Niccolò Zancan, La Stampa 14/12/2014, 14 dicembre 2014
“CHIEDO AI RAGAZZI DI INVENTARSI UNA STARTUP SUL WEB. COSÌ LI STIMOLO”
Maglioncino rosso, bicicletta in cortile. Il candidato italiano al premio di professore più bravo del mondo si presenta così: «Sono imbarazzato. Dovreste intervistare gli studenti, non me». Si chiama Daniele Manni, è nato a Toronto, Canada. Il padre lavorava come caporeparto in una piccola azienda di mobili «Italian style». Ma lui, a dieci anni, è tornato in Puglia da solo, per frequentare le scuole medie a Lecce. Dormiva in convitto, sognava di diventare un ingegnere. «Perché uno zio mi aveva impressionato con questa frase: con una firma l’ingegnere guadagna un milione».
Daniele Manni cambiò idea al momento di iscriversi all’Università: «Ero venuto a Torino, a vedere il Politecnico. Grande scuola, molto dura. Con un amico convenimmo che non eravamo proprio degli scienziati dello studio. In mensa, mi raccontarono di una nuova facoltà. Si chiamava Informatica. Con stravolgimento dei miei genitori, mi iscrissi». Questo per dire che il professor Manni non è mai stato folgorato su nessuna strada. Non è stato neppure il primo della classe. Si è laureato con 98. E per spiegare i tempi - era il 1984 - sentite cosa accadde il giorno della laurea: «Ricevetti 16 telegrammi. Tutte proposte di lavoro. Olivetti. Ibm. Hp... Ma le snobbai. Non ero attratto dalla prospettiva di fare il programmatore in un gabbiotto». Per ritrovarsi di nuovo a Lecce, dopo il servizio militare. Ad ordinare i primi 22 computer per una scuola, di cui diventò professore di informatica. Il lavoro che fa ancora adesso, a 56 anni.
L’Istituto Galilei-Costa è in centro. Un edificio nobile, un po’ in disgrazia. Le classi del professor Manni non lo sono affatto. «All’inizio i ragazzi sembrano poco ricettivi. Iperbombardati da stimoli digitali, entrano a scuola e la trovano di una noia mortale. L’istruzione italiana è fantastica, ma i modi vanno rivisti. Servono scossoni. Appena mi vedono fare un po’ il pazzo, i miei allievi si svegliano». Fare il pazzo, per il professor Manni, consiste in questo: «Dividerli in gruppi. Chiedere ad ogni gruppo di inventarsi una startup. Una piccola idea da gestire sul web a costo zero». Quante idee boccia? «Quasi il 90%. Ma quelle buone camminano, guadagnano, trovano riscontro». Tre esempi di startup dell’ultimo anno. 1) Un portale per distinguere i Bed&Breakfast di qualità da quelli normali. 2) Trasformare concettualmente l’olio extravergine pugliese in un prodotto di salute e rivenderlo come tale. 3) Capovolgere il senso del logo I love New York in Salento Loves You. E da qui commerciare magliette... «Spesso le idee nascono mettendo in discussione le cose assodate - spiega il professor Manni - da un ribaltamento della realtà». Come si combatte la crisi? «Muovendosi. Il male assoluto è non fare niente. Se un ragazzo domanda la mia opinione su un anno in Inghilterra da cameriere, io gli rispondo: vai... Perché credo che muoversi porti occasioni, idee. E lo so che farò incazzare i sindacati, ma penso che piuttosto che stare a casa, sia persino meglio lavorare sei mesi gratis».
La promessa di Michelle
Con i suoi studenti, ha fondato la cooperativa «AriaNoa». Hanno dedicato un ulivo secolare a Michelle Obama, la quale ha risposto su lettera intestata della Casa Bianca: «Verrò a trovarvi». «La mia idea è la piccola imprenditorialità. Costruire cose, cambiarle, fino a vederle funzionare». Colleziona sottobicchieri di birra. Il suo film preferito è «L’attimo fuggente». Essendo connesso più di dieci ore al giorno, in tasca ha un telefono da 30 euro: «Perché ho bisogno di isolarmi completamente». Resta l’ultima domanda, cosa farebbe con il milione di dollari in palio? «Vivrei più tranquillo, ho una figlia all’Università. Acquisterei una casa, perché sono in affitto. Investirei in qualche idea dei miei allievi che era buona, ma costava. E poi ho un sogno, riassunto nell’acronimo N2Y4. Never too young for. Ovvero: non si è mai troppo giovani per musica, sport, inclusione, rispetto, scienza, lingue, cultura estera. Si tratterebbe di aprire le scuole al pomeriggio, metterle a disposizione dei ragazzi. Perché le usino, senza professori. Cosa c’è di più bello di un diciassettenne che insegna chitarra a un compagno più piccolo?».
Niccolò Zancan, La Stampa 14/12/2014