Marina Forti, il manifesto 31/8/2010, 31 agosto 2010
L’ONORE RITROVATO DELL’IPCC
Il Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima è «riabilitato», ma dovrà rivedere il suo modo di lavorare nel futuro. Così, con un «voto di fiducia», si è concluso il rapposto del comitato d’indagine indipendente su incarico dell’Onu ha riesaminato il lavoro di questo corpo scientifico, noto con il suo acronimo in inglese (Ipcc), che dal 1990 ha sformato quattro rapporti finora considerati la summa e il consenso della comunuità scientifica circa la scienza del clima.
La revisione è stata condotta da una commisisone formata dal Inter Academy Council, che riunisce le maggiori accademie delle scienze del mondo, e si era resa necessaria dopo nel Quarto rapporto del Ipcc (l’ultimo), del 2007, erano emersi degli errori. Uno in particolare: vi era stato incluso uno studio dell’Università della east Anglia (regno unito) che prevedeva lo scioglimento dei ghiacciai eterni sull’Himalaya nel 2035: previsione malamente sbagliata di parecchi decenni. Un errore simile poteva mettere in dubbio l’intero rapporto: il Ipcc ha da tempo concluso che nell’accumulo di gas di serra nell’atmosfera terrestre, causa del riscaldamento globale e del cambiamento del clima, è «discernibile» l’effetto delle attività umane. Tutto falso? No, anzi, tutto vero. L’«himalayagate» non inficia l’insieme del lavoro e il Ipcc «ha servito bene la società», ha dichiarato ieri Harold Shapiro, economista di Princeton che ha guidato la revisione del lavoro del Ipcc, perché ha messo «sulla scena mondiale il cambiamento mondiale e sollevato la coscienza pubblica» sul problema.
Però, c’è un però. Il Ipcc dovrà portare delle «riforme fondamentali» nel suo modo di lavorare, dicono i revisori. Dicono che il Comitato non ha saputo mettersi al passo con i cambiamenti nella natura del dibattito pubblico sul clima: il suo lavoro è non solo cresciuto in dimensioni e complessità, ma anche molto più sotto il pubblico scrutinio. Una delle riforme suggerite, oltre a migliori controlli interni sui lavori scientifici inclusi nel rapporto finale, è che il mandato della presidenza del Ipcc sia limitata al periodo di tempo di un rapporto, invece dei sei anni attuali.
In altre parole: i riflettori sono ora su Rajendra Pachauri, economista indiano che presiede il Ipcc dal 2002 ed è stato rieletto a un secondo termine nel 2008. Pachauri è sotto scrutinio anche per un possibile «conflitto d’interesse», avendo accettato di lavorare come consulente (ben remunerato) di alcune industrie energetiche a proposito di misure per far fronte al cambiamento del clima. Finora Pachauri ha respinto gli inviti a dimettersi - già fioccati numerosi, sia a proposito del himalayagate che del suo «doppio lavoro». La pressione ora aumenterà, ed è inevitabile.
Shapiro dice che un cambio della guardia porterebbe «un infusione di forze fresche» nel lavoro del Ipcc. Lui non ha nominato l’economista indiano ma poi, a domanda esplicita dei giornalisti, ha ammesso che la «logica conclusione» delle sue parole è proprio quella: che Pachauri dovrebbe farsi da parte e non dovrebbe essere lui a presiedere al prossimo raporto del Ipcc, il quinto, che dovrebbe essere completato nel 2014. A distanza, Pachauri resiste: ha risposto che non mollerà fino a che i 194 governi che controllano il Ipcc non lo sfiduceranno in modo esplicito. Ma ormai sembra proprio che il punto sia: lui, o la credibilità del Ipcc.