JENNER MELETTI, la Repubblica 31/8/2010, 31 agosto 2010
RIVOLTA NELLA FOOD VALLEY EMILIANA CONTRO LE CENTRALI A BIOMASSA - PALANZANO (PARMA)
Raccontano, su queste montagne, che il Marino, il vento che arriva dal mare, è prezioso come la nebbia attorno al Po. «La nebbia è indispensabile per i culatelli di Zibello. Il Marino raccoglie invece i profumi dei castagni e li porta negli stabilimenti di stagionatura dei prosciutti. E´ per questo che sono speciali». Il vento del mare oggi rischia però di portare verso la valle ben altri odori: polveri sottili, Pm10, monossido di azoto, ceneri uscite da nuove centrali a biomassa e a biogas che stanno spuntando come funghi poco sotto il crinale dell´Appennino. «Qui da noi - dice Franco Ferrari, presidente di un comitato di protesta nato a Palanzano - abbiamo solo tre tesori: l´aria, l´acqua, la natura. Ma c´è chi vuole fare soldi in fretta e rischia di rovinare tutto». Le alte valli Parma, Cedra ed Enza sono la porta d´ingresso, dalla parte dei monti, della food valley più famosa d´Italia: quella del Parmigiano reggiano e del prosciutto. «Noi non siamo - racconta Maria Carla Magnani, che presiede un altro comitato a Corniglio - contro il progresso e tanto meno contro imprese che diano lavoro. Ci sono centrali a biomasse o biogas che funzionano benissimo, ad esempio in Trentino Alto Adige, ma quelle sono state studiate bene e hanno un impatto positivo sul territorio. Sono progettate e gestite dai Comuni o comunque da enti pubblici. Da noi ci sono invece solo imprese private che provocherebbero soltanto devastazione».
Si incontrano i piccoli dei caprioli e dei cervi, sulle strade di Vaestano. In questa frazione di Palanzano - quaranta abitanti d´inverno, centinaia in estate - si vogliono costruire due impianti. «Si tratta di due centrali - dice Franco Ferrari - entrambe con una potenza di 999 kw l´una. Questo perché, per una potenza inferiore ai 1.000 kw, non servono autorizzazioni provinciali o regionali: basta una Dia, dichiarazione inizio attività, consegnata al Comune. Ambedue gli impianti sono sproporzionati. La centrale a biogas, per funzionare, dovrebbe usare 300 tonnellate di liquami di stalla al giorno, ma qui a Palanzano sono rimaste tre o quattro stalle e la più grande, con 150 vacche, ha già un impianto a biogas che funziona benissimo. I liquami dovrebbero essere dunque raccolti in un raggio di cinquanta chilometri, anche in provincia di Reggio Emilia. Una via vai di cisterne, anche perché il residuo solido - pari al 60 - 80% del totale - viene riconsegnato ai produttori. Il residuo così trattato è difficilmente utilizzabile. A Pilastro di Langhirano i coltivatori hanno protestato perché il residuo di un´altra piccola centrale danneggia il foraggio destinato alle vacche del parmigiano. E non abbiamo notizie sugli impianti di depurazione. Perché fare una centrale così in una località, Nacca, dove c´è una sola strada larga due metri e mezzo, praticamente un senso unico?».
Anche la biomassa crea problemi. «Serve la legna dei boschi ma qui nessuno ha interpellato i proprietari. Il rischio è che il cippato arrivi da fuori, il porto di La Spezia non è così lontano. A volere la centrale è un Consorzio volontario di agricoltori locali, che ha una sede presso un commercialista ma non ha capitale sociale. Eppure è previsto un investimento di almeno 6 milioni di euro. Il rischio è evidente: si ottengono le autorizzazioni, si parte in qualche modo, si costruisce e poi arriva chi è in grado di pagare davvero l´investimento. E´ per questo che abbiamo raccolto 1.400 firme - fra i residenti e chi è nato qui poi è andato a studiare e lavorare lontano ma non ha lasciato la propria casa di montagna - e le abbiamo consegnate al sindaco Giorgio Maggiali. Per ora non abbiamo avuto risposte esaurienti».
Anche a Corniglio il comitato Pro Val Parma ha fatto conti precisi. «Per alimentare la "nostra"centrale a biomassa - racconta la presidente Maria Carla Magnani - servono 13.000 tonnellate di cippato (legna tritata) all´anno, con uno stoccaggio di 100.000 tonnellate di legname. Per questo sarebbero necessari 100.000 chilometri quadrati di bosco e noi ne abbiamo diecimila, il 40% dei quali inaccessibili e 1.800 demaniali perché dentro a un parco. I rimanenti 4.200 ettari in cinque o sei anni verrebbero rasi al suolo per dare da mangiare alla centrale. Questo ovviamente non è possibile. E allora, per alimentare l´impianto, dovranno arrivare centinaia di Tir da lontano. La stessa stazione di stoccaggio è prevista a Villafranca Lunigiana, più di quaranta chilometri di strade di montagna».
Un investimento di 5 milioni di euro, da parte di una Sas con 10.000 euro di capitale, costituita all´inizio del 2010. «La nostra paura è che dentro al cippato possa finire di tutto, anche le porcherie e che una volta avviata la centrale possa trasformarsi in un inceneritore mascherato. Anche noi abbiamo pronte 1.500 firme di protesta. Sappiamo che verranno prodotte 260 tonnellate di ceneri all´anno. Dove andranno a finire?». Tante domande ancora senza risposta e una paura: che il Marino possa essere cancellato dal profumo dei soldi.