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 2014  dicembre 14 Domenica calendario

ACQUA, RIFIUTI, TRASPORTI: IN TUTTA ITALIA ESISTE UN UNIVERSO DI AZIENDE A PARTECIPAZIONE PUBBLICA DOVE SI SCAMBIANO FAVORI

Sono partecipate, e loro – i parenti – partecipano, eccome se partecipano. I famigliari è più facile imbucarli lì, in qualche società partecipata, dove l’omonimia magari si nota meno. Ed infatti la tentazione si trasforma volentieri in prassi. Il caso da manuale va cercato a Roma (strano eh?), nell’Ama (rifiuti) di quel Franco Panzironi arrestato nella retata di Mafia Capitale. Lo scorso Natale, mentre Roma trabocca di spazzatura con i maiali a pascolare tra i cassonetti, l’Ama (7800 dipendenti) chiama otto persone, mai vista prime, per un bel contrattino di assunzione. Tra di loro, guarda caso, il cognato dello stesso Panzironi, oltre a tre raccomandati da un sindacalista Ugl. Ma non è da meno l’altro carrozzone romano, l’Atac, la peggiore società partecipata d’Italia, dove hanno trovato un posto di lavoro - indaga la Procura - un’incredibile pattuglia di parenti. Nell’ordine il nipote, la nuora, il marito della figlia e pure la segretaria dell’ex amministratore delegato. Poi le mogli: quella di un assessore, quella di un deputato, quella di un segretario regionale sindacale, che già che c’era ha piazzato pure la figlia. E finiamo qui con Ama e Atac solo per ragioni di spazio.
Non è che altrove la storia sia molto diversa. La Procura di Potenza nel 2013 indaga su undici assunzioni sospette all’Acquedotto Lucano, partecipata della Regione Basilicata e 119 Comuni lucani. Contratti a «chiamata diretta», senza concorsi, con cui sarebbero entrati il nipote di un consigliere regionale del Pd, il marito di una dirigente di Acquedotto Lucano ed altri «figli d’arte». E una grande famiglia, nel senso che i parenti abbondano, sono anche le partecipate del Comune di Venezia. Nella Actv, la società che gestisce i vaporetti, si è scoperto - dopo un esposto - che lavorano mogli, figli, cugini, nipoti. Sull’asse privilegiato Cgil-Pd, ma non solo ovviamente, tutti tengono famiglia.
In Toscana non vogliono sentir parlare di parentopoli (minacciarono Di Pietro di querela) i coniugi Regini. Lei, Laura Cantini, è senatrice del Pd, ex presidente della Provincia di Firenze. Lui, Paolo Regini, ex sindaco di Empoli, è presidente della società di gestione dei rifiuti Publiambiente (gruppo Publiservizi, multiutility proprietà di 35 comuni toscani).
In Sicilia la parentopoli ha assunto dimensioni talmente mastodontiche che qualche mese fa si è deciso di varare una legge ad hoc per arginare il malcostume. Del resto, da Sicilia e-Servizi, la società ora guidata dall’ex pm Antonio Ingroia, allo stesso recentissimo Piano giovani del governatore Crocetta (è venuto fuori che in un consorzio legato alla società Ett, affidataria del click day flop, aveva lavorato la figlia della dirigente regionale responsabile del servizio), i (cattivi) esempi non mancano. Due per tutti: il caso di Girgenti Acque, gestore del servizio idrico nell’Agrigentino in cui qualche anno fa è stato assunto Giuseppe D’Orsi, proprio nel periodo in cui il padre, l’ex presidente della Provincia Eugenio D’Orsi, era alla guida dell’Ato idrico. Dall’acqua al 118. Nella Seus, la società che gestisce il servizio, lavorano, guarda la coincidenza, parenti di dirigenti dell’assessorato regionale alla Sanità, compresi quelli di qualche sindacalista.
Parentopoli anche a Napoli. È emersa un anno fa, quando è scoppiato il caso Napoli Servizi spa, società interamente partecipata dal Comune di Napoli. Qui, più che i nomi, valgono le cifre calcolate dalle Fiamme gialle: 433mila euro di danno erariale per le assunzioni di favore fatte senza concorsi tra il 2007 e il 2008. Mentre a Bari l’opposizione in Comune ha inscenato una protesta, con manifesti funebri per la «morte della trasparenza» dopo che la maggioranza del sindaco Pd, Antonio Decaro, ha bocciato un emendamento che vietava l’assunzione di parenti nelle partecipate comunali («Tutto trasparente, garantisco io»).
Parentopoli nelle partecipate anche a Verona, dove sono stati rinviati a giudizio undici dirigenti di ben nove collegate. Il motivo? Assunzioni e incarichi affidati a sorelle o mogli di politici, a figli di consiglieri o di sindacalisti. Come la moglie e la sorella di un assessore, o il fratello di un consigliere provinciale.