Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri mattina Gheddafi ha ricevuto altre duecento ragazze, messe insieme dalla solita agenzia specializzata. E ha più o meno ripetuto gli stessi discorsi di domenica: grandezza dell’Islam e necessità di convertirsi, in Libia la donna è più rispettata che in America o in Italia, per esempio non accadrà mai che guidi un autobus o scenda in miniera, Gesù Cristo è stato solo il penultimo profeta, l’ultimo e definitivo essendo Maometto, eccetera eccetera. La mezz’ora di incontro con Berlusconi ha impegnato molte meno righe d’agenzia: l’annuncio che i due hanno parlato di «immigrazione, infrastrutture ed energia» e una dichiarazione di Frattini: «I colloqui sono andati bene. Abbiamo parlato anche di economia internazionale e di come uscire dalla crisi».
• Ma è giusto che questo qui venga in Italia a regalare Corani? E se Berlusconi andasse in Libia a regalare Bibbie?
È quello che si è chiesto Potito Salatto, eurodeputato del Partito popolare e membro della Commissione Esteri europea. Ieri siamo stati sommersi dalle dichiarazioni indignate dei politici d’opposizione, ma – faccio notare – non una parola è stata detta dai membri della Chiesa. E, a parte La Russa («l’ospite è sacro»), gli esponenti del governo non hanno aperto bocca neanche di fronte alle frasi di Livia Turco che accusa Berlusconi di farsi, pure con Gheddafi, gli affari suoi. Stefano Pedica, dell’Idv, ha montato una tenda davanti alla residenza dell’ambasciatore libico, con cartelli rivolti a Gheddafi e a Berlusconi: «Convertitevi alla democrazia». I più duri sono stati quelli di FareFuturo, cioè i finiani-intellettuali: «l’Italia è diventata la Disneyland di Gheddafi, il parco-giochi delle sue vanità senili, ma la ragione è purtroppo politica. Il governo berlusconiano è passato dall’atlantismo all’agnosticismo, dalle suggestioni neo-con alla logica commerciale, per cui il cliente, se paga, ha sempre ragione». Berlusconi, che ieri è apparso meno sorridente del solito, ha liquidato le avventure del raìs come folklore.
• È folklore?
Penso di no. Gheddafi è un uomo politico e ragionerà politicamente. Bisogna guardare la cosa dal suo punto di vista. Gli incontri con le ragazze, Berlusconi che entra nella sua tenda, la folla che gli si fa intorno a Campo de’ Fiori o a piazza Navona formano un formidabile film da proiettare incessantemente alla tv libica, dove la figura del raìs la fa da padrone 24 ore su 24: ecco Gheddafi che gira in macchina per Tripoli e le telecamere si limitano a seguirlo, eccolo subito dopo discutere con qualche tecnico in uno stabilimento, stanno tutti zitti e con le spalle addossate ai muri, il tecnico spiega, Gheddafi ha non solo l’aria di intendersi bene di quello che dice, ma replica qualcosa che sembra colpire il suo interlocutore. A Roma, sia le altre volte che questa, sono stati raccolti formidabili documenti di propaganda. Gheddafi deve tenere soggiogato il suo popolo – appena sei milioni di persone – e ha poi anche un problema di leadership araba e africana. È un sunnita che deve fronteggiare l’invadenza sciita degli iraniani, i quali sono all’opera per la conquista spirituale e materiale dell’Iraq e, attraverso l’Iraq, del mondo islamico. Sulla stampa araba – “Al-Jamahiriya”, “Arab on line”, la londinese “Al-Hayat”, “Al-Sharq al-Awsat” – ieri mattina era tutta un’esaltazione dei trionfi di Gheddafi in Italia.
• È vero, come scrive FareFuturo, che noi ci acconciamo a subir tutto nella logica del cliente che ha sempre ragione?
Sì, ma vorrei ricordare che il filo-arabismo italiano risale al tempo dei tempi e ha un campione assoluto in Andreotti, che ama gli arabi al punto da aver detto, una volta, che se fosse nato in Palestina si sarebbe schierato con i terroristi. Del resto, proprio la rivista di Andreotti – 30 giorni - ha pubblicato l’integrale dei discorsi di Gheddafi. Quindi, è storia vecchia.
• Questo cliente che paga, paga almeno bene?
Vi sono due contro-indicazioni alla pratica di fare affari con i libici. La prima: è un mercato microscopico, di appena sei milioni di persone. Dunque, è un posto insignificante per le imprese che cercano sbocchi per i loro prodotti. La seconda: Gheddafi è del ’42, dunque sta per compiere 70 anni. Una preoccupazione minima per la fine del regime esiste. Dovrebbe succedergli il figlio, ma quelli sono posti pieni di incognite.
• E allora dove sta la convenienza di lasciargli girare i suoi spot qui da noi?
La Libia è zeppa di gas e petrolio e, come abbiamo già raccontato ieri, l’Eni pompa da quel deserto 800 mila barili di greggio al giorno. La Libia è poi piena di soldi. Non creda che si siano fatti finanziare solo l’Eni e l’Unicredit. Persino il Financial Times, con tutta la puzza sotto il naso che ha quel giornale, non ha fiatato quando Gheddafi s’è comprato il 3% della casa editrice. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 31/8/2010]
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