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 2014  dicembre 14 Domenica calendario

IL CLONE DI RENZI RACCONTA IL PREMIER «VI DICO CHE CI TROVA NELLA BOSCHI» INTERVISTA AL SINDACO DI FIRENZE NARDELLA

L’alter ego di Matteo Renzi si chiama Dario Nardella. Ieri faceva il vicesindaco di Firenze, oggi il sindaco, domani si vedrà. Le ambizioni, per sua stessa ammissione, non gli mancano. Come è scoppiato l’amore tra lei e Renzi? «Io e Matteo abbiamo avuto percorsi paralleli. Lui ha fatto lo scout nell’Agesci, io nella Cngei. Lui ha frequentato Giurisprudenza negli stessi anni miei». Un amore universitario, il vostro. «In realtà, no. In università non ci siamo mai visti». «Per forza: te c’andavi all’università, lui no», interviene fuorionda in fiorentino puro il portavoce Marco Agnoletti, ex portavoce e amico storico di Renzi, «c’hanno la stessa età, facevano la stessa facoltà, come facevano a non vedersi? Per forza, quell’altro ’n c’era. Renzi lavorava per mantenersi agli studi». «In effetti», ride Nardella, «abbiamo cominciato a frequentarci ai tempi dei Comitati per l’Ulivo, alla fine del ’95. Lui a Rignano, io a Pontassieve, due Comuni attaccati. I primi passi in politica li abbiamo mossi insieme in quel brodo di coltura del centrosinistra. Siamo figli dell’Ulivo: lui non ha mai avuto la tessera Dc, né io quella del Pci. La prima volta che io e Matteo abbiamo votato, nel ’94, questi due partiti non c’erano più». E lei a chi dette il primo voto? «Ad Alleanza democratica. Sono stato uno dei pochissimi. Lì c’era il Pd in nuce». La sua prima tessera? «Pds». Cosa successe poi ai due «figli dell’Ulivo»? «Io e Matteo ci perdemmo di vista. Ci rincontrammo quando lui era segretario dei Popolari a Firenze e io il responsabile cultura dei Ds. E da allora è stato un crescendo». Come ha fatto a far innamorare Renzi? «La cosa che lo ha spinto a scegliermi come vicesindaco è che io fui l’unico tra i giovani Ds a schierarmi apertamente per lui alle primarie a sindaco quando aveva tutto il partito contro. Venni additato come un traditore. Questo gesto fu molto apprezzato da Renzi e io fui colpito dal suo coraggio». Immaginava che un giorno sarebbe diventato premier? «All’inizio francamente, no. O almeno non così presto. Ma già quando era presidente della Provincia si vedeva la stoffa di un persona fuori dal comune, che cominciava a maturare dentro di sé un’idea di Paese». È lei il miglior amico di Renzi? «No, ci sono persone che hanno un rapporto d’amicizia più forte con lui». Tipo Marco Carrai? «Può essere... ma lo chieda a Renzi». Geloso di lui? «Pur essendo scorpione, no. Da vicesindaco, quando si creava zizzania intorno a Matteo, anziché alimentarla cercando di guadagnare punti ai suoi occhi, ho sempre fatto il pompiere, perché un leader ha bisogno di una squadra coesa, che sappia giocare a memoria anche quando lui è in difficoltà». Lei è renziano della primissima ora, a differenza della Boschi, che però ha ottenuto due ministeri ed è la protagonista del governo, dopo il premier. Perché Renzi le ha dato tutta questa visibilità? «Perché è una ragazza brava, sveglia, motivata, pur essendo molto giovane». Ma non è l’unica giovane renziana. Cosa di lei colpì Renzi in particolare? «La sua serietà, la sua intelligenza e il fatto che Maria Elena incarna bene questo forte ricambio generazionale». Lei e Renzi avete mai litigato per una donna? «Mai. Anche perché ci siamo entrambi sposati molto presto e abbiamo fatto tutti e due tre figli». Non avete gli stessi gusti in fatto di donne? «No, ma abbiamo un’idea della famiglia molto simile». Renzi non è più bello di lei, eppure piace molto di più alle donne. Le rode? Nardella scoppia a ridere: «È sicura che Matteo piaccia più di me?». Gli ha mai fatto uno scherzo? «Lo prendemmo a gavettoni la sera in cui divenne presidente della Provincia». Cos’altro avete condiviso di meno palloso della politica? «Ma per noi non è pallosa. Per me e Matteo la politica è la vita. Noi abbiamo sempre vissuto l’amicizia e il divertimento dentro la politica. Lo so che sembriamo due marziani. Io sto qui a Palazzo Vecchio 14 ore al giorno e, se non fosse per la famiglia, ci rimarrei anche a dormire. Ce l’ho un materassino di là, dove ogni tanto faccio un pisolino». Renzi è un buono o un duro? «I due aspetti non sono alternativi. Un buon leader come lui sa scegliere bene i momenti in cui essere più determinato o più dialogante». Lei l’ha mai visto piangere? «L’ho visto emozionarsi per la scomparsa di alcune persone, come la consigliera regionale Alessia Ballini o Meme Auzzi, segretario provinciale Ds. Ma piangere, mai». Ma il premier ce l’ha un cuore? «Chiunque abbia avuto il privilegio di governare Firenze non può non avere un grande cuore». Eppure ha ucciso Enrico Letta con grande cinismo, un attimo dopo avergli detto «stai sereno». Se l’aspettava? «Non mi ha stupito. Fu una scelta difficile, che a Matteo non conveniva neanche, perché sapeva che si sarebbe ritrovato in mano un Paese in condizioni disperate». E lei dice che l’ha fatto per amore del Paese e non di se stesso? «Per entrambi i motivi. Non trovo affatto disdicevole essere ambiziosi. Anch’io lo sono». Ce l’ha un difetto Renzi? «È un po’ permaloso, quindi questa risposta non gli piacerà». Culminerà in una scissione lo scontro tra il segretario del Pd e la minoranza interna? «Spero che prevalga il senso di responsabilità. Serve un confronto serrato. Ma penso che i poteri di veto della minoranza non facciano né il bene del Paese né quello del Pd». Lei è pentito di aver lasciato il Parlamento per fare il sindaco? «Mai. Ho sempre avuto un senso di gratitudine immenso per questa città, perché non sono fiorentino. Sono nato a Napoli e arrivai qui a 11 anni. Ma Firenze mi ha dato tutto: famiglia e successo professionale». Perché i suoi genitori decisero di trasferirsi qui? «Perché non sono napoletani: mia madre, figlia di un ferroviere, è nata a Potenza e mio padre viene da una famiglia di agricoltori pugliesi del Gargano. Non si trovavano bene a Napoli, città bellissima ma difficilissima». Ma perché proprio Firenze? «Fu una scelta d’amore: era stato uno dei viaggi più belli che avevano fatto da fidanzati». Sarà stata dura per dei terroni inserirsi in una città così fighetta. «All’inizio non è stato facile, perché qui non avevamo nessuno. Mia madre si alzava alle 5 per andare a insegnare a Marradi, nel cuore dell’Appennino tosco-romagnolo. Ma contrariamente a quello che si dice di Firenze, questa non è una città respingente». I fiorentini considerano “cafoni” anche quelli di Arezzo... «Quando sento dire che i fiorentini sono razzisti mi arrabbio perché, al di là di qualche battuta che mi facevano da ragazzo, non ho mai subito umiliazioni. E il fatto che io sia diventato sindaco non è una storia bella tanto per me, ma per Firenze». Ma lei ha vinto facile: era il candidato di Renzi. «Tutt’altro. La partita era difficile perché avevo gli avversari di Renzi senza avere le sue capacità. E il mio arrivo ha scatenato il confronto». Come farà a togliersi di dosso l’etichetta di clone renziano? «Per me non è un problema. Anzi, avere per amico, mio e di Firenze, il premier, è un grande vantaggio per la città. E io non ho mai ricevuto la benché minima pressione da Renzi sul governo di Palazzo Vecchio. Sin dal primo giorno ho cercato di fare il sindaco con il mio carattere e il mio stile». Le cronache locali fiorentine traboccano di illegalità da parte degli immigrati. Rischiate che anche da voi scoppi un caso come quello di Tor Sapienza. «Non succederà, stiamo puntando tutto sulla legalità. Abbiamo fatto tre sgomberi in sei mesi e scatenato una guerra contro i minimarket fuori legge. Se un immigrato sbaglia, va punito come un italiano». A destra dicono che per lei gli immigrati vengono prima degli italiani. «Sbagliano. Per me vengono prima i residenti. Quello che non è andato bene della sinistra in passato è di confondere l’accoglienza con l’eccessiva tolleranza». Sta puntando il dito contro Renzi? «Al contrario, Matteo è stato il primo a invertire questa tendenza. E io sto portando avanti la stessa battaglia, anche contro il degrado». Senza grandi risultati al momento. Cos’ha pensato quando ha visto la foto dei due americani che copulavano in Piazza della Signoria? «Che anche gli stranieri di Paesi sviluppati come gli Stati Uniti, fuori da casa loro perdono il senso civico e che alla base di questo degrado c’è anche il turismo invasivo nelle città d’arte. Va distinto il turismo mordi e fuggi da quello di qualità». Firenze è stato il trampolino di Renzi per il governo dell’Italia. Anche per lei sarà così? «Non lo so. Certo, questa città è una palestra, chiunque la governi ne esce rafforzato». Sta scaldando i muscoli per un incarico a Roma? «Ho lasciato Roma per tornare qui. Penso a Firenze. Almeno per ora».