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 2014  dicembre 14 Domenica calendario

«Su una millecento nera — del “Corriere della Sera”» si poteva ammirare Giovanni Spadolini che gesticolava da solo, ai semafori

«Su una millecento nera — del “Corriere della Sera”» si poteva ammirare Giovanni Spadolini che gesticolava da solo, ai semafori. E non ci si rendeva ancora conto che stava dettando a qualche dimafono o dittafono. Sempre autorevolissimo. E vestito di scuro. Alla regata! Alla Zelata! E lì, caduti in acqua da un barchino tipo sandolino o canoa, sarei rapidamente rientrato in casa a cambiarmi. Mentre tutti facevano colazione al sacco su una riva ghiaiosa del Ticino. E poi si sarebbe aperto un buffet di delizie. Ma lui? Tornava in mente il programma di ogni domenica sera. Alcuni vecchi amici — Vanni Sartori, Bibi Gondi, Indro Montanelli… — si ritrovavano a casa della mamma Spadolini. E dopo qualche aperitivo si recavano a un importante ristorante lì vicino. Forse in via Pantani. E lì, il futuro Senatore si cimentava con notevoli quantità di carne. La domenica, a colazione, sfoggi e lussi da Doney, in via Tornabuoni. E magari, la sera tranquillamente al Campidoglio, altro posto che ormai non c’è più. Intanto Spadolini era diventato Direttore. Nientemeno che del «Corriere». Ma io ero stato ingaggiato dal suo predecessore Alfio Russo, con Enrico Emanuelli, e impegnato a scrivere soprattutto «elzeviri». Ora, per il neodirettore Spadolini, gli elzeviri potevano soltanto spettare a luminari delle Università. Bastò però qualche esperimento, per convincerlo che anche con Gianfranco Contini la faccenda giornalisticamente non funzionava. E meno ancora con Gadda. Vi fu poi la faccenda delle elezioni. Gli elettori più giovani mostravano scarsi entusiasmi. Allora il presidente repubblicano Bruno Visentini mi sollecitò in lista. Quale indipendente. Ci si vedeva ogni estate, nel medesimo Hotel Bristol, dopo gli spettacoli e i concerti a Salisburgo. E mi invitava regolarmente alla Fondazione Cini. Ma benché con più voti a Roma, finii primo fra i non-eletti a Milano. Traumi, ambasce. Spadolini era senatore da sempre, per definizione. E infatti, quando per un voto solo non fu presidente del Senato, rapidamente ne morì. Se voleva soppiantarmi, diventava semplicemente deputato. Inammissibile. E sapeva bene che mentre a Milano lui presentava e capitanava i lombardi eletti, a Ravello invece si dava la cittadinanza onoraria a Gore Vidal. Con una orazione di Italo Calvino. Presenze di amici illustri, come Marella Agnelli… Tanti anni fa, quando era Papa, Paolo Sesto che in quanto milanese li conosceva benissimo, stava arrivando per via Condotti alla colonna dell’Immacolata in piazza Mignanelli. Vedendo alle finestre un industriale (firmatario di leggi in favore del divorzio) e una eccellente marchesa affacciati coi loro volantini pronti, li minacciò scherzosamente con un gesto della mano. Ma il monsignore che reggeva i piedi al Papa, in fondo alla macchina aperta, liberò per un attimo il braccio, e fece un segno tipo «baloss!». Giovanni Macchia si arrabbiò quando una sua allieva o addirittura assistente gli fece notificare la biblioteca dallo Stato, dopo aver chiesto e ottenuto il favore di visitarla. Non perché intendesse vedere qualche prezioso volume. Ma insomma, trovarsi qualche custode giudiziario, in pratica. Si andava da loro (lui e la moglie Carla) ogni domenica pomeriggio. Con Sandro d’Urso, fratello di Carla. E si parlava di passati splendori: ne avevano vissuti parecchi. Grande giovialità spontanea, allegria, letizia. Verso l’ora di cena, changement de décor . Arrivavano i discepoli, con Jacqueline Risset; e ci si accingeva dunque alla cucina. Si usciva allora da via Guido d’Arezzo. E si trovava Francesco Serra (di Cassano, cognato di «Babbo») che ci attendeva, ritto all’angolo di via Paganini. Di lì si andava tranquillamente al ristorante, con vari amici. A Voghera, gli Antonicelli abitavano in un severo palazzetto, in via Mazzini, poco prima della chiesa del Carmine, che per la Settimana Santa faceva i «sepolcri» più belli. Sandro era un grosso medico, lavorava all’Ospedale, e veniva zoppicando in via Emilia a verificare la pressione sempre altissima di mia nonna. Aveva in casa la collezione completa dei libri Frassinelli, diretti dal fratello Franco. Amalia era una cara amica della mia mamma, e veniva chiamata «la Bidone», in quanto grassoccia, e poi moglie del rag. Bidone. Per suo tramite, giungevano le direttive della signorilità torinese. Per esempio, non offrire più i cioccolatini su un piatto d’argento, bensì in una ciotola di cristallo. E le signore di Voghera si conformavano. Verso gli inizi della guerra si andò in treno a Venezia, per vedere (forse l’ultima volta?) i vari monumenti, già ingabbiati e insabbiati. E su quel treno c’era Amalia, che andava a Grado per passare qualche giorno col fratello musicista Giuseppe, sovrintendente del Teatro Verdi a Trieste, e marito del soprano Franca Somigli. Amalia spiegava alla mia mamma che portava nelle valigie una liseuse , da sfoggiare sopra la camicia da notte se qualcuno entrava improvvisamente in camera. La mamma le domandò se le capitava spesso. Ma Franco Antonicelli, a Torino, avrebbe subito riconosciuto la prima scena del Don Giovanni di Mozart. «Lanfranco. Omo in schiena sopra un letto con un gatto appresso, cornice con poco intaglio». Così viene liquidato, dalle mostre di Colorno in poi, lo «strano dipinto di difficile interpretazione che non si colloca all’interno di alcuna tradizione storico-artistica» dovuto a Giovanni Lanfranco, proveniente dalla Walpole Gallery londinese e ora nella mostra romana su I Bassifondi del Barocco a Villa Medici (Académie de France). Con tanto di sottotitoli: La Roma del vizio e della miseria . Wow! Evidentemente ci si divertiva parecchio, in quelle losche taverne, mentre in giro impazzava il Barocco. Bacco, Tabacco, Venere, Bacchini e Amorini insolenti che dileggiano satiri e ninfe tra sregolatezze e dissolutezze… Culini e culetti cicciotti, lì pronti per il Pedofilo: ammantellato o villico? Cappa-e-spada, o rustico? Giocatori coglioni, bari scaltri, ciarlatani, commedianti, molti mendicanti («ma de che?»), scherzi e inganni abbondanti (idem), zimbelli, zimarre, zinne, zingare… Tutte stregonerie, signora mia. Secondo i moralisti, «i Tragici verbigrazia imitano l’azzioni illustri de i Re, et altri gran personaggi». Mentre «i Comici imitano l’azzioni private delle persone basse et humili». Così, a Villa Medici, soprattutto crapula in osteria. Come era divertente, il capriolo di Toti Scialoja che letteralmente «zompava» dal fax, in risposta al mio messaggino: «Caro Topo, Vecchio Topo, Tu non sai cosa vien dopo»…