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 2014  dicembre 14 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LO SCONTRO TRA RENZI E LA MINORANZA DEL PD


L’ATTACCO A RENZI DI FASSINA (dal video)
«A ME PARE CHE IL PèRESIDENTE DEL CONSIGLIO CERCHI DELLE GIUSTIFICAZIONI PER ARRIVARE AL VOTO, A UN VOTO ANTICIPATO. GUARDATE IO DICO CON MENO… NON HO L’ELEGANZA DI CUPERLO O LA DIPLOMAZIA DI D’ATTORRE. LO DICO CON GRANDE CHIAREZZA, MATTEO: È INACCETTABILE LA DELEGITTIMAZIONE MORALE E POLITICA CHE OGNI VOLTA FAI IN QUESTE SEDI DI CHI HA POSIZIONI DIVERSE DALLE TUE. NON STO IN PARLAMENTO PER FRENARE, PER BOICOTTARE, PER GUFARE, PER FAR FALLIRE LE RIFORME, STO IN PARLAMENTO PER ESPRIMERE IL MIO PUNTO DI VISTA, COSTRUTTIVO COME QUELLO TUO E COME QUELLO DI ALTRI. E NON TI PERMETTO PIU - È L’ENNESIMA VOLTA CHE LO DICO - DI FARE LE CARICATURE DI CHI LA PENSA DIVERSAMENTE DA TE. È INACCETTABILE. (APPLAUSI) LA MINORANZA NON FA DIKTAT. LA MINORANZA NON CERCA IL CONGRESSO ANTICIPATO, LA MINORANZA NON VUOL FAR FINIRE IL GOVERNO PRIMA DEL 2018. SE VUOI ANDARE A ELEZIONI DILLO CHIARAMENTE ASSUMITI LA TUE RESPONSABILITA E SMETTILA DI SCARICARE LE RESPONSABILITA’ SULLE SPALLE DI ALTRI (VIVI APPLAUSI)

ANSA.IT


"Non ha senso tornare a votare a ogni intoppo. Serve il coraggio e la voglia di andare avanti sul serio". Così Matteo Renzi in assemblea Pd. "Pensate che" andare al voto "sia l’obiettivo di una forza politica che ha detto in tutte le lingue che vuole cambiare il Paese senza cambiare i parlamentari? Ha senso, Fassina? Per me no", afferma il premier Matteo Renzi all’assemblea del Pd.

"Non sono affezionato a un principio di obbedienza, in un partito sta insieme sulla base del principio di lealtà. Si può discutere di tutto ma se ci sono elementi di coscienza non siano organizzati per correnti, non siano usati per dare un segnale e mandare sotto il governo utilizzando una questione costituzionale".

"Io contesto - prosegue - che ci sia un racconto mitologico e nostalgico dell’Ulivo quando quell’esperienza politica è stata sostanzialmente mandata a casa da nostri errori e nostre divisioni. Contesto l’idea di fare un santino senza riconoscere la responsabilità di quanto accadde nell’ottobre del 1998".

"Il Pd non è un partito che va avanti a colpi di maggioranza ma sia chiaro che non starà fermo per i diktat della minoranza. Abbiamo il dovere di corrispondere all’impegno preso con gli italiani e non staremo fermi nella palude per guardare il nostro ombelico". Così il premier Matteo Renzi in assemblea Pd.

"Il cantiere è il luogo che attrae di più i cittadini, specie quelli che non hanno molto da fare e stanno lì a mugugnare. Il Pd non si metta a osservare i cantieri: li faccia. Noi siamo quelli che cambiano l’Italia, non quelli che stanno a mugugnare su quelli che cambiano l’Italia". Lo dice il premier Matteo Renzi all’assemblea Pd.



"Chi è disonesto - aggiunge - non può camminare con il Pd, dobbiamo essere molto duri anche al nostro interno. Chi sbaglia paga anche nel Pd. Non tutti gli onesti votano Pd ma chi sta nel Pd deve avere onestà come punto fondamentale".

E aggiunge: "So bene che non tutti sono d’accordo sul Jobs act. Mi piacerebbe che almeno fosse letto il testo del Jobs act, che ci fosse uno sguardo non ideologico, una discussione nel merito. Sull’articolo 18 l’abbiamo pensata in modo diverso, ormai è andata, ognuno tiene la propria opinione ma ormai è chiusa".

"Il Pd non è il partito della nazione perché immagina chissà quali strane mutazioni genetiche, ma perché avere quei colori vuol dire che il Pd non si accontenta di vedere i sogni dell’Italia stuprati da anni di mal governo", aggiunge.

"Noto un certo richiamo all’Ulivo molto suggestivo e nostalgico, ricordo cosa diceva l’Ulivo sul bicameralismo, quello che non ricordo è come si possa aver perso 20 anni di tempo senza aver realizzato le promesse delle campagne elettorali", continua il premier.

Grazie al Pd è "sparito dallo scenario politico colui che dettava l’agenda un anno fa, Beppe Grillo. Grazie al nostro risultato abbiamo restituito il suo talento alla comicità: andrà in tour, in bocca al lupo", ironizza Renzi all’assemblea Pd: "Anche i Forconi oggi potrebbero andare solo a ’Chi l’ha visto’".

"Chiedo ai magistrati di arrivare velocemente ai processi e alle sentenze" su Mafia Capitale. "Quando leggo numerose interviste di magistrati che commentano le leggi che stiamo facendo, vorrei ringraziarli, ma credo che debbano parlare un po’ di più con le sentenze e non con le interviste". Così Matteo Renzi all’assemblea Pd.

"Non sono minimamente preoccupato per questo Parlamento: è tranquillamente nelle condizioni di eleggere il successore di Napolitano quando sarà il momento. Il fatto che nel 2013 sia fallito il colpo, non significa che oggi non sia stata imparata quella lezione", aggiunge Renzi, prima di annunciare: "La settimana prossima scriveremo un decreto che riguarderà l’Ilva ma non solo, riguarderà il porto e meraviglie culturali per la città" di Taranto.

"Io non sono solo indignato, sono schifato" da quanto emerge dall’inchiesta Mafia capitale. "Se siamo un Paese serio - continua il premier - l’indignazione e lo schifo non ci basta. Chiedo ai magistrati di arrivare velocemente ai processi e alle sentenze"

E poi: "Chi vuol cambiare il segretario si può mettere il cuore in pace, ha tempo da qui al 2017, chi vuole cambiare il capo del governo, si metta cuore in pace, ha tempo da qui fino al 2018. Ma chi vuole cambiare l’Italia non perda un secondo".

Fassina a Renzi, basta scaricabarile se vuoi voto, dillo - "Se vuoi andare ad elezioni dillo, smettila di scaricare la responsabilità sulle spalle degli altri. La minoranza non fa diktat e non vuole andare al voto prima del 2018. Non ti permetto più di fare caricature di chi la pensa diversamente da te, è inaccettabile". Così Stefano Fassino rivolgendosi, a muso duro, a Matteo Renzi nell’assemblea Pd.

Cuperlo, scissione? Accantoniamo questa parola - "Scissione? Accantoniamo questa parola, facciamo finta che non sia mai stata pronunciata. Il Pd è la nostra famiglia e qui noi vogliamo restare anche se non è ancora il partito che avevamo immaginato e l’inchiesta Mafia Capitale lo dimostra". Così Gianni Cuperlo a margine dell’assemblea del Pd.

"Matteo hai ragione a rivendicare il primato politica, ma non è mai esistito tale primato se è separata dalla società. Le piazze non sono mai stato il nostro nemico, il nostro avversario, e non potranno diventarlo", sottolinea Cuperlo, rivolgendosi direttamente a Renzi.

Civati, scissione? Cruciale elezione capo Stato - "Scissione? Un passaggio cruciale sarà quello dell’elezione del capo dello Stato, un momento dove sarà il caso di eleggere una figura di alto profilo per le istituzioni". Così Pippo Civati arrivando all’assemblea del Pd. A chi gli chiedeva se avesse un nome da proporre Civati ha risposto: "Io sono affezionato a un bolognese... però l’esempio da seguire è proprio quello lì".

"Se Renzi ci attacca risponderemo andando all’attacco. Le minoranze non hanno complotti in mente, vogliono solo fare le cose meglio. Renzi accetti qualche consiglio". Così Pippo Civati, arrivando all’assemblea nazionale del Pd. "La mia minoranza come quella di D’Alema? Non credo proprio - ha risposto - perché ci distinguono tutte le cose del mondo".

La scelta del prossimo Capo dello Stato è nel Patto del Nazareno come ha detto Silvio Berlusconi? "Assolutamente no, nel patto del Nazareno ci sono impegni importanti come le riforme" costituzionali e istituzionali. Lo afferma il vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani, a margine dell’Assemblea Democrat.

C’è un rischio scissione nel Pd? "No, nessun rischio". E’ quanto sottolinea il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini prima di entrare all’assemblea democrat. "Chiediamo a tutto il Pd di sostenere questo sforzo" nel percorso delle riforme, aggiunge Guerini.

Poletti, scissione? Io non esco dal partito - "Io non ho deciso di uscire dal Pd". Così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, rispondendo a chi gli chiedeva se il Pd oggi fosse a rischio scissione.

Boccia, se deboli non tutelati nasce partito a sinistra - "Se gli ultimi non sono tutelati poi si crea un altro partito a sinistra. La forza va usata per difendere i più deboli". Lo dice il deputato del Pd Francesco Boccia che aggiunge: "La scissione del Pd esiste solo nel dibattito giornalistico. Civati pone una questione politica. Oggi non ha senso contarsi ma ha senso confrontarsi".

D’Alema dà forfait, Bersani assente per mal di schiena - Massimo D’Alema ha annunciato che non sarà all’assemblea del Pd, in polemica con le "minacce" degli ultimi giorni. Mancherà anche Pier Luigi Bersani, ma per un mal di schiena che lo costringe a casa, senza alcuna intenzione polemica, assicurano i suoi. Gli altri esponenti della minoranza stanno invece arrivando alla spicciolata all’hotel Parco dei principi di Roma che ospita la riunione: si sono visti Cuperlo e Boccia, Fassina e D’Attorre. Rosy Bindi al momento non è arrivata, ma è in programma a breve una sua intervista in tv.

IL GOVERNO CHE VA SOTTO (ANSA DEL 10 DICEMBRE 2012)


Il governo va sotto in commissione Affari Costituzionali della Camera sulle riforme costituzionali. E’ stato - infatti - approvato con 22 voti favorevoli, 20 contrari e nonostante il parere negativo del governo un emendamento, presentato dal deputato della minoranza Pd Giuseppe Lauricella, secondo il quale il futuro Senato dei 100 sarà composto esclusivamente da rappresentanti territoriali, senza senatori a vita di nomina presidenziale.

E’ stato il voto, in dissenso dal suo gruppo, di Maurizio Bianconi, frondista di Forza Italia, quello decisivo per far andare sotto il governo sull’emendamento. Assieme all’esponente azzurro, hanno votato sì M5S, Sel, Ln e diversi deputati Pd: Bindi, D’Attorre, Agostini, Lattuca, Meloni, Pollastrini, Cuperlo, Lauricella. Andrea Giorgis (Pd) si è astenuto mentre il presidente della commissione, Sisto, ha votato contro.

Il sì all’emendamento che elimina i senatori di nomina presidenziale dal ddl Riforme, approvato con parere contrario del governo, "è il segnale che sui punti che non sono centrali bisogna lasciare alla commissione la possibilità di discutere e decidere, dato che stiamo rispettando tutti il principio di non toccare i pilastri" della riforma. Così il deputato bersaniano Alfredo D’Attorre, che si dice "convinto" che un iter parlamentare sia il mezzo migliore per un percorso rapido.

In mattinata si erano susseguite senza intoppi le votazioni sulle proposte di modifica. Tra gli emendamenti approvati uno che prevede che al futuro Senato resti la competenza sui titoli di ammissioni dei propri componenti.

Un "nodo irrisolto" per la minoranza Pd. Non si sa cosa accadrà - sottolinea Lauricella - "se il consigliere regionale o sindaco che è senatore, verrà sospeso dalla sua carica elettiva", se verrà sostituito o continuerà a sedere a Palazzo Madama. "Prendiamo il caso di De Magistris sospeso in base alla legge Severino - spiega - resterebbe senatore o verrebbe sostituito dal vicesindaco?", domanda.

RENZI
«MI È PARSO CHE SI SIANO PERSE LE RAGIONI PROFONDE IN ALCUNI PASSAGGIO DELLO STARE INSIEME. NON È UN PROBLEMA DI UN EMENDAMENTO O DI DUE EMENDAMENTI. QUESTO NON È UN PARTITO CHE VA AVANTI A COLPI DI MAGGIORANZA ECC. APPLAUSI

Civati ieri
«Un partito a sinistra del Pd si costituirà se Renzi continua così, non è colpa o responsabilità nostra. Se Renzi si presenta con il Jobs Act e le cose che sta dicendo alle elezioni a marzo, noi non saremo candidati con lui».

E invece di fuochi a Montecitorio ne sono stati accesi tanti. Mercoledì in commissione Affari costituzionali il governo è andato sotto su un emendamento dell’onorevole Pd Lauricella che nega al presidente della Repubblica la nomina dei senatori a vita. Ieri lo scivolone è stato recuperato, reintroducendo la nomina dei senatori a vita. Riunione notturna con toni alti, alla fine della quale Lauricella ha deciso di non partecipare alle sedute della commissione. In trincea sono rimasti nove deputati della minoranza democratica che hanno chiesto di essere sostituiti: non vogliono mandare ancora giù il governo, ma intendono continuare a votare in dissenso su alcuni punti della riforma. Ci sono stati momenti concitati ieri pomeriggio a Montecitorio, con i lavori della commissione interrotti. In questa situazione Speranza, che oltre ad essere capogruppo è anche uno dei leader della minoranza, si trova sempre tra l’incudine e il martello. Ieri ha dovuto mediare, riunendo i dissidenti (tra questi Bindi, D’Attorre, Cuperlo, Pollastrini, Agostini) con renziani e ultras renziani come Ettore Rosato considerato il bastone di Matteo in commissione. Sono volate parole grosse: Rosato li ha accusati di voler far cadere il governo e bloccare le riforme; risposta piccata della minoranza che attribuisce a Renzi la volontà di volere mettere la mordacchia a chi la pensa diversamente. Alla fine i ribelli hanno ritirato la richiesta di essere sostituiti, ma non sono rientranti in commissione per non votare l’articolo 3 che ripristina il potere del Capo dello Stato di nominare i senatori a vita. Sono rientrati in un secondo momento, dopo la riformulazione di alcuni articoli. In serata votato un emendamento dei relatori che fissa il quorum per eleggere il capo dello Stato a tre quinti dei votanti a partire dal nono scrutinio.
Ma la guerriglia è rimasta. La Bindi: «Se non ci dicono sì all’emendamento che introduce il giudizio preventivo della Consulta sulla legge elettorale, allora con sdegno me ne vado».

Una vigilia di Assemblea nazionale Pd incandescente. Una vigilia da «thriller», ironizza Pippo Civati, riferendosi al mistero della carta che Renzi intende giocare oggi in assemblea per riportare all’ordine i ribelli del suo partito. La ribellione è esplosa in commissione Affari costituzionali di Camera dove procedono a fatica le riforme delle istituzioni e della legge elettorale. Sullo sfondo aleggia il big game del Quirinale e incombe lo spettro della scissione che ieri Civati ha evocato. «Un partito a sinistra del Pd si costituirà se Renzi continua così, non è colpa o responsabilità nostra. Se Renzi si presenta con il Jobs Act e le cose che sta dicendo alle elezioni a marzo, noi non saremo candidati con lui».
L’attacco della minoranza
Renzi, dal canto suo, fa spallucce, apre la porta a chi vorrebbe uscire, pensando che a sinistra del Pd ci sia spazio solo per una minoranza che non tocca palla. E poi, se qualcuno vuole mettersi al suo posto, attenda il congresso o le primarie. «E’ singolare - osserva il renziano Ernesto Carbone - che ci sia ancora chi pensa di vivere in un clima da congresso. Se vuole decidere la linea del Pd, Civati si presenti nuovamente alle prossime primarie». Chi invece non ci pensa affatto a imboccare l’uscita è Bersani che rivendica al Parlamento il diritto di dissentire. «Leggo sui giornali di questo psicodramma a proposito di quanto succede in Parlamento. Cerchiamoci di metterci tranquilli che abbiamo altri problemi in giro». L’ex leader Pd ricorda che non sono i governi a cambiare le Costituzioni: «Renzi riconosca che sono materie parlamentari e quindi se la sbroglino lì. Non vedo la necessità di accendere fuochi».


Il premier spiazza i nemici
e punta ai “collaborazionisti”
Linea soft senza espulsioni. I contestatori divisi in quattro fazioni

Fabio Martini

In questi giorni la principale preoccupazione dello staff di Renzi è stata poco politica, molto materiale ma è rimasta riservata: riuscire a riempire la sala che questa mattina, all’hotel Parco dei Principi a Roma, ospiterà l’Assemblea nazionale del Pd. Un appuntamento preceduto dall’attesa di uno scontro frontale, l’ennesimo, tra il segretario-presidente Renzi e le minoranze interne, sempre più combattive e sempre più divise tra loro. La preoccupazione di riempire la sala non risponde ad un canone estetico o ad un’ansia organizzativistica: riuscire a far convergere in Assemblea i più di millecinquecento componenti è sempre stata un’impresa titanica anche per i predecessori e dunque Renzi ha chiesto che questa mattina non ci siano vuoti eccessivi, che potrebbero alludere ad un Pd renziano demotivato e poco compatto.
Le preoccupazioni
Abile nel collocare la riunione del parlamentino all’indomani dell’udienza col Papa, Renzi confida di non avere grosse preoccupazioni politiche, anche perché ieri sera la sua intenzione era quella di spiazzare una volta ancora i suoi avversari interni: a chi lo aspetta assetato di provvedimenti disciplinari, il segretario-presidente potrebbe invece riservare un approccio per certi versi capovolto. Il Renzi che aprirà questa mattina i lavori dell’Assemblea nazionale sarà più inclusivo e meno “attaccabrighe” rispetto alle ultime sortite: «Chi vuole cambiare il governo aspetti il 2018, ma chi vuole cambiare il Paese non perda un solo giorno e venga a darci una mano». Un approccio soft, mirato anche a dividere ulteriormente la minoranza interna: anziché attaccarla frontalmente e dal punto di vista disciplinare, Renzi immagina di blandire ulteriormente i “collaborazionisti”, che aumentano ad ogni passaggio cruciale.
Un Renzi che rivendicherà il lavoro fatto, che confronterà il Pd del dicembre 2013 e quello di oggi. Ha confidato ieri: «Non rivendico meriti, non voglio coccarde, ma ricorderò l’impresa che abbiamo fatto: avete preso un partito che non aveva vinto in Italia e lo avete trasformato nel partito più votato d’Europa». Un Renzi che si propone di sferzare la minoranza, con argomenti pungenti ma oggettivi, affermando un principio: «Non voglio obbedienza, ma pretendo lealtà». Un approccio destinato, almeno sulla carta, a complicare la reazione delle minoranze interne, divise in cinque aree: l’ala più lontana da Renzi, guidata da Pippo Civati, che ieri ha riunito i suoi a Bologna e ha ribadito per l’ennesima volta, ma con un po’ di enfasi in più, che lui non resterebbe in un Pd che andasse ad elezioni anticipate con la bandiera del Jobs Act; poi ci sono i bersaniani, oramai divisi in due sotto-aree: i duri e puri (Fassina, D’Attorre e Gotor) e i “collaborazionisti” (Speranza, Stumpo, Epifani, Damiano), con Bersani che è leale con la “ditta” ma al tempo stesso fomenta gli umori guerrieri dei suoi; gli ex dalemiani raccolti attorno a Gianni Cuperlo e il cui punto di riferimento (Massimo D’Alema, reduce dalla contestazione pugliese) non parteciperà all’Assemblea di oggi; infine c’è l’area delle “personalità”, personaggi tra loro diversi, (Bindi, Boccia), ma accomunate nell’atteggiamento critico verso Renzi.

(l’Osservatore Romano/reuters) - Famiglia Matteo Renzi con la moglie Agnese e i tre figli ieri durante la visita a Papa Francesco