Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 20 Venerdì calendario

“QUANDO MARTINI INVOCAVA UN PO’ DI FOLLIA NELLA CHIESA”

[Intervista a Padre Sporschill]

ROMA
La Chiesa è «indietro di duecento anni se non di trecento». Così scrisse il cardinale Carlo Maria Martini nel Testamento pubblicato il primo settembre del 2012. Il testo venne raccolto in limine mortis da padre Georg Sporschill, gesuita austriaco, che oggi assieme a Stefano Stimamiglio racconta per la prima volta la sua vita (Chi salva una vita salva il mondo intero , San Paolo, pagg. 160, 14 euro).
Padre Sporschill, nel 2012 vi fu chi sostenne che quel Testamento non era del tutto autentico.
«Tutte le parole pubblicate mi furono dette da Martini l’ultima volta che lo incontrai a Gallarate, l’8 agosto 2012, ventitré giorni prima che ci lasciasse, e le ritengo autentiche. Una volta tornato a casa avevo pensato di saltare qualcuno fra i passaggi più duri, ma Ruth Zenkert — la donna che da anni lavora insieme a me con i bambini di strada e rom in Romania — mi disse che avrei dovuto lasciare quelle parole, come lui le aveva espresse. E così ho fatto. Martini è stato un uomo molto profondo nella sua fede e allo stesso tempo dotato di un amore leale e fedele per la Chiesa. Quando si ama qualcuno, si soffre se lo si vede in difficoltà. Per questo ha patito nel vedere che gli uomini di questo tempo non la ritengono un interlocutore credibile con cui confrontarsi. Per lui il sintomo evidente della malattia era l’indifferenza della gente. Questa sua idea, insieme ad alcune cause che lui vi intravedeva — e cioè gli intrighi di curia e la nomina di alcuni vescovi — l’ha espressa sia oralmente che per iscritto più volte a papa Benedetto. Da quanto so, però, senza ottenere risposta. Di Giovanni Paolo II pensava che fosse un uomo con un carattere forte, che lo portava talvolta a non ascoltare ragioni su alcune decisioni già prese. Quando destinò lui che era un torinese, a Milano, le perplessità che espresse a Wojtyla furono da questi respinte senza tante discussioni. Martini è stato sempre leale con i Papi, tanto che ha sempre espresso loro la sua idea sullo stato della Chiesa senza infingimenti. E devo riconoscere anch’io che, fino all’arrivo del “suo” candidato, cioè di papa Francesco, ben poco si è mosso nella Chiesa. Bergoglio era già un “papabile” nel Conclave nel 2005 in alternativa a Ratzinger e credo che sia stato proprio Martini — è soltanto una mia opinione — a proporre ai cardinali il suo confratello argentino».
Fu anche la pubblicazione di quel Testamento che contribuì ad appiccicare addosso a Martini l’etichetta di Antipapa.
«La sua risposta è sempre stata: “Non sono un ‘Antipapa’, sono un ‘Antepapa’”: in questo è stato profetico».
Martini ha spinto la Chiesa a farsi promotrice di riforme in vari campi, fra questi la sessualità. Cosa pensava dell’ Humanae Vitae di Paolo VI?
«Faceva spesso l’esempio dell’ Humanae Vitae come materia su cui portare la discussione ecclesiale riguardo a matrimonio e sessualità. Vedeva come un grande problema il crescente numero di divorziati nelle società occidentali e si rendeva anche conto che sulla sessualità la psicologia e la medicina dovessero essere prese in seria considerazione dal magistero della Chiesa, non prima però di avere chiesto scusa per alcune posizioni dure del passato».
Cosa pensava del Vaticano?
«Era un religioso tutto di un pezzo e quello che accadeva dentro le mura vaticane lo faceva soffrire molto».
Si sarebbe mai aspettato Martini l’elezione di Bergoglio?
«Credo di sì. Diceva che il Papa avrebbe bisogno di avere intorno a sé gente un po’ matta per tentare strade nuove. Per “matta” intendeva “coraggiosa”. Con Francesco mi sembra che la realtà abbia superato la fantasia: il Papa argentino è, in questo senso, un po’ “matto”. Ha il coraggio di vivere secondo uno stile diverso, quello che Martini auspicava: vicino alla gente, soprattutto a quella in difficoltà. Di lì, e solo di lì, lo Spirito Santo dà la forza per fare le riforme».

Paolo Rodari, la Repubblica 20/6/2014