Mario Sconcerti, Corriere della Sera 14/12/2014, 14 dicembre 2014
SENZA GENERAZIONE DI MEZZO IN ITALIA OGGI CI SI ALLENA MALE
Poche settimane fa Conte ha ribadito quello che Prandelli aveva detto a marzo dopo aver incontrato la Spagna e averci perso facilmente: la poca velocità del nostro calcio è intollerabile e toglie qualunque competitività.
Dovendo dare questa velocità gli allenatori di club, sembrò allora, e continua a sembrare adesso, una polemica fra addetti ai lavori. Il solito problema dei tecnici azzurri che ereditano la condizione costruita dai tecnici di club, i quali non sono matti, ma hanno semplicemente esigenze diverse.
Alla fine del dubbio, resta il problema di un calcio italiano che sembra non ben allenato. È onestamente un’affermazione molto dubbia in un tempo in cui tutti sanno tutto di tutti ed è sufficiente copiare per essere al passo, ma qualcosa deve pur esserci.
L’Italia ha perso di colpo due generazioni di grandi tecnici passando da Trapattoni e Mazzone direttamente ai tecnici sotto i 40 anni. L’invecchiamento progressivo ha tolto dal campo gente come Ulivieri, Sacchi, Bianchi, Simoni, Eriksson, Trapattoni, Scala, Cagni, Fascetti e Mondonico. La generazione successiva, quella dei Lippi, Capello, Ancelotti, Mancini, Spalletti, Ranieri, Zaccheroni, Prandelli, è andata all’estero e ha ottenuto risultati importanti togliendoli in parte all’Italia. Da noi il vuoto è stato riempito da tecnici molto giovani: Inzaghi ha 41 anni, Conte 45, Allegri è un vecchio ragazzo di 47, Montella ha 40 anni, Garcia 50, Di Francesco 45, Stramaccioni 38, lo stesso Mihajlovic è molto giovane con i suoi 45 anni. E lo confermano i dati: l’anno scorso solo Conte e Allegri, tra i 20 allenatori al via in serie A, avevano vinto uno scudetto (poi Allegri venne esonerato). Quest’anno solo Allegri, raggiunto a stagione iniziata da Mancini. In sostanza si gioca per qualcosa che nessuno ha mai conosciuto, una specie di anello degli Hobbit. Viene a mancare l’esperienza dei 9 mesi di gara, molti con partite doppie e triple.
Tra chi sa e chi non ha mai nemmeno provato, la differenza è stata annullata cancellando la categoria degli allenatori esperti. Nessuno ha una lunga esperienza. Sui turnover, sui cambi, sulle conferme, si fa secondo un dilettantismo illuminato, come spesso in Italia, per la prima volta liberato dall’assenza di due generazioni. E allora torna il dubbio iniziale: se due commissari tecnici nello stesso anno dicono che i nostri migliori giocatori mancano di allenamento e un terzo, Capello, sostiene che tutto il nostro campionato non è qualificante, bisogna per forza pensare che molta responsabilità ricada sugli allenatori giovani, quelli che debuttano o sono appena al secondo-terzo tentativo. Allenatori compagni, spesso vecchi colleghi di squadra dei loro nuovi giocatori, spesso anzi voluti da loro per fedeltà estesa più che per meriti reali. Perché il compito spaventa e un po’ di certezza nello spogliatoio non fa male. E neppure un comportamento da vecchi goliardi durante gli allenamenti, di quelli che sanno che a calcio ci si allena giocando fra compagni, non facendo atletica dura e noiosa. Quelli che sono per divertirsi perché allarga l’anima. E il calcio in fondo è un angolo d’arte.
Io credo che in Italia oggi ci si alleni male, che si sia lenti per questo. E lo si faccia perché Coverciano rilascia con facilità i suoi diplomi alla memoria e i giovani non valgono il coraggio dei vecchi. La lentezza li difende l’uno dall’altro. Il principio vincitore è che ben venga la povertà: toglie dall’Europa ma rende interessante la corsa allo scudetto. Si va tutti più piano perché così l’auto è controllabile e la salvezza a 32 punti. Dimenticando che senza una buona patente si esce di strada anche a sessanta all’ora.