Elvira Serra, Corriere della Sera 20/6/2014, 20 giugno 2014
«VEDOVA A 38 ANNI CON SEI FIGLI DA ALLORA OGNI GIORNO IN AZIENDA»
DALLA NOSTRA INVIATA FIRENZE — Signora, teme la morte? «No. Semmai ho paura di soffrire, il dolore non mi piace». Prega? «Oh sì, molto. C’è un Dio sempre intorno a noi, onde invisibili che ci circondano. Lo ringrazio per quello che mi ha dato, gli chiedo di proteggermi e di migliorare le intenzioni della gente, di rivolgere la mente delle persone ad aiutare gli altri». E non parla mai con suo marito? «No, lui è fisso nel mio cuore, non devo cercarlo altrove».
Un’ombra di rossetto, l’abito color zaffiro, una sontuosa collana di perle che ha commissionato lei stessa a due artigiani fiorentini di Borgo San Jacopo; Wanda Ferragamo non si sottrae a nessuna domanda nella sala affrescata di Palazzo Spini Feroni dove ci incontriamo. È presidente onorario della Salvatore Ferragamo Spa e le è appena stato assegnato il Premio Marisa Bellisario per la Carriera. Amabile e schietta, non dimostra affatto i suoi 92 anni e a ogni risposta rivela quelle formidabili determinazione, dedizione e passione con le quali nel 1960, alla scomparsa del marito, prese in mano le redini dell’impresa da lui fondata nel 1928: un tributo d’amore e riconoscenza, coronato il 29 giugno del 2011 con la quotazione in Borsa e, l’anno scorso, con la crescita dei ricavi del 9% e un utile netto del Gruppo di +43 per cento rispetto al 2012.
«Non è stato facile, sa?», ricorda con malinconia, ma senza rimpianti. «Sono rimasta vedova a 38 anni, l’ultimo nato aveva due anni. La sera era il momento più triste, quando tornavo a casa, ma il lavoro mi appassionava ogni giorno di più. Sono stata aiutata parecchio, lo riconosco. Anzitutto in casa: avevo la cuoca, il cameriere, il guardarobiere, una tata e a un certo punto addirittura due, una per i più piccoli e una per i più grandi. In azienda devo essere grata alla signora Marisa Balestrieri, la ragioniera: era bravissima, intelligente e molto tecnica, fantastica con la contabilità. Ho imparato tanto da lei: ero attentissima alle entrate e alle uscite, controllavo tutto con quattro occhi».
In certi momenti la mancanza di un uomo al suo fianco era forte. «Non lo dico per i miei figli, la figura paterna non era necessaria, c’ero già io che facevo da papà e da mamma», spiega muovendo in modo spiccio la mano a destra e a sinistra. «Più che altro avrei voluto una persona che mi prendesse la mano e dicesse: sono qui, non ti preoccupare. Ma era difficile scegliere, avrei dovuto trovare qualcuno davvero interessato a me e io non incoraggiavo nessuno».
Salvatore Ferragamo è una presenza viva, negli aneddoti, numerosi e dettagliatissimi, e nella tenacia con cui la moglie pesca i ricordi e li mescola al presente. «In giardino abbiamo una parete bellissima ricoperta di bouganville, ora sono tutte fiorite. È il nostro orgoglio. Io e mio marito comprammo insieme una sessantina di piante e facemmo dei telai per coprirle. Sono le stesse di allora, che si sono rigenerate». Le parole di stima si sovrappongono a episodi buffi della vita in comune. «Era molto generoso, in questo lo aveva influenzato l’esperienza americana. Lo rimproveravo per le mance esagerate: dava dieci, quando si usava cinque. Allora una volta presi una piastrella da un negozietto con la scritta: “Non far male che è peccato. Non far bene che è sprecato”, e gliela feci trovare in bagno. Lui, per tutta risposta, cancellò con un pennarello i “non” e trasformò la seconda frase in: “Far bene anche se è sprecato”». E dopo averlo raccontato sgattaiola in un’altra stanza e ritorna mostrando la prova dell’episodio appena condiviso.
Tanta grinta non è una cortesia riservata agli ospiti. Wanda Ferragamo applica ogni giorno una delle sue massime: «Le persone hanno bisogno di noi e noi di loro. Sentirsi inutili non è bello». Quando la mattina arriva a Palazzo Spini Feroni, dopo aver fatto colazione a letto sfogliando Corriere della Sera e Nazione e aver dato istruzioni per la casa di San Domenico di Fiesole, prende sul serio il suo ruolo in azienda, tutt’altro che «onorario». «Mi occupo di tante cose e se vedo qualcosa che non va lo segnalo e faccio il putiferio del caso. Ogni tanto li strapazzo, ma mi conoscono e mi vogliono bene. L’ultima volta? L’altro ieri. Ho visto una scarpa da donna orribile e ho fermato la produzione. Guardi la bruttezza!», esclama dopo essere scomparsa e ricomparsa con una scarpa in cavallino con la zeppa di plexiglass. «Troppo aperta, troppo piena! Non so come mai, ma di sicuro questa non rispondeva al nome che rappresenta!».
Le giornate volano via e lei non è mai sola. «Vedo le mie amiche, andiamo al cinema o facciamo colazione insieme, e poi mi vengono a trovare spesso i miei figli e i miei nipoti. Incrocio le dita e ringrazio tutti i santi perché sono davvero dei ragazzi perbene, ed è questa la vera ricchezza. Non li ho mica viziati! Nelle nostre boutique paghiamo tutti, anche io: con lo sconto del 50 per cento, ma è giusto così».
Il suo cruccio sono i giovani abbandonati a se stessi. «Non è colpa loro se sono svogliati o violenti, nessuno gli insegna che soltanto imparando dagli altri e assimilando gli esempi positivi possono realizzarsi. Bisogna cominciare quando sono piccoli, dopo è troppo tardi».
L’ultima deviazione prima del commiato è nel suo studio, davanti a un libro con una scritta in inchiostro sbiadito e una bruciatura sul bordo. «Colpa di una candela. Questa dedica me la fece mio marito». Sono parole dolcissime, che riempiono lo spazio al di là del tempo. E si capisce il motivo della sosta finale: Wanda Ferragamo non avrebbe permesso che andassi via senza salutare il padrone di casa.