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 2014  giugno 20 Venerdì calendario

QUEGLI SPOT CONTRO LA DISOCCUPAZIONE MA DAVVERO COSÌ ATTIRERETE I GIOVANI?


Provare per credere! La prima sensazione che si prova vedendo uno spot di Garanzia Giovani (spiegheremo poi che cos’è) è quella di trovarsi di fronte a un imbonitore. Un Guido Angeli redivivo, un Walter Carboni, un Francesco Boni, un Roberto da Crema, uno di quegli eroi della tv del sommerso che volevano rifilarti mobili di compensato, croste da appendere in salotto, pozioni contro il capitalismo della ciccia, contro il plusvalore della cellulite.
Il fatto è che qui si offre lavoro. Garanzia Giovani (Youth Guarantee) è il Piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile. Con questo obiettivo sono stati previsti dei finanziamenti per i Paesi membri con tassi di disoccupazione superiori al 25%, che saranno investiti in politiche attive di orientamento, istruzione, formazione e inserimento al lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un’attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo (Neet - Not in Education, Employment or Training).
Quel che lascia perplessi in questo Piano europeo è la qualità della comunicazione. Nello spot più istituzionale si vede un manager che vuole offrire ai giovani che non studiano e non lavorano un mestiere, un tirocinio, un apprendistato: «È un’occasione per noi imprese per formare professionisti ed essere più competitivi». Provare per credere, appunto. La campagna è promossa dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e dalle Regioni. Basta andare su Youtube per vedere un’antologia di questi spot, alcuni dei quali realizzati «in crowdsourcing» (la collaborazione a un progetto tra più utenti via Internet). In questi casi non si pretende l’eccellenza perché il messaggio ultimo è proprio quello della partecipazione, dell’afferrare un’opportunità di lavoro. Ma quelli pubblicati sul sito di Garanzia Giovani sono di rara modestia, poco più che un tutorial, una lezioncina online. Comunicano rassegnazione, precarietà, angustia; sembrano rivolgersi a speranzosi giovani degli anni 60. Lavorare bisogna, è più importante la cosa della sua parvenza, ma immaginare il futuro così sa già di rimpianto.