Stefano Montefiori, Corriere della Sera - La Lettura 14/12/2014, 14 dicembre 2014
JEAN D’ORMESSON EINSTEIN E HUBBLE SONO PIÙ IMPORTANTI DI PROUST E JOYCE
Ci si avvicina all’ hôtel particulier di Jean d’Ormesson, a Neuilly, come a un monumento: in quella strada elegante e malinconica tra gli alberi, nel villaggio dell’alta borghesia alle porte di Parigi, vive e lavora lo scrittore nei decenni più amato dai francesi. Dal 1970 d’Ormesson ha pubblicato molti romanzi, alcuni d’amore, gli ultimi tre sull’universo — Che cosa strana è il mondo (edito in Italia da Barbès, 2011), Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto (da noi tradotto da Clichy, 2014) e Comme un chant d’espérance (Gallimard 2014) — che gli hanno dato un immenso successo popolare e, ciò nonostante, l’ammira zione della critica.
Nell’aprile prossimo l’opera di d’Ormesson entrerà nella Pléiade, la più prestigiosa collana del più prestigioso editore del mondo, Gallimard, e sarà allora l’unico scrittore vivente a condividere il privilegio con Milan Kundera. «Me lo ha fatto notare Antoine Gallimard, aggiungendo però che qualcuno è morto mentre si stava preparando la sua Pléiade... Mi sono messo a ridere», racconta il conte d’Ormesson (dei Le Fèvre d’Ormesson, nobiltà di toga dell’ ancien régime ) nel salone di casa, tra antichi dipinti e un enorme dente di narvalo. «Ho risposto a Gallimard che in ogni caso, grazie a me, rischia finalmente di venderlo, qualche libro della Pléiade».
Condotti dal maggiordomo nel suo studio, abbiamo trovato l’89enne scrittore circondato, ma non sconfitto, da pile di fogli. Un raro caso di monumento sorridente, entusiasta per l’attenzione, pronto a mettersi in ginocchio per litigare con la presa della lampada che non si accende: l’atmosfera crepuscolare non gli si addice. «Vede tutte queste carte? Sono i lettori, mi arrivano un centinaio di lettere al giorno e cerco di rispondere a tutti». I celebri occhi azzurri brillano di soddisfazione.
Che cosa le scrivono?
«La maggior parte sono complimenti. Poi c’è anche qualcuno che non sopporta il mio andare d’accordo con tutti o quasi. Il fatto è che riconosco facilmente le ragioni degli avversari. Ah, e poi una signora mi ha scritto indignata perché io sono notoriamente di destra, gollista, ma difendo gli immigrati, e in più mi ha sentito dire che i miei amici omosessuali mi hanno nominato omosessuale onorario. Questo è troppo, non le stringo la mano! , ha protestato. Pazienza».
Che significa omosessuale onorario?
«È una battuta, per dire che ci intendiamo bene. Quando ero presidente dell’Unesco, degli amici peul (il popolo dell’Africa occidentale) mi avevano nominato peul ad honorem , e lo stesso hanno fatto dei miei amici gay. È un tema difficile, perché quando si dice “ho amici omosessuali” si fa come quei funzionari di Vichy che dicevano “ho molti amici ebrei” e intanto li mandavano a morire nei campi di concentramento. Ma diciamo che alla domanda “con chi vorresti rimanere bloccato in ascensore?” rispondo “con uno dei miei amici omosessuali”, i più interessanti e divertenti. Qualcuno lo trova ancora scioccante».
Però sul matrimonio degli omosessuali lei ha espresso delle riserve.
«Sì, di natura direi semantica. Io, più che il mariage pour tous , uguale per tutti, avrei riservato la parola matrimonio a quello tra un uomo e una donna. In Germania, per esempio, hanno risolto la questione brillantemente, riconoscendo tutti i diritti alle coppie gay. Comunque, a parte quella signora indignata, tanti lettori mi scrivono per chiedermi un incontro, e qualcuno per sapere come si fa a essere pubblicati».
E lei cosa risponde?
«Cerco di convincerli che non è vero che bisogna per forza conoscere qualcuno nelle case editrici. “Fate come me”, dico».
Lei come ha fatto?
«Mi sono deciso a scrivere tardi, a 30 anni. Non perché non conoscessi la letteratura, ero un normalista, ma proprio perché la conoscevo un po’ ero intimidito: come potevo osare di aggiungere qualcosa a Dante? Comunque, volevo fare colpo su una ragazza, e allora ho scritto L’amour est un plaisir , e ho lasciato il manoscritto alla segreteria di Gallimard, alla ragazza che rispondeva al telefono. Per due settimane nessuno si è fatto vivo. Allora, da presuntuoso e impaziente qual ero, un sabato sono andato da un altro editore, Julliard, che pubblicava Françoise Sagan, e ho lasciato il manoscritto anche a lui. La mattina dopo, alle 8 di domenica, mi telefona per dire “è un capolavoro, meglio di Sagan”. L’aveva letto di notte».
Il successo è arrivato subito?
«Il primo romanzo andò bene, i due successivi così così. E poi avevo contro di me un giornale molto importante, il “Figaro” , perché mi ero inimicato il direttore Pierre Brisson, scrivendo di uno dei suoi libri che “c’è comunque una giustizia a questo mondo, non si può essere direttore del Figaro e avere pure del talento”. Il bello è che 15 anni dopo sono diventato direttore del “ Figaro ”».
Come è passato a Gallimard?
«Dopo i primi romanzi brevi ho scritto un’opera più importante, un romanzo di 600 pagine ambientato qualche secolo prima della nascita di Cristo, La gloria dell’impero . Julliard era morto, allora ho portato il manoscritto a Grasset, dove mi hanno detto: “I tuoi libri precedenti erano anche divertenti, ma questo è noioso, illeggibile”. Allora ho riprovato da Gallimard, e ho venduto 300 mila copie».
Il suo ultimo romanzo, «Comme un chant d’espérance», è stato uno dei libri più venduti del 2014, per mesi primo in classifica. Se lo aspettava di essere ancora così amato?
«In effetti questo successo ha sorpreso anche me. Con i miei ultimi tre romanzi ho voluto superare la spaccatura tra letteratura e scienza. Un tempo uno scrittore non sapeva nulla della scienza, e gli scienziati avevano un po’ di sussiego nei confronti dei letterati. Ma Einstein, Heisenberg, Hubble o Bohr sono importanti quanto o forse più di Proust, Joyce o Claudel. Io conoscevo poco le scienze, il governo di Vichy aveva introdotto la cosmologia nel programma del baccalaureato, e aveva ragione. Ma siccome era Vichy io non avevo voluto impararla, il mio voto era un 2. Poi mi sono appassionato, ho cercato di capire la relatività e ho letto un libro bellissimo, La melodia segreta dell’astrofisico Trinh Xuan Thuan. Mi sono detto: invece di scrivere eternamente di adulteri, di Paul che incontra Marie, di Julien che ama Thèrese, parliamo di luce, spazio, tempo, la necessità, il caso, e ho scritto il romanzo dell’universo dal big bang a oggi. Ma mi sto già occupando di altro. Non posso ancora svelare il tema, già è difficile parlare dei libri scritti, figurarsi di quelli da scrivere. Ho già pronte 300 pagine, arriverò a 600».
Pochi giorni fa il presidente socialista François Hollande l’ha insignita della Legion d’Onore con una cerimonia solenne all’Eliseo. Pure François Mitterrand la ammirava.
«Mitterrand mi chiamò a quel telefono (lo indica, sulla scrivania, ndr) , un giorno. “Sono François Mitterrand”. E io risposi “si vabbè, smettila”, credendo fosse un imitatore. “Sono François Mitterrand!”, ripeté un po’ seccato; capii che era davvero lui. Mi convocò all’Eliseo prima di passare le consegne a Jacques Chirac, era alla fine dei suoi giorni e voleva parlare con me, cattolico privo di certezze ma con qualche speranza, delle forze dello spirito , l’espressione che usa nel suo discorso d’addio».
Scrittore, giornalista, entrato giovane (a 48 anni) tra gli Immortali dell’Académie Française, ha pure interpretato Mitterrand al cinema.
«Nel film La cuoca del presidente (uscito in Italia nel 2013, ndr) : il regista mi ha chiamato per propormi la parte e mi stava dicendo “ci pensi per qualche giorno” ma io avevo già deciso di accettare all’istante. È stato molto divertente».
Torniamo a Hollande. Oltre ad avere sostenuto Nicolas Sarkozy, lei non ha mai risparmiato critiche al presidente della sinistra e continua ad attaccarlo sulle colonne del «Figaro». Ha scritto pure che «non è un uomo di Stato». Non è strano che Hollande abbia tenuto a darle di persona la Grand-Croix de la Légion d’Honneur?
«Devo dirle che quando l’ho saputo, mi sono sentito in dovere di avvertire i miei amici dell’Ump (il partito del centrodestra francese,ndr) . Ho parlato a Sarkozy, Fillon, Juppé: devo accettare? E tutti mi hanno detto certamente, è la Francia a premiarti, non una persona. Sono d’accordo ed è stato un incontro molto piacevole, anche se trovo che la politica di Hollande sia disastrosa».
È vero che quando è stato poco bene, mesi fa, lei ha detto: «Non voglio morire adesso, mi terrorizza il pensiero che sia Hollande a rendermi omaggio»?
«Lo so che gira questa battuta, che trovo ottima. Ma purtroppo non posso attribuirmela, è circolata su internet non so come».
Il presidente più impopolare della V Repubblica ha pronunciato un discorso brillante e autoironico: «Lei è riuscito a essere amato durante tutta la sua vita, come ha fatto? È popolare tra le donne, gli uomini, celebre in Francia senza essere sconosciuto all’estero, amato senza essere invidiato... Perché questo dono di Dio? Perché a lei? E perché Dio è così selettivo?». Lei sa dare una risposta?
«Non saprei. Forse conta anche il fatto di non essere fazioso, sono di destra ma tra i miei amici c’è per esempio Jean-Luc Mélenchon, il politico di estrema sinistra. Poi, amo molto la vita. Ora non riesco più a farlo, ma tante volte ho preso l’auto il venerdì sera, magari la Mercedes decappottabile del 1967 che ho ancora in garage, guidavo tutta la notte, arrivavo a Portofino all’alba, stavo a Roma fino alla sera della domenica, e poi ripartivo per presentarmi il lunedì mattina in redazione, al “Figaro”. Distrutto, ma molto felice».