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 2010  agosto 31 Martedì calendario

IL FUTURO DI «NONNA RADIO». UN MEZZO (ANCHE) DA VEDERE

Da Parigi arriva una spinta alla radio digitale. Il governo francese ha infatti deciso di imporre lo switch-over a partire dal 2012. Nella televisione l’Europa ha scelto la strada dello switch-off, che prevede lo spegnimento della tecnologia analogica allo scopo di liberare frequenze. Nel caso della radio invece si è preferito far sì che la vecchia tecnologia (la modulazione di frequenza) coabiti accanto alla nuova: lo switch-over, appunto. Per i produttori di auto, ciò comporterà l’obbligo di montare radio digitali su tutti i modelli a partire da quella data.
La decisione d’Oltralpe ha riacceso l’interesse sulla radio digitale e sull’evoluzione di un vecchio mezzo sempre nuovo. Sopravvissuta incolume all’impatto con la televisione, la radio avanza anche nell’era di Internet: con i suoi 35 milioni di ascoltatori quotidiani in Italia, la nonna dei media sta seguendo due percorsi di ricerca: la digitalizzazione delle trasmissioni e la cosiddetta «ibridazione» con i nuovi media. In questo articolo ci concentriamo sul primo. In Italia, attualmente, la radio digitale copre il 40% della popolazione con lo standard internazionale Dab-Dmb (Digital audio multimedia broadcasting). Il programma dell’autorità per le Comunicazioni Agcom prevede che la diffusione della radio digitale segua la stessa road map della tivù digitale terrestre, illuminando progressivamente tutto lo Stivale secondo il medesimo calendario.
La radiofonia digitale è un’innovazione che procede senza soste dagli anni 90. «Entro la prima metà del 2011 — dice Alberto Morello, direttore del Centro Ricerche Rai di Torino e presidente del comitato tecnico della European Broadcasting Union — definiremo una tecnologia per la radio e la televisione mobile di nuova generazione, il cosiddetto Dvb-Ngh (Digital video broadcasting - Next generation handheld, ndr). Questo sistema avrà capacità di molto superiori all’attuale Dab-Dmb, che già garantisce qualità audio simile al cd».
La radio insomma è destinata a diventare sempre più televisiva, un mezzo da vedere oltre che da ascoltare; e sempre più bidirezionale e interattiva, capace di dare servizi a richiesta dell’ «ascoltatore». Già oggi, le radio digitali in commercio hanno un piccolo monitor su cui si può ricevere una scheda video sul brano musicale che si sta ascoltando e conoscerne interprete, titolo e album. Con lo sviluppo dell’interattività e l’integrazione nella radio di un canale a banda larga (Umts o Wifi) si potranno anche acquistare il cd o la singola canzone come si fa sul sito iTunes della Apple. Che perderà un po’ della sua centralità.
Questi passi tecnologici non vengono compiuti da singoli scienziati, singoli laboratori o singole aziende ma da gruppi di lavoro internazionali collegati a università e centri di ricerca, a cui partecipano le maggiori emittenti. E la partecipazione si allarga sempre più — ecco la novità — al resto del mondo e in particolare agli asiatici: ne fanno parte, ad esempio, esperti di aziende come la giapponese Panasonic e le coreane Samsung e Lg. E non a caso proprio in Corea del Sud è stato lanciato con successo il Dmb (Digital multimedia broadcasting), evoluzione del Dab e del Dab+. Il grande vantaggio di scegliere standard aperti è infatti la creazione di un mercato globale, con un enorme abbattimento dei costi delle radio.
Un caso a parte è la Cina, che da un lato sviluppa tecnologie per il mercato interno e dall’altro produce radio a standard aperto per il resto del mondo, spesso senza pagare le royalty dei brevetti. Come difendersi? «Affidando la tutela dei brevetti — dice Gino Alberico, responsabile nuove tecnologie al Centro Ricerche Rai — alle agenzie internazionali specializzate». Ma potrà bastare una strategia legale?
Edoardo Segantini