Ettore Mo, Corriere della Sera 14/12/2014, 14 dicembre 2014
LA VOCE D’ANGELO
Sbarcato a Milano nella redazione spettacoli del Corriere della Sera dopo un curriculum di cinque anni a Londra e un periodo altrettanto lungo nella sede romana del quotidiano, ho avuto il privilegio di approdare, come cronista, sul palcoscenico della Scala, da sempre conteso dalla rivalità di due prime donne d’eccezione, Maria Callas e Renata Tebaldi: duello che vedeva schierate, in platea come in loggione, due schiere di fan, non di rado eccitati e furibondi come avviene negli stadi di calcio.
Io, devo ammetterlo, ho fatto subito il tifo per la Tebaldi, ciò che provocò il risentimento di qualche collega tenacemente callasiano. Ma Renata era piuttosto restia alle interviste e non riuscii a commuoverla neanche quel giorno quando le raccontai (pura verità) che da ragazzo volevo intraprendere la carriera lirica e avevo già in gola (come si dice in gergo) tutto lo spartito dell’ Elisir d’amore .
Credo sia opportuno, per apprezzare i molteplici aspetti della Mostra nel decennale della sua scomparsa (è morta il 19 dicembre del 2004), ripercorrere la carriera della cantante quale emerge dal libro di Schuyler Chapin, Sopranos, Mezzos, Tenors, Bassos and Other Friends , secondo cui il vero, grande debutto di Renata (che aveva iniziato «sotto voce» la carriera nel 1944) ebbe luogo nel 1955 al Metropolitan di New York, dove interpretò Desdemona a fianco del tenore Mario Del Monaco nell’ Otello verdiano: personaggio che le stava praticamente a cuore e con cui diciotto anni dopo, a Trieste, avrebbe concesso un meritato, definitivo riposo alle sue corde vocali.
Per Schuyler Chapin, uno dei critici più agguerriti e severi sul fronte del teatro lirico, non sembrano esserci limiti alla sua ammirazione per la Tebaldi, cui si riferisce affettuosamente chiamandola «la ragazza di Langhirano alta ed elegante» ma sottolineandone al tempo stesso «l’alta professionalità nella scelta dei ruoli che riteneva adatti alla propria voce e al proprio temperamento».
La sua voce, che agli inizi sembrava unicamente destinata al repertorio lirico-leggero, si era via via ampliata e irrobustita fino a consentirle di affrontare i ruoli drammatici del melodramma (quali la Leonora della Forza del destino o la pucciniana Fanciulla del West ) e persino di avventurarsi fra le avversità della tessitura e l’inclemenza degli spartiti wagneriani.
Secondo Chapin, i critici che avevano dimestichezza col teatro lirico e potevano mettere a confronto la Tebaldi con i grandi soprano del passato, concordavano che la sua voce poteva passare senza incidenti dal registro medio a quello acuto e dal tono morbido e delicato ( Bohème e Traviata ) a quello eroico delle note siderali ( La Turandot ). E non erano pochi i melomani decisi a sostenere che avrebbe potuto interpretare disinvoltamente perfino ruoli da mezzosoprano. Ma questa era un’«esagerazione» che la faceva andare in bestia e le sue «piccole, tenere mani» da Mimì si sarebbero di colpo chiuse a pugni per colpire gli autori di quell’assurda affermazione.
I rapporti non sempre serafici di Renata con la Scala hanno avuto riconferma anche dopo la sua morte, il giorno dei funerali. Scoccavano le dieci del 22 dicembre quando il corteo funebre, che doveva raggiungere la chiesa di San Carlo per la tumulazione, si fermò davanti al teatro, dove tante volte (l’ultima nel ‘73) la voce della Tebaldi aveva sedotto e commosso milioni di spettatori, ricevendo in cambio niagara di applausi. Per l’estremo saluto si avvicendarono attorno al feretro il sindaco di Milano Albertini, il prefetto e sovrintendente Carlo Fontana, il direttore della divisione Scala Mauro Meli e infine il maestro Riccardo Muti. Dalla folla che gremiva la piazza un uragano di applausi, ma anche voci di protesta («Fatela entrare»; «Vergogna») da parte di chi disapprovava che non fosse stato consentito l’ingresso della bara in teatro.
Secondo Giannino Tenconi, presidente degli Amici del loggione, l’ingresso delle salme in teatro era previsto soltanto per i direttori d’orchestra e i sovrintendenti. Ma nel discorso commemorativo, egli pure ricordò che «negli anni Cinquanta la Scala non è stata generosa con la Tebaldi e che si è cercato di porre rimedio celebrandola nel 1992 per i suoi settant’anni e nel 2002 per gli ottanta».
Inoltre, Paolo Grassi era riuscito a riparare al torto facendola tornare per i due straordinari concerti del ‘74 e del 23 maggio ‘76, che fu quello di addio.
Alcuni Amici del loggione residenti a Langhirano mi hanno assicurato che la Renata non è mai stata dimenticata e che c’è sempre qualche mazzetto di fiori sulla sua tomba. Non so invece quanta attendibilità attribuire alla notizia secondo cui negli Stati Uniti si continua a celebrare ogni anno il «Tebaldi Day», indetto l’undici dicembre 1995 da Rudolph Giuliani , allora sindaco di New York, e largamente caldeggiato da milioni di fan italiani, soprattutto nella provincia dov’era nata e vissuta e dove aveva cominciato ad esercitare la «voce d’angelo» (così l’aveva definita uno dei suoi più ardenti ammiratori in una vecchia pagina del Corriere ) nei primi estenuanti vocalizzi che le avrebbero consentito di raggiungere con fluidità e potenza anche le note sideree del pentagramma.