Alberto Arbasino, la Repubblica 31/8/2010, 31 agosto 2010
TRE DON GIOVANNI DA RICORDARE
Di Molière, allo Stadttheater di Salisburgo. Diretto da Ingmar Bergman, tra le sue frequenti e tradizionali messinscene drammaturgiche anche nella vicina Monaco. Un Don Giovanni anziano, sempre in giro a piedi, secondo un testo che (come in Mozart) non prevede vetture né cavalcature. Dunque, la sera, coi piedi a bagno in una vaschetta d´acqua calda, col servo che versa dentro i saltrati, e ammicchi di sollievo.
Di Richard Strauss, a Praga. Sergiu Celibidache molto anziano dirige con i "suoi" Münchner Philarmoniker il poema sinfonico Don Juan come un´epitome di serenità apollinea raggiunta dopo le tempeste. In seguito, caduti i muri e le barriere, per le buone cure del presidente germanico von Weizsächer (che già l´aveva voluto con la Seconda di Brahms nel viaggio di Stato a Roma), allo Schauspielhaus berlinese dirige per una sola volta, con Bruckner, e per una beneficenza romena, i Berliner. Chiudendo un brutto contenzioso: li aveva infatti diretti nel dopoguerra, con la sua cittadinanza romena, quando Furtwängler e Karajan erano sotto epurazione. Ma poi gli ex-collaborazionisti rientrarono.
Di Mozart, ancora a Salisburgo, quando si era deciso di tornarvi per le ultime stagioni di Karajan. Molto malato e vicino a morire, Karajan praticamente portato a braccia e rattrappito su se stesso lo dirige con un Samuel Ramey smarrito nel Nulla cosmico, e nell´enorme sala. Quanti decenni passati dopo il Mario Petri luminoso e dorato nei primi Don Giovanni di Karajan alla Scala, con la Schwarzkopf, la De Los Angeles, la Noni...