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 2014  dicembre 14 Domenica calendario

SONO ANDATA A VIVERE NELLA CASA DELL’UOMO CHE FECE AMMAZZARE 43.469 COMPAGNI

Sono passati più di settant’anni dalle purghe staliniane. Nel frattempo, l’Unione Sovietica è andata in pezzi, ma la linea dell’orizzonte della steppa russa è rimasta violetta come ai tempi di Cechov. E l’appartamento dello sgherro di Stalin Vjaceslav Molotov, al numero 3 di vicolo Romanov, nel centro di Mosca, è stato acquistato da un produttore televisivo e ridecorato nello stile dorato e borchiato della Russia contemporanea.
In questo spazio geografico, temporale e culturale, si muove la studiosa inglese Rachel Polonsky nella Lanterna magica di Molotov, un affascinante libro uscito da Adelphi nella traduzione di Valentina Parisi, che è un viaggio attraverso una grande eredità letteraria e un’ancora più grande tragedia collettiva, raccontati da «una specie di ricercatrice in fuga»: una giovane slavista di Cambridge che negli anni Novanta, seguendo un marito avvocato a Mosca per un breve periodo che sarebbe diventato un decennio, ha avuto la fortuna di abitare nel più prestigioso palazzo dell’élite del Cremlino. Cioè proprio al numero 3 del vicolo Romanov: «il Mausoleo» o «l’Archivio del Partito», come lo chiamano i moscoviti oggi. In altre parole, l’imponente residenza traboccante di stucchi, lampadari color piombo e boiseries di legno scuro, dove Trotskij fu arrestato, Molotov visse a lungo e l’agente britannico Reilly aveva complottato per rovesciare Lenin nel 1918.
Rachel Polonsky sapeva che Molotov aveva passato gli ultimi anni della sua vita nell’appartamento sopra il suo, quando il banchiere americano che lo affittava da un nipote dell’ex braccio destro di Stalin le prestò le chiavi perché potesse andare a curiosare tra le cose che vi aveva lasciato l’uomo che tra l’estate del 1937 e l’inverno del 1938 aveva firmato la condanna a morte di 43 mila 469 intellettuali e compagni di partito.
Quello che la scrittrice non sapeva è che in quell’appartamento avrebbe trovato due tesori: una parte della biblioteca di Molotov, con le sue sottolineature e annotazioni in inchiostro violetto, e una lanterna magica. La prima le avrebbe dato lo spunto per avventurarsi a decifrare la biografia intellettuale di un uomo impenetrabile al rimorso. La seconda le avrebbe offerto l’immagine con cui riassumere un libro in cui respirano le passioni di decine di personaggi condannati alla mattanza, accanto alle descrizioni dei luoghi che hanno portato Rachel Polonsky a seguire le loro tracce avventurandosi a nord fino al mare di Barents dove «ogni colore è prezioso»; a est fino al lago Bajkal e a città come Irkutsk dal «pathos quasi insopportabile»; a sud, fino al punto in cui la steppa che incontra il mar d’Azov commuoveva il giovane Cechov, che in quei luoghi era nato e aveva trascorso la giovinezza. Come ha scritto la sublime Anna Achmatova ispirandosi alla lanterna magica: «La memoria è strutturata a guisa di proiettore, illumina singoli momenti, lasciando tutt’intorno un’oscurità invincibile». In questi «momenti» della Russia, illuminati da Polonsky, sembra respirare il gigantesco animale della sua cultura.
Si potrebbe rimproverare a Rachel Polonsky di avere infarcito la parte moscovita del suo libro con troppi dettagli storici e toponomastici che rallentano il ritmo della scrittura. O di avere perso per strada l’idea originaria di disegnare un ritratto di Molotov attraverso le sue letture — che includevano Puškin, Dostoevskij, Cechov, Poe, Conrad, Shaw e Wells, ma anche Churchill — quando, allontanandosi da Mosca, la scrittrice inizia a viaggiare verso i luoghi usati come discariche umane dagli zar prima dei bolscevichi. Ma sarebbe come non riconoscere al suo libro la forza di trascinare il lettore in un altrove svincolato dalla coerenza, un altrove destinato a dimostrare che, come scrive Polonsky, «la storia non si muove in avanti. Non procede in linea retta, e nemmeno in cerchio, ma disegna arabeschi che non sempre si distinguono per armonia e bellezza».
Nelle curve di questi arabeschi troviamo «vite e destini» indimenticabili. A Lucino, una località di vacanza a poco più di un’ora da Mosca che negli anni Quaranta ha ospitato scienziati che hanno dato i loro nomi a teorie e fenomeni naturali, Polonsky s’imbatte nella storia dei fratelli Vavilov: Sergej, il fisico finito a tessere le lodi di Stalin e a scrivere le sue memorie nella quiete di una vecchiaia protetta, e Nikolaj, l’agronomo che sarebbe morto in carcere per avere sognato una Russia capace di produrre abbastanza grano da sfamare tutti. A Rostov incappa nella storia del generale Budënnyj, immortalato da Isaak Babel nell’Armata a cavallo, un soldato con i pantaloni bianchi ricamati d’argento che lasciava i suoi cosacchi liberi di sterminare gli ebrei, mentre a casa la prima moglie si suicidava con un colpo di pistola e la seconda finiva in un gulag. E a Irkutsk la figura della principessa Marija Volkonskaja, che nell’Ottocento ebbe il coraggio di seguire il marito decabrista Sergej nel suo esilio siberiano, le dà lo spunto per parlare anche di Anna Politkovskaja, freddata con alcuni colpi di pistola nell’ascensore di casa per essere stata una giornalista libera nell’era di Putin.
Eppure, tra i tanti orrori iscritti nella memoria di questo paesaggio di una forza immane, la bellezza continua a spuntare come un giglio selvatico nella sabbia. Ed ecco l’immagine di Cechov, lo scrittore preferito da Molotov, che seduto in giardino cerca di catturare un raggio di sole col suo cappello. O il racconto dell’ultimo anno di vita dello scienziato Nikolaj Vavilov in una «cella della morte» stretta, sovraffollata e soffocante, con una lampadina accesa giorno e notte, nel carcere di Saratov.
Vavilov «riuscì a portare un po’ di disciplina nelle cose», ricorda un suo compagno di reclusione. «Aveva organizzato corsi di storia, biologia e industria del legname. Ciascuno dei compagni faceva lezione a turno». Prima di morire, nel 1943, Nikolaj Vavilov, uno dei tanti intellettuali cancellati da un tratto di penna di Molotov, fece in tempo a tenere ai suoi compagni di cella più di cento ore di lezione.