Morya Longo, Il Sole 24 Ore 14/12/2014, 14 dicembre 2014
WALL STREET «DROGATA» DAI BUY-BACK
«Stay hungry, stay foolish». «Siate affamati, siate matti». Quando Steve Jobs lanciò questo motto, mai avrebbe immaginato che la sua Apple – dopo la sua morte – lo avrebbe preso alla lettera. Ma non nel senso che intendeva lui: in senso finanziario. A novembre il colosso dell’iPhone ha raccolto 2,8 miliardi di dollari attraverso due prestiti obbligazionari: pagando tassi d’interesse irrisori, Apple ha scritto nero su bianco che userà questi soldi anche «per ricomprare azioni e pagare dividendi». Insomma la società si indebita, sfruttado i tassi bassi garantiti dalla Fed, per saziare i propri «affamati» azionisti. E non è la prima volta: nell’ultimo trimestre Apple ha realizzato 8,5 miliardi di dollari di utili, ma ha restituito 20,1 miliardi agli azionisti tramite buyback azionari e dividendi.
Se la Borsa di Wall Street è sui massimi storici (a prescindere dal ribasso degli ultimi giorni), è anche per questo: perché tutte le aziende americane «drogano» le loro quotazioni borsistiche ricomprando le proprie azioni e distribuendo denaro agli azionisti di Wall Street. Nell’intero 2014, stima Bloomberg, le aziende quotate nella Borsa americana spenderanno 914 miliardi di dollari tra dividendi e buyback: questo significa che useranno il 95% dei loro utili non per investire, non per redistribuire ricchezza alzando i salari ai dipendenti, ma per gratificare gli investitori di Wall Street. E per “truccare” un parametro su cui si basano i bonus degli amministratori delegati: l’utile per azione, che nell’ultimo trimestre è salito del 4% solo per questo.
Le due strade degli utili
Quando un’azienda chiude in utile, può usare i profitti per investire oppure può distribuirli agli azionisti sotto forma di dividendi o di buyback (riacquisti di azioni proprie). Fino agli anni ’70 negli Usa era preferita la prima strada:?questo ha garantito al Paese grandi investimenti privati e maggiore benessere ai dipendenti, che vedevano salire i salari. Dagli anni ’70 l’approccio è cambiato: le aziende hanno iniziato a preferire la riduzione dei costi per distribuire sempre più ricchezza agli azionisti. Cioè alla finanza. Ma la vera svolta è arrivata nel 1982, quando?la regola 10b-18 della Sec ha sostanzialmente liberalizzato i buyback di azioni sul mercato. Da allora è iniziata la fiera dei riacquisti, che - di fatto - rappresentano una vera e propria manipolazione legalizzata del mercato azionario: più l’azienda compra titoli, infatti, più il loro prezzo sale e con esso l’utile per azione.
Secondo i calcoli di William Lazonick della Harvard Business Review, le 449 aziende quotate a Wall Street tra il 2003 e il 2012 hanno usato il 54% degli utili per ricomprare le loro azioni sul mercato e il 37% per pagare dividendi. Insomma: mediamente il 91% dei profitti sono tornati nel mondo finanziario, gonfiando le quotazioni e lasciando ben poco spazio a investimenti o ad aumenti salariali. E quando la Fed, negli ultimi anni, ha stampato moneta tenendo i tassi a zero, il fenomeno è aumentato: ora molte aziende si indebitano (sfruttando i tassi bassi) pur di distribuire sempre più denaro agli azionisti. E di far girare la giostra di Wall Street.
La ricchezza si ferma
È vero che i buyback, anche realizzati indebitandosi come fa Apple, servono per tenere equilibrata la struttura finanziaria di un’azienda. Servono per utilizzare l’immensa liquidità che hanno le imprese Usa. Ma, in realtà, servono più agli amministratori delegati e agli investitori che li nominano. Quando i top manager?manipolando il prezzo delle azioni con i buyback, in realtà manipolano anche - al rialzo - i propri salari. Dal 2003 al 2012 i numeri uno delle 10 maggiori aziende Usa hanno ricevuto 168 milioni di dollari a testa di compensi: il 34% di questi sono arrivati da stock option e il 24% da stock awards. Ovvio che per loro pompare il prezzo delle azioni significa guadagnare di più.
Il problema è che a perdere sono i dipendenti e i contribuenti. Perché se le aziende usano i soldi per pagare gli azionisti, drenano risorse ai lavoratori e indirettamente ai contribuenti e ai cittadini. Attraverso la American Energy Innovation Council, i top manager di gruppi come Microsoft e Ge hanno per esempio spinto il Governo americano a triplicare gli investimenti pubblici a favore dell’energia alternativa, portandoli a 16 miliardi l’anno. Bene, si dirà:?evviva l’energia pulita. Peccato – calcola Lazonick – che nell’ultimo decennio solo Micrososft e Ge abbiano insieme speso ogni anno lo stesso ammontare di dollari per ricomprare le proprie azioni in Borsa. Ancora più clamoroso il caso delle aziende farmaceutiche. Negli Usa le medicine costano molto più che in altri Paesi perché - dicono le case farmaceutiche - in questo modo possono investire in ricerca e sviluppo. Peccato che Pfizer dal 2003 al 2012 abbia usato il 71% dei propri utili per buyback e il 75% per pagare dividendi. Drenando risorse alla ricerca e sviluppo. Così Wall Street corre, gli azionisti esultano, i top manager fanno soldi a palate. Ma il mondo reale cresce molto meno. E la forbice sociale, tra Wall Street e Main Street, si allarga.
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Morya Longo, Il Sole 24 Ore 14/12/2014