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 2014  giugno 20 Venerdì calendario

GRANDI MANOVRE PER IL NUOVO CSM E PARTE LA ROTTAMAZIONE NEI TRIBUNALI


ROMA — Superato l’ostacolo del voto al Csm sulle pratiche a suo carico, Edmondo Bruti Liberati potrebbe guardare con animo più sereno (in teoria, ché la pratica può sempre rivelarsi cosa diversa) alla riconferma nell’incarico di procuratore di Milano: altri quattro anni a partire da luglio, quando scadranno i primi quattro. In fondo il suo ufficio ha lavorato bene, ha sentenziato ieri l’organo di autogoverno dei giudici, in tempi rapidi e con risultati più che soddisfacenti. Tuttavia, se pure dovesse ottenere la conferma, il procuratore dovrà andarsene prima della nuova scadenza fissata a luglio 2018 a causa del decreto-legge che imporrà la pensione dei magistrati a 70 anni (senza più le proroghe fino a 75 previste dalla legislazione vigente). E Bruti, che raggiungerà il nuovo limite d’età il prossimo 10 ottobre, dovrà lasciare la scrivania entro e non oltre il 31 dicembre 2015, unica deroga concessa dal governo per non scoprire all’improvviso i vertici di troppi uffici giudiziari.
Per quella data — a meno di qualche ripensamento legislativo dell’ultima ora, magari a seguito delle riflessioni sulla «necessità e urgenza» di un simile provvedimento — tutti gli ultrasettantenni dovranno appendere la toga al chiodo. Il che significa che lasceranno il servizio 445 magistrati su 9410 in attività; poco meno del 5 per cento. Un’incidenza relativa, tant’è che tra gli stessi giudici chi si lamenta è, tutto sommato, una minoranza piuttosto esigua. Peraltro consapevole che l’innalzamento della facoltà di lavorare fino a 75 anni fu un gentile omaggio della maggioranza politica di Silvio Berlusconi all’ex presidente della Corte di Cassazione Nicola Marvulli, nel 2002, nel tentativo di ingraziarselo in vista della decisione sullo spostamento da Milano dei processi a carico dell’ex Cavaliere; Marvulli intascò il regalo, ma la Cassazione lasciò a Milano i processi contro Berlusconi.
Il problema organizzativo nasce dall’applicazione immediata e senza scaglionamenti graduali della nuova norma, dal momento che di quei 445 giudici e pubblici ministeri destinati alla pensione di qui a un anno e mezzo, due su tre ricoprono incarichi apicali negli uffici giudiziari: 191 direttivi e 104 semidirettivi, per un totale di 295. Il che significa che entro il dicembre 2015 si dovrà rinnovare per due terzi la guida del potere giudiziario in Italia. Nel dettaglio, a parte i vertici della Corte suprema e della Procura generale (quelli attuali e i principali candidati alla loro successione), bisognerà sostituire 31 procuratori della Repubblica, titolari dell’azione penale; 50 presidenti di tribunale, 15 presidenti di corte d’appello e altrettanti procuratori generali distrettuali, e 51 presidenti di sezione della Cassazione (il «palazzaccio» sarà l’ufficio più colpito, al punto da convincere il primo presidente Giorgio Santacroce a scrivere un’insolita quanto allarmata lettera al ministro della Giustizia). E ancora presidenti dei tribunali di sorveglianza, procuratori e presidenti dei tribunali minorili, avvocati generali della Cassazione. Tra i 104 incarichi semidirettivi da rinnovare ci sono soprattutto procuratori aggiunti e presidenti di sezione dei tribunali e delle corti d’appello.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione, generazionale ma anche culturale, visto il peso dei nomi di coloro che lasceranno la toga: da Bruti Liberati, per l’appunto, al pg e ai presidenti di tribunale e corte d’appello milanesi Minale, Pomodoro e Canzio; da Gabriella Luccioli, prima donna a entrare in Cassazione, a Marcello Maddalena già procuratore e ora pg a Torino, fino a Leonardo Guarnotta, ultimo magistrato ancora in servizio del nucleo fondativo del pool antimafia di Falcone e Borsellino. E molti altri nomi che con le loro indagini o sentenze hanno scritto la storia della giurisdizione italiana.
A condurre questa rivoluzione — che prevedibilmente creerà non pochi contenziosi davanti ai giudici amministrativi — sarà il nuovo Consiglio superiore della magistratura che uscirà dalle elezioni dei 16 componenti togati previste per il 6 e 7 luglio e degli 8 componenti «laici» da nominare in Parlamento. Le previsioni per i posti assegnati a giudici e pubblici ministeri riferiscono che la corrente «centrista» di Unità per la costituzione e la «sinistra» rappresentata da Area potrebbero avere rispettivamente 7 e 6 seggi, e 3 dovrebbero andare alla «destra» di Magistratura indipendente. Ma uno o due seggi restano in bilico, e potrebbero passare da un gruppo all’altro, tenendo conto che sono in corsa anche i cosiddetti indipendenti. In ogni caso Unicost e Area dovrebbero mantenere saldamente, come ora, la maggioranza. Tra i «laici» invece, secondo consolidate prassi mai smentite,cinque componenti dovrebbero andare alla coalizione di governo (verosimilmente 4 scelti dal Partito democratico e uno dal Ncd di Alfano) e tre all’opposizione (di certo uno a Forza Italia e uno al Movimento 5 Stelle, l’altro da assegnare).
Nomi ne circolano pochi, c’è molta incertezza. È però pressoché sicuro che tra i quattro «laici» indicati dal Pd — sui quali il premier-segretario Matteo Renzi avrà l’ultima parola — ci sarà il vice-presidente chiamato a guidare la consiliatura in raccordo col capo dello Stato. Sarà insomma un Csm di marca renziana. Che forse non a caso dovrà procedere a una rivoluzione inevitabilmente associata alla «rottamazione» tanto cara al giovane capo del governo.