Maria Filomena Loreto, Corriere della Sera - La Lettura 14/12/2014, 14 dicembre 2014
CLATATRI
La crescente fame di energia spinge diversi governi a una necessaria e continua ricerca di nuove opportunità e fonti energetiche «non tradizionali». Nonostante l’impulso verso l’utilizzo di fonti energetiche alternative/rinnovabili, è un fatto che i combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone) continueranno a dominare la scena mondiale nei decenni a venire, fino al loro esaurimento.
Una possibilità di sfruttamento di una nuova sorgente energetica che sta attirando molta attenzione è rappresentata dai reservoir (depositi) di gas idrato. Ma cosa sono i gas idrati? Gli idrati sono dei composti solidi formati da molecole di acqua che, ghiacciando, intrappolano nella loro struttura le molecole di gas, in genere metano. Gli idrati possono contenere anche altri tipi di gas, conosciuti come gas pesanti, quali ad esempio etano, butano, propano e così via. In definitiva l’idrato è ghiaccio che contiene delle impurità. Per questo è chiamato anche «ghiaccio sporco» e, se portato a condizioni ambientali di pressione (1 bar) e temperatura (25°C), si dissocia rapidamente liberando gas e acqua.
L’idrato si forma nei sedimenti, in tal caso chiamati clatrati, quando si vengono a creare le condizioni di stabilità, ossia bassa temperatura (<4°C), alta pressione (>20 bar) e adeguata concentrazione di gas. Per tale ragione gli idrati sono presenti nei sedimenti marini delle scarpate continentali delle zone artiche e antartiche, lungo le scarpate continentali perioceaniche e nelle zone di permafrost.
Quando tali condizioni sono rispettate, l’acqua presente nei pori dei sedimenti inizia a solidificare, intrappolando le molecole di gas che, normalmente, risalgono attraverso pori o fratture dalle zone profonde. Questo lento processo porta alla formazione di strati di gas idrato più o meno compatti con spessori che possono raggiungere i 300-400 metri ed estensioni di migliaia di chilometri quadrati. Questo strato, date le sue caratteristiche, funge anche da barriera impermeabile, bloccando il flusso di gas dalle zone profonde e permettendo così l’accumulo di gas libero (allo stato gassoso) nelle rocce sottostanti. Si forma così un vero reservoir. Ma mentre il gas libero tende a occupare molto spazio, lo strato di idrato è in grado di imprigionare enormi quantità di gas in uno spazio assai ridotto. Un metro cubo di idrato può contenere fino a circa 164 metri cubi di metano in forma gassosa e soli 0,8 metri cubi di acqua.
Nel corso degli anni sono state fatte diverse stime delle riserve di gas da idrato su scala mondiale. Le più recenti valutano che esse possano rappresentare almeno il doppio di tutte le riserve energetiche convenzionali messe insieme (quali gas naturale, petrolio e carbone). Ossia, se le riserve di petrolio e di gas naturale stimate su scala mondiale risultano di 565 miliardi di barili di greggio e di 1.133 miliardi di barili di gas naturale, riportato in modo equivalente al barile di greggio (dati pubblicati sul sito del Servizio geologico degli Stati Uniti, Usgs, nel 2012: http://pubs.usgs.gov/fs/2012/3042/), le riserve di gas da idrato potrebbero essere superiori a 3.400 miliardi di barili, rappresentando così un’enorme riserva energetica che attende solo di essere sfruttata.
Ovviamente per quanto questa sia una fonte energetica con enormi potenzialità, il problema principale risiede nello sviluppo di tecnologie da impiegare, e dai relativi costi necessari, ai fini dell’estrazione del gas dagli idrati. Non trascurabili, al tempo stesso, sono le inevitabili ripercussioni ambientali che queste operazioni potrebbero comportare e l’allarme anche su possibili aspetti climatici relativi alla destabilizzazione di considerevoli volumi di metano, potente gas serra.
Resta il fatto che diversi Paesi — come l’India, gli Stati Uniti, il Giappone e altri — hanno investito cospicue risorse per sviluppare metodologie e tecnologie che permettano il recupero del gas idrato. Negli ultimi decenni sono stati condotti numerosi esperimenti in alcuni siti dove sono stati realizzati dei pozzi in campi di idrato. Due sono i più noti e importanti: il pozzo Messoyakha, perforato nel bacino occidentale della Siberia, in Russia; e il pozzo Mallik, perforato nel delta del fiume Mackenzie in Canada.
Il Messoyakha, messo in produzione nel 1969, è stato il primo pozzo realizzato in un campo di gas idrato il cui scopo non fosse estrarre l’idrato, bensì il gas libero che si era accumulato alla base dello strato di idrato. Questo pozzo, tuttora attivo, ha permesso di verificare che tra lo strato di gas idrato, sopra, e il gas libero, sotto, vi è un continuo scambio molecolare che consente di mantenere una sorta di equilibrio di concentrazione del gas. Di conseguenza il gas libero rimosso, a seguito dell’estrazione, viene lentamente rimpiazzato sia dal gas rilasciato dallo strato idrato sia dal gas che risale dai sedimenti profondi ricaricando il reservoir e permettendo un continuo, anche se lento, sfruttamento.
Altri, ben più innovativi, esperimenti sono stati fatti allo scopo di destabilizzare gli idrati, come l’immissione — tramite pozzi — di batteri in grado di generare una variazione di temperatura nei sedimenti e destabilizzare gli idrati liberando il gas; oppure iniettare acqua calda oppure anidride carbonica che andrebbe a rimpiazzare il metano nello strato idrato forzando il rilascio dello stesso. Tutti esperimenti che, nonostante l’interessante e innovativo approccio, non hanno dato risultati molto soddisfacenti e applicabili in ambito più vasto.
Alla luce di questo, l’esperienza del pozzo Messoyakha ha dimostrato che, anche se con tempi più lunghi di estrazione e periodi di pausa, il gas idrato ha una capacità produttiva immediata che può essere messa in atto e mantenuta nel tempo con metodi estrattivi di tipo «convenzionale». Nonostante le difficoltà, gli esperimenti sull’estrazione di gas idrato sono continuati: nel 2002 sono stati costituiti il Mallik International Consortium — costituito da Giappone, Canada, Stati Uniti, India, Germania — e l’International continental scientific drilling program (Iodp) allo scopo di finanziare un programma di ricerca (Mallik 2002) sulla produzione di gas idrato in pozzo.
In questo pozzo sono stati condotti per diversi anni numerosi esperimenti e test di estrazione tra i più innovativi. I risultati, ampiamente pubblicati, hanno mostrato, tramite simulazione da computer, che il gas può essere estratto dagli idrati a tassi molto elevati, che eccedono anche le diverse migliaia di metri cubi di gas al giorno.
Dopo gli interessanti e, si potrebbe azzardare, entusiasmanti risultati della ricerca sugli idrati, considerati i rischi della produzione di energia nucleare e l’ancora poco efficiente produzione di energia verde rinnovabile, molti Paesi sono tornati a investire risorse nella ricerca sull’estrazione degli idrati. Recentemente il Giappone (nel 2012) e la Cina (quest’anno) hanno firmato un accordo con gli Stati Uniti per riprendere le esplorazioni dei margini continentali allo scopo di identificare e sfruttare i gas idrati. Forse oggi più che mai il gas idrato è diventato una possibilità oltre che una speranza.
(hanno collaborato Marco Taviani e Federico Spagnoli)