Pietro Saccò, Avvenire 14/12/2014, 14 dicembre 2014
QUELL’ACCANIMENTO FISCALE SUI CARBURANTI CHE SI MANGIA I RISPARMI AL DISTRIBUTORE
Nel luglio del 2008, quando la quotazione del petrolio era salita fino al record di 147 dollari al barile, fare il pieno in Italia costava meno di oggi. I prezzi di verde e gasolio erano appaiati attorno agli 1,52 euro al litro, livelli che allora erano il massimo storico ma che in queste settimane hanno l’aria di prezzi convenienti. Secondo le ultime rilevazioni del ministero dello Sviluppo economico, riferite all’8 dicembre, il prezzo medio della benzina è di 1,59 euro al litro mentre quello del gasolio è a 1,51. Rispettivamente 10 centesimi in più e solo 1 centesimo in meno rispetto al momento di massima allerta sui mercati dell’energia. Con la differenza che da mesi la quotazione del petrolio è in caduta libera: da luglio il Brent — prezzo di riferimento per il mercato europeo — è precipitato da 115 a 63 dollari al barile.
Il petrolio crolla e la benzina no. Siamo alle solite. Ma prendersela con gli “avidi petrolieri” o i “famelici benzinai” stavolta sarebbe più sbagliato che mai. Innanzitutto il barile è quotato in dollari mentre noi facciamo il pieno in euro, e la nostra moneta da luglio si è svalutata dell’8% rispetto a quella americana. Poi quello che al distributore pompiano nei nostri serbatoi non è petrolio greggio, ma un prodotto lavorato dalle raffinerie che ha un suo mercato — gli scambi avvengono sulla piattaforma del Platts — dove i prezzi non seguono sempre in maniera lineare quelli della materia prima. Infine, e questo è il punto più importante, l’effetto del calo delle quotazioni sul prezzo finaale dei carburanti è stato ridotto al minimo dall’azione tassatrice dei governi.
Da sempre la benzina è stata trattata come un comodo “bancomat” sempre a disposizione per coprire eventuali buchi nel bilancio pubblico. Un bancomat molto redditizio, considerato che, com’è noto, la benzina è uno dei pochi beni sui quali paghiamo la ’tassa sulla tassa’: l’Iva, infatti, si applica sia al prezzo industriale del carburante che sull’accisa statale. Dall’aprile del 2011 a oggi i governi hanno aumentato le accise sui carburanti per ben dieci volte. Iniziò l’ultimo governo Berlusconi, che nell’aprile del 2011 alzò entrambe le accise di 0,73 centesimi per finanziare il fondo Spettacolo e cultura e poi, a giugno, di altri 4 centesimi per le spese di gestione dell’emergenza in nord Africa. A fine ottobre dello stesso anno, l’esecutivo dell’ex Cavaliere aumentò entrambe le accise di altri 0,89 centesimi per finanziare la gestione dell’emergenza dell’alluvione in Liguria e Toscana. Quindi arrivò il governo Monti, che nel drammatico clima di un paese nel mirino della speculazione mondiale varò il ’Salva Italia’. Un decreto che faceva aumentare da un giorno all’altro, esattamente tra il 7 e l’8 dicembre 2011, di 8,21 centesimi le accise sulla benzina e di 11,21 quelle sul gasolio. Lo stesso decreto anticipava una ’correzione’ ulteriore di questo aumento, naturalmente al rialzo, da avviare nel 2013: il rialzo dell’accisa sulla verde passava da 8,21 a 9 centesimi, quello del gasolio da 11,21 a 12 centesimi. E fu ancora il governo Monti a fare scattare, a metà 2012 e su entrambe le accise, un aumento di altri 2 centesimi per il terremoto in Emilia e di 0,42 centesimi per l’emergenza abruzzo. Come ultima mossa, con la legge di Stabilità 2013, approvata alla vigilia di Natale di 2 anni fa, tutti gli aumenti per le ’emergenze’ sono stati inglobati in un rialzo permanente da 2,37 centesimi al litro. Ci penserà poi il governo Letta, entrato in carica nel maggio del 2013, a fare scattare con il Decreto del Fare aumenti da 0,24 centesimi su entrambe le accise per raccogliere altri 75 milioni per il 2014.
Ma non è ancora finita. Perché per finanziare il taglio dell’Imu del 2013, il governo Letta indicò alcune ’clausole di salvaguardia’ nel caso il gettito delle misure sostitutive fosse deludente. Una di queste clausole potrebbe obbligare, entro fine dicembre di quest’anno, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ad aumentare le accise sui carburanti per garantire incassi di 671 milioni in più nel 2015 e di altri 17,8 nel 2016. Il penultimo governo ha anche già previsto un aumento delle tasse sulla benzina dal gennaio del 2017 al dicembre 2018 per incassare in due anni altri 419 milioni di euro. Dato che il governo Letta si era portato così avanti con gli aumenti sulla benzina, il governo Renzi ha finito per fissare dal 2019 gli ultimi aumenti di accise previsti: punta a raccogliere dai carburanti 435 milioni in tre anni per finanziare agevolazioni alle Pmi.
La somma finale di quanto già ’scattato’ dice che in quattro anni le accise sulla verde sono passate da 56 a 74 centesimi al litro, quelle sul gasolio da 42 a 62 centesimi. Con l’aggiunta dell’Iva, salita nel frattempo dal 20 al 22%, paghiamo 1 euro di tasse su ogni litro di benzina e 90 centesimi su ogni litro di gasolio Sono le tasse più alte dell’Unione europea, e saliranno ancora. Non c’è crollo del prezzo del petrolio che può compensarle.