MATTIA BERNARDO BAGNOLI, La Stampa 31/8/2010, pagina 25, 31 agosto 2010
L’inglese che si crede un orso polare - La prossima impresa non sappiamo ancora quale sarà, ma arriverà presto
L’inglese che si crede un orso polare - La prossima impresa non sappiamo ancora quale sarà, ma arriverà presto. Servirà, come sempre, ad attirare l’attenzione del mondo sulle sofferenze di un ecosistema. E visto l’andazzo, tra effetto serra e piattaforme petrolifere che saltano in aria, la scelta non manca. Basta dare un’occhiata al suo curriculum vitae per azzardare qualche previsione. Tipo un tuffetto in Groenlandia. Lewis Gordon Pugh, nato a Plymouth, classe 1969, è infatti il primo uomo ad aver conquistato il «Santo Graal» dei nuotatori d’altura: una bella vasca di almeno un chilometro in tutti e cinque gli oceani del mondo. Compreso l’Antartide e il Polo Nord. Lewis è un nuotatore estremo, l’unico essere umano capace, prima di gettarsi nei mari più gelidi della Terra, di alzare la temperatura del proprio corpo di due gradi centigradi. Una passione, quella del nuoto d’altura in acque fredde (in quelle calde grandi sfide degne di nota non ce n’erano più), che lo ha portato a battere tutti i record. E a mettere infine la sua esperienza al servizio della causa ambientalista: per tradurre in immagini e bracciate l’astruso linguaggio degli scienziati. «Il problema - spiega - è che la teoria del cambiamento climatico è spesso troppo complicata perché l’uomo della strada la possa comprendere appieno». Gli studiosi, d’altra parte, non sono sempre in sintonia, i dati variano, i politici traccheggiano. E la gente si confonde. «Non sono confusi, invece, quando vedono qualcuno nuotare attraverso il Polo Nord, in un tratto di mare aperto». Tratto che, a rigor di logica, dovrebbe essere coperto dai ghiacci perenni, trattandosi delle coordinate 90°North 0°West. Ovvero il polo nord geografico - dove partono (o arrivano) tutti i meridiani. Era il luglio del 2007. Lewis decide d’infilarsi in quella follia per dimostrare che l’ecosistema dell’Artico sta soffrendo, che il disgelo è una realtà tangibile. L’acqua è a meno 1,7 gradi. Lewis l’affronta osservando scrupolosamente le regole della Channel Swimming Association: costumino, cuffietta e occhialini. Si tuffa da un iceberg e si fa un chilometro di mare sottozero in 18 minuti e 50 secondi. Mai nessuno, prima di lui, aveva osato tanto. E forse mai nessuno cercherà di emularlo. «Prima di tuffarmi - ricorda - nella mia mente c’era solo la paura: l’acqua lassù è nera e dentro vedi galleggiare pezzetti di ghiaccio bianco». Un contrasto quasi surreale. «Quanto ci metterà il mio corpo surgelato a finire in fondo all’oceano - si sorprese a pensare Lewis - se qualcosa va male?». Ma non è questo il modo di affrontare le sfide. «Scacciai quei pensieri dalla mia testa, mi concentrai ascoltando un po’ di canzoni sull’iPod, e mi caricai fino a diventare aggressivo, di un’aggressività controllata». Il metodo a quanto pare funziona. Lewis non si è trasformato in un bastoncino findus ma ha comunque pagato un prezzo: le sue dita si sono gonfiate come salsicce e per quattro mesi ha perso la sensibilità alle mani. «I danni peggiori - dice - sono però quelli psicologici: dopo un’esperienza come quella ci pensi due volte prima di provare di nuovo a sorpassare i tuoi limiti». Ma Lewis non è un tipo normale. Intanto è un ex riservista delle SAS britanniche: gente che si è sottoposta a un addestramento che quello della Legione Straniera pare il campo degli scout. E poi è un ex avvocato marittimo della City di Londra. Mens sana in corpore sano, insomma. Infine, cosa veramente pericolosa, visti i precedenti, è un idealista. «Se non segui i tuoi sogni - gli disse una volta un amico - finirai per seguire i sogni di qualcun altro». «A me piace nuotare», dice con semplicità. «E voglio continuare fino alla fine dei miei giorni». Così, pur dopo anni di avventure, nel 2003 Lewis decide di mollare il lavoro della City e di nuotare a tempo pieno per attirare l’attenzione sul nostro pianeta malato. C’è di tutto. L’intero corso del Tamigi, l’intero arcipelago delle Maldive, il fiordo più lungo della Norvegia, nonché, lo scorso maggio, l’ultima impresa: il lago Pumori, ai piedi del monte Everest. Ovvero uno specchio d’acqua a 5.300 metri d’altezza frutto del disgelo dei ghiacciai. Qui, al contrario del solito, ha dovuto nuotare lentamente e a rana: l’aria era troppo rarefatta. Lewis l’ha presa come una metafora, una lezione valida per tutti: «Bisogna adottare una tattica per ogni situazione; l’uomo non può continuare a consumare come ha fatto fino a ora».Si fa presto a dire «acqua fredda». Sì, ma quanto fredda? Quella in cui ha nuotato - e per un chilometro - Lewis Pugh non era ghiaccio per un soffio. Solo perché l’acqua salata ghiaccia a quasi due gradi in meno del normale punto di congelamento. Lui quindi ha nuotato a - (meno) 1,7 gradi centigradi. Il fatto che ci sia riuscito ha dello straordinario. Il corpo umano non è programmato per nuotare in acque così gelide. Basti pensare che i passeggeri del Titanic sono morti nell’acqua a 5 gradi e che Pugh è rimasto immerso a una temperatura più bassa di ben 7 gradi. Le sue imprese sono naturalmente interessanti anche dal punto di vista medico e uno scienziato dell’Università di Cape Town (il professor Tim Noakes) ha coniato per Pugh il termine «Termogenesi anticipatoria», riferendosi alla sua capacità di aumentare di 2 gradi la temperatura del corpo prima di entrare nell’acqua gelida. Un fenomeno non registrato in altri esseri umani.