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 2014  dicembre 14 Domenica calendario

STORIA DEL BANDITO CECATO TRA GELLI E ALMIRANTE

Massimo Carminati inteso come Er Cecato è una sorta di Giulio Andreotti del crimine. In quattro decenni, il suo nome va e viene dalle tenebre dei misteri italiani. Alla data del 25 luglio scorso, il casellario giudiziale di “Carminati Massimo”, nato a Milano il 31 maggio 1958, ha una lunghezza di cinque pagine fitte, per un totale di nove “provvedimenti presenti”.
La rapina e i soldi dello Scià
Nel 1979, i Nuclei armati rivoluzionari di Valerio Fioravanti detto Giusva progettano di liberare dal carcere romano di Regina Coeli il terrorista neofascista Pierluigi Concutelli di Ordine Nuovo. Ma i giovani terroristi neri che si ritrovano in un bar del Fungo all’Eur, a Roma, sono anche rapinatori e il 27 novembre di quell’anno entrano in azione alla Chase Manhattan Bank di piazzale Marconi. Sono in cinque: Giusva Fioravanti, Peppe Dimitri, Alessandro Alibrandi, Mimmo Magnetta e Massimo Carminati. I primi quattro fanno la rapina in banca, Carminati rimane in auto, con il motore acceso, che aspetta i camerati con il bottino. Dirà Fioravanti: “Il mito di quella rapina, che nell’ambiente ci circondò per anni, fu dovuto, tanto per cambiare, a un fatto che noi in quel momento neanche conoscevamo. All’epoca della crisi tra l’Iran di Khomeini e gli Usa alcuni fondi dello scià erano depositati presso la Chase Manhattan Bank; così quando Jimmy Carter bloccò questi fondi, restarono nelle casse della banca. Dopo la rapina, Sergio Calore mi disse: ‘Siete stati geniali, perché quella è la banca dei Rockefeller’”. In realtà, la filiale scelta è vicino all’Eur, dove abitano Fioravanti e Dimitri. Carminati, insieme con Alibrandi, s’incarica di far “ripulire” il bottino da Franco Giuseppucci, boss della banda della Magliana.
Così nasce il mito
Il 20 aprile 1981, di lunedì, una Renault 5 con tre persone a bordo arriva al valico di Gaggiolo, in provincia di Varese, al confine con la Svizzera. I tre sono: Alfredo Graniti, Mimmo Magnetta e Massimo Carminati. Quest’ultimo è seduto dietro e ha venti milioni di lire con sé. I tre non sono armati. Hanno però pinze e tronchesi per squarciare la recinzione confinaria e riparare in terra elvetica. Carminati è latitante. Sta fuggendo dalla maxi-retata dei magistrati romani contro l’eversione dei Nar. Quando l’auto si ferma, sono le 21 e 30, i tre trovano gli agenti della Digos e tentano di scappare. I poliziotti sparano. Diversa la ricostruzione di Magnetta: “Spegniamo le luci dell’auto e nel momento in cui io apro lo sportello di destra e, contemporaneamente, si accende la luce di cortesia, ci iniziano a sparare”.
Salvo per miracolo
Carminati viene identificato solo due giorni dopo. Addosso ha un passaporto intestato a un infermiere della Capitale, Piero Vartolo. È in gravi condizioni. Viene operato e subisce l’asportazione dell’occhio sinistro. Entra di nuovo in sala operatoria perché il proiettile è ancora conficcato dietro alla mascella. Ritorna a Roma ed è rinchiuso in una cella di Regina Coeli, in isolamento. Due anni dopo, il 9 novembre 1983, il tesoriere del Partito radicale, Francesco Rutelli, rivolge un appello al ministro della Giustizia per la scarcerazione di Carminati: “Fu arrestato vicino al confine svizzero dopo che agenti della polizia spararono contro l’automobile sulla quale viaggiava insieme ad altri due giovani. Carminati fu ferito, perse un occhio, subendo gravi lesioni alla testa. Un proiettile gli rimase conficcato nella scatola cranica. Sette agenti furono rinviati a giudizio per questo episodio, infatti i tre erano disarmati”.
L’amico Giorgio
L’appello di Rutelli non piace al Msi di Giorgio Almirante e ai genitori dello stesso Carminati , che parlano tramite una dichiarazione dell’ufficio stampa missino: “Respingiamo nel modo più assoluto il tentativo cinico e vergognoso del Partito radicale di strumentalizzare la vicenda di nostro figlio. Diamo atto al Msi-Dn e all’onorevole Almirante di essersi occupati e di occuparsi di nostro figlio col più forte interesse impegno e in pieno disinteresse”. Il 23 novembre 1983, Carminati riceve a Regina Coeli la vista di Tomaso Staiti di Cuddia, parlamentare del Movimento sociale: “Massimo ha avuto lo spappolamento del bulbo oculare, la frantumazione del pavimento dell’orbita, lesioni gravi alla carotide e ha subito sinora sette interventi. È alto un metro e 85 e pesa solo 57 chili, nonostante tutto viene considerato un individuo socialmente pericoloso e tenuto in isolamento”.
Il maxi processo ai “neri”
Il 12 dicembre 1984 a Roma si apre, in Corte d’assise, il processo a cinque anni di terrorismo nero dei Nar nella Capitale, dal 1977 al 1981. Associazione sovversiva e banda armata, omicidi, rapine e furti, armi, incendi e ricettazione. Tra gli imputati ci sono i fratelli Fioravanti, Giusva e Cristiano, e Francesca Mambro. La requisitoria dell’accusa, nell’aula bunker di Rebibbia, altro carcere romano, si tiene il primo aprile del 1985 e si conclude con la richiesta di 53 condanne per circa sei secoli di galera. Per Carminati vengono chiesti 13 anni. Il pm si chiama Francesco Nitto Palma, che nel 2011 sarà ministro della Giustizia del governo Berlusconi. Nel 1986, il sostituto procuratore Libero Mancuso che indaga sulla strage di Bologna ascolta Angelo Izzo, uno dei tre massacratori del Circeo nonché neofascista, che parla dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, ucciso la sera del 20 marzo 1979 nel quartiere Prati a Roma, in via Orazio: “Fu Valerio Fioravanti a dirmi che era stato materialmente lui a uccidere Pecorelli unitamente a Massimo Carminati, suo compagno di scuola al liceo Tozzi di Roma. Fioravanti mi dette diverse motivazioni di detto omicidio. Tutte le versioni che mi fornì avevano come comune denominatore la provenienza della richiesta da parte della Banda della Magliana”. Ma il 16 novembre del ’91, il pm Giovanni Salvi ottiene l’archiviazione, per l’omicidio Pecorelli, delle posizioni, tra gli altri, di Licio Gelli e di Carminati.
I pentiti della Banda accusano
Arrestato nel frattempo per traffico internazionale di droga, per associazione a delinquere, per il depistaggio della strage di Bologna, Carminati nel 1995 si ritrova di nuovo nelle indagini sull’omicidio Pecorelli. Lo accusano i pentiti della Banda della Magliana. Va a processo insieme con Giulio Andreotti e Claudio Vitalone, Pippo Calò e Tano Badalamenti. Lui e il mafioso Michelangelo La Barbera sarebbero stati i killer. Carminati viene assolto il 24 settembre ’99, in primo grado. Ascolta la sentenza dalla tv, in un bar nei dintorni di Rebibbia, pronto a costituirsi in caso di condanna. Dice: “Sono sempre stato convinto dell’innocenza di tutti”.
Il giorno stesso a Milano, nell’inchiesta su Fausto e Iaio, i due leoncavallini uccisi nel 1978, il pm Stefano Dambruoso, oggi deputato montiano di Scelta civica, chiede l’archiviazione per Carminati. In quattro decenni di manette e processi, Carminati ha sempre ripetuto la stessa formula: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Solo una volta ha ceduto. Per scagionare l’amico Renatino De Pedis in un altro mistero, il sequestro di Emanuela Orlandi.
Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 14/12/2014