BRUNO VENTAVOLI, La Stampa 31/8/2010, pagina 23, 31 agosto 2010
La reggia di Venaria nell’occhio di Google - Pedala, pedala, e qualcosa resterà. Anzi, si vedrà
La reggia di Venaria nell’occhio di Google - Pedala, pedala, e qualcosa resterà. Anzi, si vedrà. Strade, statue, fili d’erba. Ieri, sotto un cielo limpido spazzato dal vento, un triciclo s’aggirava nei giardini squadrati della Reggia di Venaria. L’Alfieri nel ‘700 voleva riprodurre su quel terreno che fugge verso le Alpi, tra aiuole e piante, la potenza geometrica dello stato sabaudo. Ora il «trike» di Google - in inglese significa appunto «triciclo» - ha pazientemente esplorato ogni passo del parco per tradurlo in immagini tridimensionali che ogni navigante del web potrà osservare sulle mappe del famoso motore di ricerca. L’obiettivo è quello di permettere visite virtuali nei luoghi più belli della Terra. Nel catalogo di Street View sono già entrati simboli dell’immaginario planetario, come Stonehenge e Santiago de Compostela; la lista s’allungherà con una «Special collection» di bellezze italiche. Venaria è la prima tappa piemontese d’un tour che comprenderà qualche centinaio di posti. Al momento ne sono disponibili diversi, da Pompei a San Gimignano. C’è anche il centro storico dell’Aquila e per capriccio della sorte gli uomini di Google sono passati laggiù prima del terremoto: le loro immagini di case, vicoli, fontane, resteranno per sempre a documentare la città abruzzese sfregiata dal sisma. Il progetto Street View è iniziato nel 2007. Il meccanismo è semplice. Un’auto, una «google car», gira per le strade di una città e scatta migliaia di immagini per ricostruire metro per metro l’intero panorama urbano. Nei vicoli tortuosi dei centri storici, nelle zone pedonali, o nei parchi come quello della Venaria, le macchine non possono circolare. Le sostituisce il «trike», un misto di energia umana, antica quanto il velocipede, e di raffinata tecnologia informatica. Ha l’aspetto dei trabiccoli molto vintage usati dai gelatai. Nel cassonetto è piazzato un generatore a gas che serve per alimentare il computer di bordo, e si mette in moto tirando una cordicella come un tosaerba da svago domenicale. Su un albero alto due metri e mezzo sono sistemate nove fotocamere digitali e tre laser, che servono a dare la profondità dell’immagine. Alla guida c’è un ragazzo, che pedala avanti e indietro (munito di casco per la sicurezza). E’ lui il cuore dell’operazione. I tour virtuali che ognuno potrà effettuare dal web nascono dai suoi muscoli, dal movimento delle sue cosce, perché anche la tecnologia più raffinata è bagnata sempre, per fortuna, da qualche stilla di sudore umano. Si chiama Andrea Dosreismiranda; un padre brasiliano, che gli ha lasciato il colore bruno della pelle, una mamma napoletana, che gli tramandato il marcato accento partenopeo. Ha 28 anni, studiato economia, messo su una piccola azienda di pulizie. Poi ha deciso di mollare tutto per sposare Google e la sua filosofia di racchiudere il pianeta nella rete del web. Un’agenzia interinale gli ha proposto di diventare un triciclista per Mountain View l’anno scorso. Da quel giorno è diventato un randagio d’Italia. Vive on the road lungo la penisola per mappare i luoghi di interesse artistico e culturale con un furgoncino che trasporta la bicicletta a tre ruote. Viaggia quasi sempre solo. Autonomo, come un cosmonauta. Arrivato alla destinazione prestabilita pedala, mentre ogni fotocamera scatta due immagini al secondo automaticamente, occhieggia sul computerino del manubrio che tutto vada bene, al termine della sfacchinata ricarica il triciclo sul furgone e riparte verso la nuova meta. Sono solo in due, in Italia, a esercitare questo strano mestiere che ha un po’ del nomadismo stradale di Kerouac e dell’utopia borgesiana di riprodurre carte del mondo precise come il mondo stesso. Requisiti richiesti, buona resistenza ciclistica, capacità di smanettare col pc, una mente un po’ zen per trascorrere le giornate a tribolare tra vestigia storiche e passanti imbambolati. Serve anche sapienza bricolage, perché talvolta capita di forare, e bisogna riparare la gomma da sé (il kit con l’occorrente è a bordo). Il triciclo pesa un centinaio di chili, ma a parte i tratti di suolo sconnesso, non è faticoso da smuovere. Documentare 40 ettari di Venaria è costato circa tre ore di lavoro, 200mila immagini. E qualche sorso d’acqua, elargito da volonterosi assistenti. Per elaborare le immagini ci vorrà più di un mese. I volti di eventuali umani curiosi, o le targhe di auto parcheggiate in zona, vengono oscurate nel nome della privacy (ci pensa il software con la sua intelligenza artificiale). Poi tutto finirà on line. Con il consueto corredo Google di informazioni utili su esercizi commerciali, ristoranti, alberghi, parcheggi, strade. Ora anche il liceale della Kamchatka potrà godersi la Venaria passeggiando col computer di casa propria. Lo spettacolo è più o meno simile, a parte la luce del sole, lo scricchiolio della ghiaia, la molestia degli insetti, e l’insostenibile leggerezza del reale. Uno strumento ottimo per i pigri, per i Salgari del terzo millennio che turisteggiano nel pianeta a volo di mouse. Ma mai sostituto del viaggio vero e proprio. Gli studi dicono che quando un luogo sboccia nell’enciclopedia di Google i visitatori aumentano sempre.