JEAN-PIERRE LANGELLIER, La Stampa 31/8/2010, pagina 16, 31 agosto 2010
Cile, voci dalla miniera “La notte ci consuma” - Mario, Franklin, Victor e gli altri. «I trentatré»
Cile, voci dalla miniera “La notte ci consuma” - Mario, Franklin, Victor e gli altri. «I trentatré». I minatori di San José sono i nuovi eroi del Cile. A 700 metri sotto terra. Miracolati. Sopravvissuti a una frana che li ha intrappolati in una galleria senza più sbocco, il 5 agosto. Da quando si è saputo che erano ancora vivi, che possono scrivere alle loro famiglie, e soprattutto dopo che si sono filmati in due lunghi video, l’ultimo ieri, che hanno fatto il giro del mondo, il loro dramma cattura e stupisce. Il loro coraggio, la loro fiducia, l’intelligenza con la quale hanno saputo restare in attesa dei soccorsi, la resistenza che continuano a mostrare, anche sapendo che dovranno stare là sotto per settimane, molto probabilmente mesi, suscitano l’ammirazione generale. «I 33» hanno animato un movimento spontaneo e potente di solidarietà nazionale. Sono fonte di orgoglio collettivo in un Paese colpito appena sei mesi fa da un grave terremoto e da uno tsunami che, fra le lentezze, la disorganizzazione dei soccorsi, i saccheggi, aveva messo in luce l’inefficienza statale e una certa frattura sociale. «Un pugno di minatori ci ha dato una lezione che non abbiamo il diritto di dimenticare», commenta lo scrittore Roberto Ampuero, sul quotidiano «La Tercera». Dopo quasi un mese, i «33» hanno volti emaciati e barbuti, stanno a torso nudo, luccicanti di sudore nella fornace sotterranea, corpi smagriti, sguardi intensi, voci che raccontano e stupiscono quando intonano l’inno nazionale: «Puro, o Cile, è il tuo cielo azzurro». Fanno anche battute, scritte di pugno in messaggi che salgono in superficie nelle «palomas», i piccioni viaggiatori metallici che fanno su e giù con la caverna attraverso una sonda, in dodici minuti. Uno di loro, ieri, ha fatto sapere alla fidanzata che non ha più dubbi: «Quando uscirò di qui ti sposerò in Chiesa, lo prometto». In superficie, davanti alla tenda che la famiglia ha piazzato all’ingresso della miniera, Pedro, fratello di Victor Segovia, 48 anni, legge e rilegge con inquietudine il foglietto spiegazzato scritto fittamente: «A te, Panchito, non mentirò. Siamo messi molto male. Quest’acqua che abbiamo bevuto... poteva esserci dentro di tutto». Il minatore chiede di sua figlia Maritza, 23 anni, di mandargli una penna e un quaderno, perché è stato incaricato di tenere il diario di bordo. Poi racconta il momento della frana. «Abbiamo pensato a un terremoto. La galleria era piena di polvere. Abbiamo aspettato molte ore. A un certo punto abbiamo cercato di risalire. Impossibile». Gli ingegneri hanno calcolato, in seguito, che 700 mila tonnellate di roccia avevano ostruito la rampa di accesso al giacimento, a circa 500 metri di profondità. «Questo inferno mi sta uccidendo - continua Victor -. So di essere forte. Sogno di notte un bell’asado e quando mi sveglio mi ritrovo in questa oscurità perpetua che ci consuma giorno dopo giorno». Poi rassicura i famigliari: «Siate forti fino alla fine. Se Dio lo vuole, uscirò di qui». Prima dell’incidente chiamava spesso la miniera «mattatoio umano». Mario Sepulveda, 40 anni, è la «vedette» del momento. Questo elettricista, padre di due bambini - Scarlett (18 anni) e Francisco (otto) - ha organizzato e commentato in presa diretta, come un regista, l’ormai famoso video nel quale presenta i differenti angoli del rifugio sotterraneo e dà la parola a quasi tutti i suoi compagni (soltanto cinque non si sono espressi). «Mi emoziona ancora - racconta sua moglie, Elvira Valdivia -: è un leader nato, un sindacalista, ha una forte personalità». Quattro anni fa, ricorda, è sfuggito per un pelo alla morte in un incidente d’auto, nel quale gli altri due passeggeri erano morti. E nel 2009 una macchina enorme gli era caduta addosso. Gli era andata bene: due mesi con il gesso. «Ha molta fortuna - continua la moglie - Ce la farà anche questa volta». Il 22 agosto, un altro Mario era diventato famoso. Mario Gomez, 63 anni, padre di quattro figli, il veterano del gruppo. È stato lui a scrivere, con l’inchiostro rosso, il primo messaggio portato in superficie dalla sonda: «Stiamo bene, siamo nel rifugio, in 33». Queste poche parole, brandite poco dopo davanti alle telecamere dal presidente Sebastian Piñera, avevano fatto scendere migliaia di cileni nelle strade, come per un trionfo sportivo. Figlio di minatori, Mario Gomez ha cominciato a lavorare a dodici anni a fianco di suo padre. Conducente di mezzi a San José, da nove mesi trasportava il minerale da dentro a fuori la miniera. Doveva andare in pensione alla fine dell’anno. Lo chiamano il «navigatore», per il suo passato nella marina mercantile. Soffre di silicosi. Sette anni fa ha perso due dita in un incidente. Luis Urzua, 54 anni, è uno dei leader del gruppo. Questo topografo era caposquadra al momento della frana. È lui che ha parlato con il presidente Piñera nel primo colloquio tra il fondo e la superficie. Gli aveva chiesto di «tirarli fuori da quest’inferno» ma aveva auspicato però che il Paese festeggiasse il Bicentenario dell’indipendenza (il 18 settembre) «nell’allegria e pensando a noi». Franklin Lobos, 53 anni, è l’unico che si era fatto un nome prima dell’incidente. Era un calciatore professionista negli Anni Ottanta. È quello che è diventato minatore più di recente. Prima guidava i camion che trasportavano i minatori al giacimento tutte le mattine. Victor Zamora, 33 anni, aveva fama di simpaticone. Il suo umore, precisa la madre, Nelly Burgueno, si è però incupito due mesi fa, quando era scampato per poco a un altro incidente, nel quale un compagno, con una gamba maciullata da una roccia, aveva dovuto subire un’amputazione. José Henriquez, 56 anni, trentatré passati in miniera, voleva lasciare San José, «una collina maledetta», diceva a sua moglie. La sua settimana di lavoro era finita, si preparava a fare diciassette ore di pullman per raggiungere la famiglia a Talca, a Sud di Santiago. Evangelista praticante, è su di lui che contano gli psicologi come consigliere spirituale del gruppo. Per molti di questi minatori la fede religiosa è fonte di forza. Nelle loro lettere invocano l’aiuto di Dio, di Gesù, della Vergine, di alcuni santi. Nell’accampamento «Speranza», in superficie, le famiglie hanno innalzato una grande statua della Madonna, e i ceri bruciano tutt’attorno, vicino all’ingresso della miniera. Un giovane pastore avventista, vestito di nero, Carlos Para, ci mostra una mini Bibbia, con una dedica a tutti e 33 i prigionieri, che poi ha inviato attraverso la «paloma», il «piccione viaggiatore» nel sottosuolo. I medici hanno incaricato Jonny Barrios, 52 anni, di vegliare sulla salute dei compagni. Possiede un prezioso sapere medico di base, acquisito curando la madre diabetica. L’hanno incaricato di fare prelievi di sangue e di urina che saranno mandati in superficie per le analisi. In un messaggio a sua moglie le ha chiesto di assicurarsi che la compagnia mineraria «continui a pagarmi il salario». E ha aggiunto: «Sto bene, ma tiratemi fuori. Vivo o morto». Nella galleria l’umidità è vicina al 95 per cento. È la più seria minaccia alla salute dei prigionieri. L’umidità favorisce il proliferare di germi e di infezioni alla pelle e ai polmoni. Il caldo intenso - oltre trenta gradi - accresce i rischi di disidratazione e denutrizione acute. I minatori dovranno bere cinque litri di acqua potabile al giorno. Hanno cominciato a ricevere unguenti e creme. Un getto di aria fresca dovrebbe in breve tempo purificare quell’atmosfera ammorbata. Il carattere inedito, per la sua durata, di questa operazione di salvataggio obbliga i soccorritori a inventare soluzioni adeguate. Tutti gli oggetti che vengono calati nella sonda devono avere un diametro massimo di dodici centimetri. «La letteratura medica non ci è praticamente di nessun aiuto», ammette il ministro della Sanità, Jaime Manalich. Tutti sperano soprattutto che nessuna malattia che richieda un intervento chirurgico colpisca i minatori nei prossimi mesi. Michael Duncan, uno dei medici nel board della Nasa, sta per arrivare in Cile, proveniente da Houston. Guida una équipe di quattro specialisti che trasmetterà ai cileni l’esperienza acquisita dall’ente spaziale americano nei viaggi di lunga durata nello spazio, per certi versi simili a quello che stanno passando i minatori nelle viscere della Terra. Il salvataggio dei «33» sta già mobilitando trecento uomini, quasi dieci persone altamente specializzate per ciascuno dei prigionieri. I minatori hanno lasciato il loro primo rifugio, troppo insalubre, e si sono radunati in una galleria di un centinaio di metri, «asciutta» e messa in sicurezza. Hanno ricevuto vestiti di ricambio leggeri, calze con fili di rame anti-batteri, lampade fluorescenti di diversi colori che permettono di ripristinare il ritmo biologico normale, con il giorno che si alterna alla notte. Ma «i 33» hanno ricevuto anche qualcosa con cui divertirsi: lettori MP3 per ascoltare la musica preferita, dadi da gioco, proiettori video con dvd di partite di calcio. I film saranno invece selezionati con cura da una équipe di psicologi. Non bisogna, infatti, dare ai prigionieri emozioni troppo forti. Copyright Le Monde