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 2014  giugno 20 Venerdì calendario

BOSSETTI: LA SERA IN CUI SPARÌ YARA ERO A CASA. IL GIP: POTEVA UCCIDERE ANCORA, RESTI IN CELLA

[Due articoli] –

BERGAMO.
Nel giorno in cui, per la prima volta, un giudice terzo conferma l‘impianto accusatorio della procura, trasformando il fermo chiesto dal pm in un’ordinanza di custodia cautelare, e inchioda Massimo Giuseppe Bossetti a quel 26 novembre 2010, quando Yara Gambirasio sparì nel nulla, il presunto killer ha tentato di difendersi su tutta la linea. «Yara non l’ho mai vita, né conosciuta. Dopo il delitto, ho incontrato il padre una volta sola, per motivi di lavoro», ha detto Bossetti, interrogato in carcere dal gip di Bergamo Ezia Maccora. «Con lui non ho mai parlato, ho capito che era il padre perché era uscito in tv, altrimenti non l’avrei riconosciuto». Anche alcuni suoi colleghi impegnati nel cantiere vicino a Brembate Sopra, assicurano di aver visto lavorare il padre della vittima col presunto assassino, proprio nei giorni in cui la ragazzina è scomparsa.
PERICOLO DI REITERAZIONE
Bossetti deve rimanere in carcere non perché può fuggire, ma perché può uccidere ancora, per la “gravità intrinseca del fatto” che ha commesso, “connotato da efferata violenza’. Nell’ordinanza che conferma il carcere, il gip scrive che la personalità dell’arrestato è “capace di azioni di tale ferocia, su una giovane ed inerme adolescente abbandonata in un campo incolto dove per le ferite ed ipotermia ha trovato la morte”. Il fermo non viene disposto perché “non si evince alcun elemento concreto e specifico dal quale desumere il pericolo di fuga”. Bossetti, infatti è “soggetto regolarmente residente in Italia” e “non si è allontanato dopo l’omicidio, avvenuto nel 2010”. Tantomeno durante le indagini: quando la madre, nel luglio 2010, si è sottoposta all’esame del Dna, o quando gli investigatori lo hanno sottoposto all’alcol test confrontare il suo profilo genetico col Dna dell’assassino.
RETICENTE
Per due volte, davanti al pm Letizia Ruggeri, il muratore di Mapello è sempre rimasto in silenzio. Ieri invece, nell’interrogatorio di garanzia ha parlato, negando tutto e tentando di spiegare perché non è lui l’assassino. Un atteggiamento giudicato “poco collaborativo” dagli inquirenti. Bossetti dice di non aver mai visto la ragazzina, e quando gli si contesta che il suo cellulare aveva agganciato la stessa cella di Mapello a cui si era agganciato quello di Yara, prima di rimanere inattivo per 14 ore, Bossetti dà una spiegazione molto semplice: “Il mio telefono era scarico, l’avevo messo in carica”’. La sera del delitto, è l’alibi dell’indagato, “ero a casa con la mia famiglia. Io sono totalmente innocente – ha detto più volte Bossetti, indagato per omicidio aggravato da crudeltà e sevizie -. Non c’entro niente con questa storia”.
LE TRACCE GENETICHE
Ma a incastrare Bossetti, a collocarlo sul luogo del delitto e sul corpo della vittima, sono le tracce organiche rinvenute sul corpo della ragazzina. Perché il suo Dna era sui leggins di Yara, isolato dai tecnici della Scientifica quando la ragazzina venne ritrovata cadavere, tre mesi dopo, in un campo di Chignolo d’Isola? «È una cosa assurda, non me lo so spiegare» è stata l’unica risposta di Bossetti. Quel Dna che ha fatto luce sul delitto e ha sconvolto la storia misteriosa di due famiglie - quella di Giovanni Bossetti, il marito di Ester Arzuffi, e quella di Giuseppe Guerinoni, il vero padre dell’indagato che avrebbe avuto un relazione con sua madre Ester - è per gli investigatori “una prova schiacciante”. «Sono rimasto sconvolto quando l’ho saputo», ha detto Massimo. Ieri è stato anche disposto l’esame del dna su Giovanni Bossetti, che non farà che confermare che per 44 anni ha allevato un figlio non suo.
LE INDAGINI NON SI FERMANO
Il provvedimento di ieri, notificato a Massimo Bossetti direttamente in carcere, è per gli inquirenti la migliore conferma del lavoro svolto finora. Ma per blindare ancor di più l’indagine, polizia e carabinieri continuano a ritmo serrato a scavare nella vita dell’uomo. Gli uomini che per quattro anni non hanno mai smesso di dare al caccia all’assassino di Yara, hanno partecipato a un vertice in procura. Insieme al pm, Letizia Ruggeri, e al questore di Bergamo, Fortunato Finolli, c’erano il capo dello Sco Raffaele Grassi, quello del Ros Mario Parente, il comandante provinciale dei carabinieri Antonio Bandiera. Poi le indagini sono ripartite dalla casa di via Piana di Sopra, a Mapello, dove fino all’arresto Bossetti viveva con la moglie, i tre figli e la suocera.
Dalla villetta gli uomini della Scientifica avevano già prelevato computer, arnesi da lavoro e taglierini. Ora altri oggetti sono stati portati via in due sacchettini, la struttura è stata posta sotto sequestro, e le forze dell’ordine hanno setacciato anche un vecchio deposito di famiglia, adiacente alla villetta, poi posta sotto sequestro. L’ultimo a entrarci, mercoledì, è stato Fabio, il fratellastro di Massimo. Di buon mattino, è entrato nell’appartamento dov’erano ancora rinchiusi i tre cani della famiglia. Sullo zerbino ha trovato una copia di un quotidiano con il volto del fratellastro in prima pagina. L’ha scaraventato lontano ed è andato via.

Sandro De Riccardis, la Repubblica 20/6/2014


NELLE VALLI DELL’OMERTÀ “FORSE ERA MEGLIO SE STAVAMO ZITTI” –

BERGAMO.
Ogni volta che la faccia di Giuseppe Guerinoni, l’autista di bus, compare dovunque, sugli schermi tv e sui quotidiani spalancati sui tavolini, c’è un autista, un suo amico, che soffre. Si chiama Antonio N., sta a Clusone. Ci si arriva di parola in parola, alla fine di un percorso che comincia nei bar di Mapello, il paese dove abita Massimo Giuseppe Bossetti, il figlio naturale di Guerinoni. È, come si sa, l’uomo in galera, quello che, come «Ignoto 1», i magistrati cercavano da tempo per incolparlo dell’assassinio della tredicenne Yara Gambirasio.
«T’è vist, il Guerinoni sta facendo parlare di sé molto più da morto che da vivo», se la ridono nel “bar dei cinesi”. Tra la valle Imagna e la Val Brembana, l’autista con il volto da attore noir è infatti l’unico che, in questa tragedia modernissima, dove la scienza più d’avanguardia si fonde con i segreti più oscuri, suscita scoppi di risate liberatorie: «Mi sa che quel lì avrà timbrato tante ragazze, in tutte le valli», scherzano ai tavolini davanti al municipio di Mapello. E Bossetti, il possibile assassino? «Qui ha lavorato quindici anni, sotto una ditta, ma non è che lo conoscevamo… Ha sposato la figlia di uno ricco, che aveva le gru, una bella ragazza, Marita, e lui non era di queste parti».
È da cinque anni, da quando il suocero ricco è morto, che Bossetti è andato ad abitare con la suocera, la signora Adalgisa, la madre di Marita. «Quando la suocera è andata in ospedale, due anni fa, era lui che chiedeva sempre come stava. L’Adalgisa me lo ripeteva, un genero perfetto», dicono all’Alimentari Nilla, un negozio centenario che sta a venti metri dalla grande casa con un giardino tranquillo, colorata di un giallo abbagliante. Era stata costruita dal padre di Marita, la moglie di Massimo: e qui ieri ci sono tornati i carabinieri, mettendo anche i sigilli. Questa mattina ci tornano i Ris: «Non si sa mai, l’indiziato può aver dimenticato qualche cosa, o non aver fatto in tempo a disfarsi di un oggetto».
Questa casa sta agli antipodi estetici della casa dei genitori di Bossetti, appena a quattro chilometri di distanza, a Terno d’Isola. È un comune “longobardo”, si legge sui cartelli, ma la modernità dei capannoni l’ha schiacciato tra due statali, è diventato un paese di pendolari, dove «nessuno conosce nessuno». Giallo, ma stinto, è anche l’intonaco del grande condominio dove viveva Ester Arzuffi, 67 anni, la donna del mistero, e dove hanno appena appeso un cancello: «Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare».
La finestra è al secondo piano, nemmeno un vaso. Tanto la casa era spoglia, tanto lei era «elegante, curatissima, una bella donna, mi parlava dei suoi nipotini, io le parlavo dei miei», dice la fotografa del paese. «Lei era una specie di capo di alcune badanti, un giro di donne che facevano perno su di lei», racconta un pensionato. Molti, per descriverla, dicono che ha «un sorriso sereno». Era lei, la Ester, che, spesso, «portava i soldi a casa, più lei del marito », dice un vicino, chiedendo l’anonimato. «Erano molti diversi, lei con le unghie perfette e la messa in piega, mentre lui, Giovanni Bossetti, il contrario, sempre a testa bassa, la faccia un po’ paonazza, s’è ammalato di diabete. Ho letto che ha gridato “Che vergogna”, ma sarà vero che non immaginava niente di niente?».
Non si può dare spazio alle volgarità che si sprigionano talvolta da questi paesini di super-lavoratori. Ma, accanto alle cattiverie, c’è stato anche qualcuno che non ha “chiacchierato”, ma ha deciso di rompere qualsiasi omertà e aiutare – ed eccome se li ha aiutati - gli investigatori. Bisogna prima passare da Parre, dove abita un altro autista di bus, quello più famoso, Vincenzo Bigoni. Era lui l’amico del playboy Guerinoni. Anzi, come ha raccontato la stessa Ester, smentendo però davanti ai magistrati qualsiasi rapporto sessuale, i due amici, Guerinoni e Bigoni, l’accompagnavano insieme «al lavoro, al mattino, in auto».
Lei, allora ventenne, s’era già sposata con Giovanni Bossetti e avrebbe avuto i gemelli, figli di Guerinoni, tre anni dopo. Bigoni, oltre un anno fa, però aveva taciuto di Ester. E ancora ieri dice al cronista: «Ma chi la conosce? Io parlavo di una ragazza di San Lorenzo di Rovetta, era stato Giuseppe a dirmi che l’aveva messa nei guai».
Ma da autista ad autista, di voce in voce, di bar in bar, ecco che si raggiunge Clusone, vicino alla pineta: «No, guardi, mio marito – dice una signora al telefono - non le parla, mio marito ha sofferto, era amico del Giuseppe, e collega. E gliel’avevo detto che rischiava di finire sui giornali, ma d’altra parte, in coscienza poteva star zitto?». Siamo lontano da Brembate di Sopra (casa di Yara), da Terno d’isola (Ester Arzuffi), da Mapello (Massimo Bossetti), e ancor lontano dai cruciali laboratori dell’università di Pavia. Ma è stato il signor Antonio N., quando scoppia il clamore sul Dna di Guerinoni, morto nel ’99, a farsi avanti. È lui che dice a un investigatore: «So che il Giuseppe andava con la Ester».
Ma quale Dna è stato fatto alla Ester Arzuffi, già nel 2012? È così che emerge – Repubblica ne ha parlato il primo giorno - un errore pazzesco, in una storia costellata di non poche sfortune, a cominciare dal fulmine che, nel lontano 2010, aveva messo ko le telecamere di Brembate di Sopra quando Yara era stata rapita. Era stato messo a confronto il Dna di “Ignoto 1” non con quello di Ester, ma con quello della stessa Yara. Un errore, però, rimediabile.
Anzi un errore fortunato, perché il materiale genetico al secondo tentativo approda nel laboratorio super specializzato di Carlo Previderè e Pierangela Grignani, genetisti dell’Università di Pavia. Previderè è di casa in Inghilterra, uno dei paesi più avanzati nella ricerca del Dna. È così che viene scoperta una caratteristica fondamentale del profilo genetico di “Ignoto 1”, un “allele” (un gene distintivo) molto raro, ed è di provenienza materna. Questo “allele” viene subito cercato nei tantissimi campioni femminili inviati al laboratorio. E viene trovato. Sulla provetta c’è scritto un nome e cognome: Ester Arzuffi, la bella ragazza diventata una bella nonna, che ha cambiato varie case, così carica di inconfessabili segreti che la vita le ributta in faccia nel modo peggiore, e non solo per lei.

Piero Colaprico, la Repubblica 20/6/2014