Francesco Ruggeri, Libero 19/12/2008, pagina 25, 19 dicembre 2008
Libero, venerdì 19 dicembre 2008 L’accordo fra Stati Uniti e Iraq sul ritiro totale e incondizionato delle truppe americane, firmato domenica in quel di Bagdad, è stato vissuto dai media internazionali come il sigillo della presunta resa di Bush
Libero, venerdì 19 dicembre 2008 L’accordo fra Stati Uniti e Iraq sul ritiro totale e incondizionato delle truppe americane, firmato domenica in quel di Bagdad, è stato vissuto dai media internazionali come il sigillo della presunta resa di Bush. Cacciato anche simbolicamente a scarpe in faccia, allo scadere del mandato Onu. Quasi un’ammissione postuma dell’errore compiuto con l’invasione del 2003, e insieme il tardivo risveglio circa la necessità di levare le tende, restituendo piena sovranità ai legittimi proprietari. Ma evidentemente i signori della grande stampa, nell’euforia dell’annuncio, non si son presi il disturbo di reperire le 25 pagine del documento originale nella sua interezza. Altrimenti si sarebbero accorti come, nelle pieghe dei 30 articoli, si delinei l’esatto contrario di un disimpegno militare da parte statunitense. Noi invece l’abbiamo fatto, passando al setaccio la versione ufficiale dello Status of force Agreement (’Sofa”) consegnata al premier Al-Maliki, e ottenuta sottobanco dal quotidiano iracheno Al Sabah. Trovandovi la conferma di ciò che alcuni docenti di legge vanno dicendo anche in America, sulla scorta della medesima fonte, stimolando l’outing di alti papaveri della difesa. Vale a dire che i supporter di Al Qaeda hanno poco da esultare: i G.I. (soldati semplici) resteranno in Iraq ben oltre la scadenza del 2012, magari sotto un vessillo e con una missione solo in apparenza diversi. l’accordo l’ultimo lascito di George W. al suo più acerrimo critico in tema di guerre. Una polpetta avvelenata per Barack Obama. Neppure un singolo marine sul suolo iracheno dal 1° gennaio 2012, e ritiro nelle basi fuori città già dal 30 giugno. Nel frattempo, controllo totale del governo di Bagdad su operazioni militari, spazio aereo e Green zone. Sull’ingresso di uomini e mezzi Usa, e persino sulle loro mail. Quindi giurisdizione autoctona sui contractors, e niente attacchi a stati confinanti dal territorio nazionale. Questo, secondo giornali e tv, il contenuto del ”Sofa” estorto dal parlamento del Paese mesopotamico. Un quadretto edificante. Che tuttavia sprofonderebbe l’Iraq nel caos più totale, o in mano a un nuovo regime teocratico. Così devono averla pensata anche i vertici dell’esercito statunitense negoziando l’accordo, al quale cediamo senza indugio la parola. Il nostro excursus comincia dall’articolo 27, intitolato ”Deterrenza dei pericoli per la sicurezza”. Dove si afferma che «al fine di mantenere sicurezza e stabilità in Iraq, nel caso di qualsiasi minaccia o aggressione interna o esterna che ne violi stabilità, integrità e democrazia, le due parti (Usa e Iraq) inizieranno immediati colloqui, e sulla base di decisioni comuni gli Stati Uniti adotteranno le appropriate misure, incluse quelle militari, per contrastare la minaccia». Tener fede a tale impegno senza americani in loco, è ovviamente un’utopia. D’altronde, nel preambolo al documento, americani e iracheni «riconoscono l’importanza di rafforzare la sicurezza congiunta e combattere il terrorismo in Iraq, cooperando nella difesa per contrastare aggressioni e minacce alla sua unità e democrazia». A questo scopo il governo iracheno chiede alle forze statunitensi «assistenza per mantenere sicurezza e stabilità», e «cooperazione nel condurre operazioni contro Al Qaeda, gruppi terroristici fuorilegge o i fedeli al passato regime». Lo prevede l’articolo 4, aggiungendo una postilla chiave: «Entrambe le parti mantengono il diritto alla legittima autodifesa all’interno dell’Iraq». Sempre le autorità irachene possono inoltre chiedere (art. 22) «assistenza al fine di detenere o arrestare ricercati» (il divieto di ispezione per l’armata yankee decade «nei casi di combattimento in atto»), o financo «supporto nel controllo dello spazio aereo» (art. 9). indispensabili Sin qui la cornice riguardante interventi diretti da parte degli americani. Che li obbligherà a restare nei paraggi. Ma la loro presenza sarà indispensabile anche sul fronte del sostegno al traballante esercito iracheno. Infatti, sempre secondo l’articolo 4, ribadito dal 27, «le due parti continueranno in stretta sinergia a rafforzare le istituzioni militari irachene, inclusi addestramento, equipaggiamento, armamento, costruzione e aggiornamento per le forze di sicurezza nazionali, così da combattere terrorismo e gruppi illegali». E proprio nel suddetto passaggio potrebbe celarsi l’escamotage che scongiurerà il ritiro completo delle truppe dello zio Sam: farle passare da consiglieri-istruttori, forse sotto l’ombrello di una più vasta missione multinazionale. Sul modello della Nato Training Mission Iraq (NTM-I), cui contribuiscono senza polemiche corpi di polizia stranieri. Un’altra pezza d’appoggio preventiva è il fatto che nel glossario del ”Sofa” si identifichino le forze statunitensi col solo personale in servizio per le forze armate, i loro veicoli militari coi mezzi pesanti «specifiche insegne del contingente Usa», e le basi da restituire con quelle occupate dalle combat forces. A tagliare la testa al toro ci pensa comunque la clausola sui meccanismi di implementation, che condiziona l’apparato normativo. Senza i decreti attuativi che un Comitato di coordinamento militare congiunto (Jmocc) ha il compito di implementare, l’intero ”Sofa” (già sospetto di incostituzionalità, poiché mero ordine presidenziale non votato dal Congresso) è carta straccia. L’articolo 23 si limita però a delineare tale ente, lasciando il resto alla buona volontà dei componenti, che intervengono «quando ce n’è bisogno». i vincoli Il problema è che tutto, dalla natura delle operazioni (art. 4) al destino delle basi (art. 5) all’eventuale ritiro, risulta vincolato a ulteriori accordi. Da raggiungersi in seno all’Jmocc. E non che nei singoli articoli mancassero i distinguo, rispetto al messaggio passato dall’informazione. L’elenco è perlomeno sorprendente: «Al ritiro, il governo iracheno può concedere alle forze Usa l’uso di installazioni»; «I membri delle forze Usa possono entrare in Iraq con ordini di viaggio emessi anche solo dagli Stati Uniti»; «I veicoli militari Usa sono esenti da requisiti di licenza e registrazione». E ancora: «Veicoli e navi Usa possono entrare e muoversi in Iraq»; «Militari e civili delle forze Usa hanno diritto a portare armi americane»; «Gli Usa hanno precedenza giurisdizionale sui membri militari e civili delle loro forze: quando uno viene arrestato, va consegnato alle autorità americane entro 24 ore». Oppure: «Il governo iracheno può chiedere appoggio alle forze Usa per tenere sicura la Green Zone» (art. 28). E infine l’articolo 19: «le mail spedite dal servizio militare sono esenti da controlli». O il 27: «è vietato usare il suolo iracheno per attacchi contro altri Paesi» (di autodifesa però non si parla). L’impegno americano a proteggere l’Iraq senza limiti o scadenze, è confermato da altri due documenti del 2007. Lo Strategic Framework Agreement e la Declaration of principles for a long term relationship. In un Iraq federale, anche singole regioni avranno poi facoltà di stipulare patti a tutela della propria autonomia. Ma giusto una settimana fa è stato il gran capo americano in persona, il generale Odierno, ad ammettere che le truppe Usa «potrebbero rimanere nelle città dopo l’estate», rompendo il tabù sul calendario del ritiro. In settimana il portavoce di Al-Maliki, Al Dabbagh, ha quantificato in un decennio il tempo necessario per rimpiazzare completamente gli americani. E prima di lui il ministro della Difesa Obaidi aveva dichiarato che «alcuni americani saranno richiesti anche dopo il 2011»: riciclati grazie al cavallo di Troia delle 14 basi permanenti, con in testa Tallil, Balad, Al Asad e Irbil. impegno illimitato L’ammiraglio Mullen e diversi suoi colleghi stimano fra 30.000 e 70.000 (contractors esclusi) i soldati a stelle e strisce da riposizionare in un ruolo da addestratori, sfruttando l’implementation. E se alla fine non si trovasse un’intesa? Allora tornerebbe buono l’articolo 30 del ”Sof”. Che riconosce ai contraenti il diritto di recesso, previa notifica per iscritto con un anno di anticipo. Francesco Ruggeri