Paola Sorge e Hans Magnus Enzensberger, la Repubblica 14/12/2014, 14 dicembre 2014
ENZENSBERGER IL MIO CUORE MESSO A NUDO
[2 articoli] –
Lo si immaginava come puro spirito pensante, immerso nelle sue fantasticherie di poeta (Mausoleum) o proteso a mettere a nudo la società di oggi (Nel labirinto dell’intelligenza), comunque lontano anni luce da complicazioni sentimentali. Ed eccolo invece raccontare in Tumult la storia del più folle dei suoi amori: quello per una bellissima ragazza russa di ventitré anni che nel giro di un paio di mesi divenne la sua seconda moglie. Un vero coup de foudre. La sorpresa è tale che rischia di mettere in secondo piano non solo i risvolti politici e sociali del resoconto dei viaggi dello scrittore in Russia, il primo dei quali nel ‘63 su invito di Giancarlo Vigorelli (che lo chiamava “Enzi”), ma anche le sue confessioni in merito al coinvolgimento nel movimento del ‘68.
Per raccontare i mille giorni che vanno dal 1967 al 1970, lo scrittore sceglie una formula insolita: Enzensberger che intervista Enzensberger. Che dialoga, non senza spirito critico e sarcasmo, con il suo doppio, con il giovane avido di curiosità e di novità che quasi cinquant’anni fa girò il mondo in cerca dell’isola felice. Nella sua ricostruzione del clima della Berlino di allora, con la creazione della Comune 1 e l’arresto del fratello minore Ulrich, il giovane poeta, nel suo dialogo con l’Enzensberger di oggi, chiarisce la posizione apparentemente contraddittoria nei confronti delle proteste studentesche. Lui, Hans Magnus, non va sulle barricate, non si fa coinvolgere in azioni violente, ne ha orrore; nei momenti più gravi e tempestosi è sempre altrove, sia fisicamente, perché in viaggio, sia mentalmente perché si rifugia nella poesia. Parla a cuore aperto, senza remore, dei suoi entusiasmi sempre sopra le righe, di illusioni e disillusioni; riconosce i suoi errori dovuti in gran parte alla voglia di rivolta contro il conformismo, l’imperialismo, l’ipocrisia dei governanti e dei partiti tedeschi. Da buon intellettuale, sceglie come strumento di protesta il Kursbuch, la rivista che dirigerà dal 1965 al 1975.
Ma già da qualche tempo, dicevamo, nell’incomparabile “mago dei numeri” c’era il desiderio di aprirsi. Tre anni fa sempre per la casa editrice Suhrkamp pubblicò il suo grande, coloratissimo Album, ancora inedito in Italia, da lui stesso definito «un capriccio, un potpourri, un mare magnum, una olla podrida, un pasticciaccio, uno zibaldone». Qui Enzensberger ci lasciava entrare del tutto inaspettatamente nella sua officina d’artista, nel luogo in cui nasce la sua ricchissima, geniale produzione. Ci sciorinava davanti il suo pazzo pazzo mondo fatto di tutto quello che ha stimolato la sua fantasia, che ha ispirato le sue opere, o che semplicemente lo ha divertito. Ci faceva conoscere i suoi maestri (primo fra tutti Diderot) costellando il libro di loro massime, riflessioni, versi o battute (eccone una di Samuel Butler: “Anche se Dio non può cambiare il passato, ci sono sempre gli storici”); e poi di foto, disegni, proverbi da tutto il mondo (eccone uno africano: “La radice non sa che cosa pensa la foglia”), di giochi di parole, rebus irrisolvibili, criptogrammi fatti con il testo di una poesia da cui possono nascere altre poesie. E poi brevi articoli e saggi oggi dimenticati, come il commento a Mahagonny di Brecht, “fata morgana della libertà”. E ancora una riflessione sulla noia tremenda degli anni Cinquanta e un’altra sulla poesia — il poeta è una figura anacronistica, nota Enzensberger, «un inevitabile psicofarmaco della civilizzazione tecnica da usare come antidoto alla sua dipendenza dal futuro». Non mancavano proteste contro le novità di questa nostra epoca: i designer superpagati che creano oggetti orribili, costosi e inutilizzabili (come l’apribottiglie a forma di elefante che appare in una foto) i panini che sembrano «fatti di caucciù», la panna «che sa di gesso», i libri «fatti in serie» senza rispettare le più elementari regole tipografiche. Svetta anche l’immagine di un santino di San Martino de Porres, e accanto una lunga lista di santi protettori di cui sono illustrate le varie specialità. E poi infine ecco la fotografia della “borsa da viaggio di Paul Erdos”, uno dei più grandi teorici dei numeri del Novecento, che in quella borsa mise tutti i suoi averi mentre fuggiva dai nazisti. Uno che sulla sua tomba avrebbe poi fatto scrivere: “Finalmente non posso diventare più stupido”.
Dopo questo stupefacente zibaldone di pensieri evidentemente Enzensberger era ormai pronto anche a parlare dei suoi “tumulti” interiori, e persino d’amore. «Mon coeur mis à nu», il mio cuore messo a nudo dice prima di mettere per iscritto le sue confessioni. Il poeta conosce Maria Aleksandrovna Makarova in Urss, a Baku, nel 1967, durante un “congresso per la pace”. Figlia dello scrittore Alexander Fadejew, bella, brillante, specializzata in letteratura americana degli anni Venti e Trenta, “Mascha” strega il giovane poeta tedesco con i suoi splendidi occhi grigioverdi, il suo inglese perfetto, la sua determinazione. Inizia così un rapporto fatto «di desiderio e di litigi, di banalità e di amore», destinato a ferire profondamente la sensibilità di entrambi. La sua fine, com’è di prammatica nei romanzi russi, è tragica. Enzensberger sposa Mascha il 20 giugno dello stesso anno dopo aver divorziato dalla prima moglie Dagrun, norvegese. Ancora non si rende pienamente conto del reale stato di salute mentale della sua amata, dell’uso che fa di psicofarmaci, della gravità delle sue crisi nervose. Sin dal primo giorno, la loro «nuova vita» in Germania si rivela una catastrofe. A Berlino, a Maria tutto pare estraneo, addirittura ostile, anche la lingua che non imparerà mai a parlare. Le sue scenate sono continue, estenuanti. È gelosa di tutto quel che riguarda il marito: del suo lavoro, dei suoi amici, della ex moglie. Lui, come confessa apertamente nel libro, si meraviglia di «non averla strozzata all’alba», come più volte è stato tentato di fare.
Mascha si trova male anche nel Connecticut dove va a vivere con il marito che ha ricevuto un incarico alla Wesleyan University. Dopo pochi mesi, in linea con la sempre più forte ondata di protesta contro la guerra in Vietnam, Enzensberger scrive al rettore che non intende più collaborare con un Paese imperialista. Lascia l’università, dichiara solidarietà a Cuba. Ed è scandalo. Cuba è per lui l’isola felice, la speranza del movimento di liberazione del Terzo Mondo. Dopo un primo soggiorno, ne torna entusiasta: dell’isola gli piace tutto, il carattere dei cubani, il loro modo di vivere, anche il folclore. Si stabilisce nel ‘68 all’Avana con la moglie finalmente felice: lei si sente ammirata, circondata da amici e la loro vita assieme sembra miracolosamente assestarsi. Ma il sogno cubano si dissolve rapidamente. Le speranze del giovane poeta di aiutare la rivoluzione vanno in fumo. Non gli ci vuole molto a scoprire le gravi pecche del regime castrista, la povertà della popolazione, la vanagloria di chi la governa. Quell’isola «piccola, insignificante, pazza » gli rimarrà a lungo nel cuore, ma l’amore è ormai finito. Torna in Germania e presto riprende a girare il mondo per conoscere i Paesi in cui il socialismo si è imposto. Mascha intanto si stabilisce a Londra. Lui va a trovarla ogni volta che può. Lì i due coniugi si vedono un’ultima volta nel 1979. L’anno seguente si separano. Maria Aleksandrovna si suicida nell’autunno del 1991.
Sarà un caso, oppure il “tumulto” di quegli anni di fuoco impresso nei suoi appunti «scarabocchiati» diventa col tempo un peso per lui insopportabile, un groviglio da dipanare? Il giovane avventuroso e contestatario di quegli anni gli diventa sempre più estraneo. Già a Cuba aveva scritto versi che rivelano un inizio di sdoppiamento. “E quell’uomo sottile, in giro / per l’Avana, agitato, distratto, coinvolto in litigi / metafore, eterne storie d’amore: quello ero davvero io?”.
Paola Sorge, la Repubblica 14/12/2014
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RICORDO SOLTANTO IL DESIDERIO STRUGGENTE CHE AVEVO DI LEI –
Nessuno di noi due si riconosce nell’altro. Che razza di colloquio sarà mai il nostro? È un espediente euristico? Ti devo rilasciare un’intervista? Non sei mica un giornalista!
Le cose sono più facili di quello che pensi.
Litigheremo, cadremo in contraddizione.
Non fa niente. Ho solo una domanda da farti. Mi sai spiegare che cosa hai combinato allora?
No. Ho dimenticato quasi tutto e le cose più importanti non le ho capite.
Raccontami tutto. Comincia per favore dall’inizio e porta questa vecchia storia alla conclusione.
Il ricordo che tu reclami può assumere un’unica forma: quella del collage. Ma dimmi, come devo distinguere il tumulto oggettivo da quello soggettivo? La mia memoria, questa caotica, delirante regista, crea un film assurdo le cui sequenze non coincidono tra loro. Il tono è asincrono. Intere scene sono sottoesposte. A volte sullo schermo appare buio totale. Molte cose sono riprese con una cinepresa oscillante. La maggior parte degli attori non li riconosco più.
Va bene così. Non capisco bene come in mille giorni siano potute succedere tante cose.
È come se il regista fosse stato continuamente trascinato da un movimento ondulatorio. Le immagini saltano qua e là tra tempo e spazio. Ma nei punti di giuntura di questa pellicola deve essere successo qualcosa di intrigante, sono state fatte invenzioni, sono spuntate fuori poesie, risoluzioni, delitti… Ci sono persone che mettono meticolosamente tutto questo dentro una bottiglia e ne fanno un libro di memorie. Un procedimento che per me è un mistero.
È meglio che cominciamo con il tuo romanzo russo. Come andò avanti tra te e Mascha?
Questo è un affare privato. Perché ti informi tanto sulle mie storie d’amore che sono di scarso interesse mentre ci sono altre cose ben più importanti ?
Perché chi non sa della tua russa non capisce un bel niente di dove sei andato a finire psichicamente e politicamente. Anch’io non lo capisco.
Devo per forza? Mon coeur mis à nu: non è poi una grande attrazione. Ma va be’, se insisti. Ecco come è andata: a Maria Aleksandrovna non potevo resistere.
E lei era pronta a rinunciare, per amor mio, a tutto quello a cui era abituata; a rompere il suo matrimonio, che peraltro da tempo era naufragato; a lasciare casa di sua madre; e a seguire me, un uomo da lei conosciuto da appena un paio di mesi, in un Paese di cui ignorava quasi tutto, anche la lingua.
Amava, come tutti i russi, i luoghi dove era cresciuta; ma, in tutti quelli della sua generazione, è insito, indipendentemente dalle convinzioni politiche professate, anche un essere sovietico. Di questo Mascha voleva sbarazzarsi perché non poteva sopportare più a lungo il regime a cui era soggetta. La decisione con cui perseguì i suoi obiettivi mi incantò e mi spaventò al tempo stesso. Lei voleva iniziare con me “una nuova vita”. Ma nessuno di noi due sapeva che cosa questo significasse. Le vessazioni con cui dovette fare i conti non la spaventarono. Diedero slancio alla sua energia. Per lasciare il Paese ebbe prima di tutto bisogno del permesso delle autorità sovietiche. Un permesso che poteva concedere solo l’Owir.
Owir? Mai sentito .
Non ti ricordi più niente di allora? Quella era la famigerata “Sezione per Visti e Registrazioni” che dipendeva dal ministero dell’Interno, vale a dire, naturalmente, il Kgb. Solo lì Mascha poteva ottenere un passaporto e un visto per andare all’estero.
In realtà io dovevo saperlo: ogni straniero era costretto a presentarsi alle autorità al più tardi tre giorni dopo essere arrivato in Russia. Senza questo timbro si rischiavano grane di tutti i generi. Io non avevo mai seguito questa prescrizione, non ne sapevo nulla. Chissà chi diavolo ha garantito per me.
Naturalmente tutte queste difficoltà hanno ancor più accresciuto il nostro struggente desiderio. Una persona della mia età non sarà mai disposta a obbedire a un potere che vuole proibirgli di vivere con la donna che ama. È sempre stato così, e sempre lo sarà.
(Traduzione di Paola Sorge) Tratto da Tumult per gentile concessione della casa editrice Suhrkamp I commenti dell’Enzensberger di oggi sono in corsivo
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Il libro“Tumult”, ultimo libro di Enzensberger, è uscito in Germania per Suhrkamp. In Italia i suoi saggi sono editi da Einaudi
Hans Magnus Enzensberger, la Repubblica 14/12/2014