Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Martedì scatta il Tax Day. Significa che dobbiamo pagare un mucchio di tasse. I numeri sono impressionanti.
• Cioè?
Ha fatto i calcoli la Cgia, quelli di Mestre che lavorano per la Confartigianato. Dovremo versare 44 miliardi, così ripartiti: 16 miliardi di versamenti Iva, 12 miliardi dalle ritenute Irpef dei lavoratori dipendenti, 10,6 miliardi per l’Imu, 2,3 miliardi dalla Tasi, 1,9 miliardi dalla Tari, 1 miliardo dall’Irpef dei lavoratori autonomi, altri spiccioli da altre robe che non voglio nemmeno citare.
• Non mi ricordo più che cos’è l’Iva, non mi ricordo più che cos’è l’Irpef, non mi ricordo più che cos’è l’Imu, non mi ricordo più che cos’è la Tasi, non mi ricordo più che cos’è la Tari…
Ho visto di recente una commedia in cui un personaggio, per pagare meno tasse, progetta di farsi prete (non so se è davvero una scappatoia efficace). Lei crede che rinchiudendosi in manicomio…? L’Iva è una sigla che significa “Imposta sul Valore Aggiunto”. Si taglia un albero e se ne ricavano assi di legno. Poi si vendono le assi di legno e si applica una tassa sul prodotto venduto perché il valore iniziale dell’albero è aumentato. Poi lei con le assi fabbrica una casetta e la vende: nuova tassa sulla crescita di valore. E così via. L’Iva alla fine la paga il consumatore. L’Irpef (Imposta sul Reddito delle PErsone Fisiche) sono le tasse dovute per quello che si è guadagnato con lo stipendio o con l’attività artigianale o con le rendite da azioni comprate o da affitti riscossi. L’Imu, Imposta Unica Comunale, è la tassa sulla casa, contro cui Berlusconi ha combattuto inutili battaglie (Berlusconi, nel corso del ventennio, ha indetto varie giornate intitolate No Tax Day). Sull’Imu dobbiamo fermarci un attimo.
• Perché?
L’Imu, come le successive Tari e Tasi, le incassano i comuni. Renzi aveva pensato di raggruppare tutte queste tasse comunali in un’unica imposta onnicomprensiva, i cui limiti sarebbero stati fissati dal governo. Ha poi deciso di rinviare questa semplificazione, e la cosa potrebbe essere gravida di conseguenze. Ci avverte la stessa Cgia: per quest’anno l’aliquota base è dell’1 per mille, ma i comuni possono alzarla fino a 2,5 per mille. Nel 2015 però potranno alzarla fino al 3,3 per mille e nel 2016 addirittura fino al 6 per mille. Quest’ipotesi si poteva considerare scongiurata con la tassa unica o, all’inglese, local tax. Resta in campo se si rinvia tutto.
• Aiuto! Ma quanto ci chiedono questi comuni? Che poi neanche ce ne accorgiamo, siamo tutti abituati a prendercela col fisco o col governo e al sindaco non ci pensiamo mai.
Qui c’è uno studio del Centro Studi ReAl-Sintesi basato sui rendiconti 2013 dei capoluoighi di regione. Paghiamo ogni anno in media al nostro governo cittadino 466 euro, poppanti compresi. Significa che i comuni si pigliano oggi almeno 27 miliardi l’anno, contro i 20 del 2008. Siccome so già che vuole la classifica, le faccio sapere che il comune più esoso è Milano, 905 euro ad abitante, seguito da Venezia (853) e da Roma (813).
• Deve ancora spiegare la Tari e la Tasi.
La Tari è la TAssa RIfiuti, dovuta da proprietari, inquilini di residenze private, titolari di imprese commerciali o industriali. Pagheranno una Tari più salata negozi, ristoranti, locali notturni. La Tasi è un tributo che si paga per i Servizi Indivisibili. Il comune affronta delle spese per la polizia locale o il mantenimento del verde pubblico ed è impossibile suddividere queste somme tra i singoli cittadini secondo il godimento di ciascuno perché questo godimento individuale è evidentemente non calcolabile. Per fortuna esistono le detrazioni. Se uno, per esempio, ha tanti figli ha diritto a pagare un po’ meno tasse. Nella normativa relativa alla dichiarazione dei redditi (Irpef) sono previsti 160 tipi di detrazioni diverse e ogni tanto, secondo la logica della cosiddetta spending review
(risparmi sui costi della pubblica amministrazione) si pensa di tagliarne qualche decina, a mazzetti. La storia delle detrazioni mi dà il destro di ricordare che pochi giorni fa s’è saputo di un pensionato romano il quale, titolare di una pensione da 1.655, 90 euro, se l’è vista massacrata da conguagli e addizionali ed è riuscito a incassare 3 euro (dico tre euro) proprio grazie alle detrazioni. Altrimenti avrebbe dovuto pagar lui all’Inps la somma di 48 euro.
• In definitiva, a questo punto, la pressione fiscale di quant’è?
Stiamo sempre ai calcoli della Cgia: 43,3 per cento, un livello tra i più elevati in Europa. «Ma la pressione fiscale reale – dice il buon Bortolussi, capo di quell’ufficio studi - vale a dire quella che grava sui contribuenti onesti, che si misura togliendo dal Pil nominale il peso dell’economia non osservata, si colloca appena sotto il 50% attestandosi, secondo una nostra stima, al 49,5%: oltre 6 punti percentuali in più del dato ufficiale». L’“economia non osservata” sarebbe il nero e l’economia criminale. Un duecento miliardi circa.
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