi che il Congresso messo sul piatto per le banche. Un’ipotesi è quella di elevare a «istituzioni parabancarie» le società di prestiti agli acquisti, come Gmac e Chrysler Financial - braccio finanziario delle aziende automobilistiche - per dribblare l’ostilità del ministero del Tesoro a fare eccezioni nella destinazione dei finanziamenti. «C’è un modo ordinato di fare le bancarotte che garantisce un atterraggio più morbido. Penso che sia quello di cui si deve parlare adesso», aveva anticipato la portavoce del presidente alla notizia che molte fabbriche sarebbero state chiuse dal prossimo fine settimana fino all’insediamento di Obama il 20 gennaio. Gli annunci degli stop produttivi imminenti hanno avuto l’effetto di uno choc. L’appello più drammatico è venuto da Chrysle: chiuderà subito, e per un mese, i suoi 30 stabilimenti in Nord America. Ford, che abitualmente ferma le sue attività due settimane per fine anno, ha già detto che prolungherà di «almeno una settimana». Anche Gm è sulla via della fermata: ha pianificato vacanze forzate per una ventina di stabilimenti tra Usa e Canada durante il primo trimestre. I periodi non sono ancora stati fissati.