Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’uomo della strada, qui in Occidente, o almeno qui in Italia, si chiede se la guerra in Iraq avrà riflessi sul prezzo del petrolio e farà aumentare il prezzo della benzina.
• Succederà?Il prezzo europeo (Brent) è arrivato a quasi 115 dollari al barile. Quello americano sta a 106,27. Sono tutti e due in rialzo. Una conseguenza inevitabile del conflitto, dato che l’Iraq è il secondo produttore Opec. Quelli dell’Isis hanno puntato subito al petrolio. Mosul, una delle prime e delle più importanti città conquistate dai sunniti, è piena di pozzi. È in corso, mentre scriviamo, una grande battaglia intorno alla raffineria di Baiji, duecento chilometri a nord di Baghdad, capace di produrre 600 mila barili al giorno. Il governo iracheno garantisce in televisione che «le forze di sicurezza hanno il totale controllo della raffineria di Baiji». Finora però i sunniti hanno conquistato quello che hanno voluto. La Exxon e la British Petroleum (BP) hanno riportato a casa il proprio personale. I giornali hanno titolato: «Iraq, fuga dei petrolieri».
• Che cos’è l’Isil? Perchè in Iraq, dopo il ritiro degli americani, c’è di nuovo la guerra?
La nuova guerra irachena è un sottoprodotto della guerra civile siriana. La sigla Isil significa: Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Si può anche dire Isis: Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. Questi islamisti dell’Isil puntano a creare un nuovo stato, anzi un califfato, posto a cavallo tra Siria e Iraq, governato con la sharia. Uno stato sunnita, nemico dell’Iran e dell’attuale regime di Baghdad. Ci sarebbe stata una riunione ai primi di giugno di tredici fazioni sunnite, tutte nemiche dell’attuale governo iracheno (voluto dagli americani). Tra questi tredici, c’erano anche i nostalgici di Saddam, i cosiddetti baathisti (dal partito di Saddam, che si chiamava Baath). Oltre alla creazione del nuovo stato Isil, questi sunniti si propongono la caduta del governo filo-americano che governa l’Iraq adesso. I soldi gli arrivano dall’Arabia Saudita e dal Qatar un po’ per affinità religiosa (la dinastia che governa il Qatar è wahabita, ramo del sunnismo radicale), un po’ per inimicizia verso Teheran. I miliziani dell’Isil sono partiti all’attacco il 5 giugno: con l’aiuto delle popolazioni sunnite del nord-ovest, hanno preso Mosul, seconda città più grande dell’Iraq dopo Baghdad, poi Tikrit, dove nacque Saddam, quindi Samarra e Kirkuk. Sostengono di aver conquistato anche Baiji, centro dell’area petrolifera, fatto che il governo di Baghdad nega. Il governo di Baghdad ha fatto mostra, in questa occasione, di tutta la sua insipienza. Confermando che si tratta di un regime corrotto, nepotista e politicamente privo di luce. Il capo di questo governo, al Maliki, sciita, ha discriminato curdi e sunniti, creando le premesse per questa guerra-rivoluzione. I sunniti dell’Isil puntano a prendere la capitale.
• Chi li guida?
Un uomo di grande carisma sui suoi, di cui non sappiamo praticamente niente. Si chiama Abu Bakr al Baghdadi, è nato a Samarra nel 1971, il suo vero nome sarebbe Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarra, avrebbe ottenuto un dottorato in studi islamici a Baghdad, si proclama discendente diretto di Maomaetto. Gli americani lo avevano fatto prigioniero e lo tenevano rinchiuso a Camp Bucca, vicino a Umm Qasr, sul Golfo Persico. Quando se ne sono andati, al Maliki lo ha liberato (2009).
• È uomo di al Qaeda?
Non più. Nella guerra civile siriana, le due formazioni leader dei ribelli sono l’Isil e Jabat al-Nusra, guidata da Abu Mohammed al Golani. Il capo di al Qaeda, al Zawahiri, sta con Nusra. Un tentativo di fondere i due movimenti è andato a vuoto per le gelosie tra i due leader. Al Baghdadi cerca la sua glorificazione nella conquista di Baghdad, che lo metterebbe facilmente a capo di tutto il movimento fondamentalista. S’è anche procurato, nella sua avanzata, molti soldi: prima ha spodestato il suo rivale al Nusra dalla riserva di gas di Conoco (Siria), poi, entrato a Mosul, avrebbe sottratto 429 milioni di dollari e mucchi di lingotti d’oro alla Banca Centrale. Con questi capitali è in grado di metter su un esercito di 60 mila uomini. Adesso sono solo diecimila.
• Gli americani che fanno?
Al Maliki, il capo del governo di Baghdad, ha chiesto l’aiuto Usa. Obama, proprio ieri, ha detto che non ci saranno interventi via terra, cioè nessun invio di truppe. Manderanno trecento consiglieri militari per spiegare all’esercito iracheno come si deve combattere (non lo sanno). Sono possibili anche incursioni aeree, con i droni. Ma non è facile, a questo punto. E il presidente, in casa sua, è attaccato violentemente dalla destra nostalgica di Bush.
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