Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 31/8/2010, pagina 80, 31 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
5 febbraio 1960
La dolce vita
Un gruppo di persone tiene d’occhio l’ingresso del cinema Capitol a Milano. Tra di loro spicca l’alta e massiccia figura di un uomo con un cappello a larghe tese. È Federico Fellini, regista del film che si sta proiettando per la prima volta in una sala pubblica: «La dolce vita», tre parole italiane che presto saranno insostituibili in tutte le lingue del mondo occidentale. Fellini non sa davvero come il pubblico prenderà la sua ultima opera. Sebbene sia già un regista da Oscar e abbia trovato subito un produttore disposto a credere nella nuova impresa, le cose si sono poi complicate. La sceneggiatura di Flaiano e Pinelli (ma alcune pagine sono di Pasolini), coi quali ha trascorso le notti in via Veneto per studiare la fauna riprodotta nel film, è troppo approssimativa per convincere i finanziatori, che si ritirano facendosi restituire il cospicuo anticipo. Alla fine subentra Rizzoli, che dà fiducia all’estroso cineasta. Fellini non sa bene lui stesso che film farà. Tutto succederà a Roma e il protagonista sarà un giornalista di mezza tacca sempre impegnato a rincorrere le attualità del momento. Gossiparo, diremmo oggi, e già questa scelta è profetica. L’attore che Fellini impone è Mastroianni, bello, simpatico, elegante, proprietario di un’auto sportiva forse di seconda mano, con una fidanzata gelosa e depressa che tradisce senza il minimo scrupolo. È per il tramite di questo ficcanaso professionista che passeremo da episodio a episodio, da ambiente ad ambiente, dalla frivolezza allo squallore, dall’assurdità alla pena di vivere. «La dolce vita» è in realtà amara, ma Fellini non è un moralista, non fa prediche, segue una sua poetica sbadata e casuale, cambiando a capriccio luoghi e scene, itinerari e attori, costruendo in mesi e mesi di lavorazione la sua allegoria di frivola grandiosità. Gli serve la cupola di San Pietro e se la fa costruire a Cinecittà. Gli serve un tratto di via Veneto e anche quello sarà finto. Vera resta la fontana di Trevi, dove fa immergere per ore, in pieno inverno, la Ekberg e Mastroianni. È vero anche il castello della festa dei nobili e i nobili stessi. Un film difficile, che il pubblico della «prima» non gradisce: Fellini esce dal Capitol sballottato fra spettatori inferociti. E tuttavia «La dolce vita» avrà un successo istantaneo in tutto il mondo. In pochi mesi i soldi spesi nella produzione vengono recuperati, poi raddoppiati, triplicati. Diventa modo di dire, simbolo di Roma e dell’Italia. Osteggiato dal giornalismo cattolico, trova anche da quella parte chi lo vede come un’opera altamente religiosa e nessuno rinuncia, sugli altri giornali, a dire la sua personale sciocchezza in merito. Vince la Palma d’Oro a Cannes, in America diventa per molti cineasti un modello cui ispirarsi. E Fellini diventa Fellini.