Riccardo Luna, la Repubblica 20/6/2014, 20 giugno 2014
“COSÌ HO INVENTATO LA PRIMA AUTOMOBILE DA STAMPARE IN 3D”
[Intervista a Michele Anoé] –
A settembre stampano la prima auto in 3D. Vuol dire che l’intera carrozzeria di una macchina uscirà come un unico pezzo da una stampante 3D. Non sarà un giocattolino. Sarà un’auto vera, teoricamente funzionante (con il motore elettrico di una Renault). Accadrà l’8 settembre, all’International Manufacturing Show di Chicago. Per scegliere il progetto c’è stata una gara mondiale. Hanno partecipato in più di duecento. E ha vinto un designer italiano. Ignoto alle cronache fino a qualche giorno fa. Si chiama Michele Anoé, ha 49 anni, è nato a Mestre ma vive a Torino da quando lavora. Ha sbaragliato la concorrenza internazionale nei ritagli di tempo, dice senza vantarsene: è un dato di fatto, ci ha provato e basta. C’era questa gara, indetta da Local Motors, una società che sta a Phoenix, in Arizona, diventata famosa qualche anno fa perché si è messa a realizzare automobili — a volte un po’ tamarre — progettate in crowdsourcing, con la collaborazione via internet di migliaia di persone. Un modello, la Rally Fighter, ha pure avuto un buon successo di mercato. Poi si sono buttati sulla moda del momento: la stampa 3D. Hanno fatto un accordo con un laboratorio di ricerca, l’Oak Ridge National Laboratory, si sono costruiti una stampante 3D su misura e hanno lanciato la gara mettendo in palio qualche migliaio di dollari ma soprattutto il fatto che il progetto vincente sarebbe stato effettivamente realizzato. E ha vinto la “Strati” di Michele Anoé, un duetto con una linea super aggressiva. Sembra un fumetto.
Dov’è l’innovazione?
«Il fatto che si proverà a fare tutto o quasi in un unico passaggio di stampa 3D. Per questo non ci sono porte, è tutto ridotto all’essenziale. Il processo sarà assieme addittivo — stampa 3D — e sottrattivo — con la fresatura di alcuni parti realizzata con la stessa macchina».
Quante ore ci vogliono a stampare un auto?
«Lo vedremo, ma credo un paio di giorni al massimo».
In quale materiale sarà fatto?
«Plastica rinforzata con fibre di carbonio o fibre di vetro».
Un anno fa è stata presentata un’altra auto stampata in 3D, Urbee, ma sembrava un giocattolino rispetto alla Strati.
«Loro hanno stampato in 3D quello che oggi si stampa in lamiera e plastica, con una nuova tecnologia bisogna fare cose diverse. Infatti Urbee2 sarà fatta come l’auto di Local Motors».
Ma che senso ha stampare una intera auto come un pezzo unico?
«Dal punto di vista industriale è una follia, perché se rompi un pezzo devi cambiare tutta la macchina. Ma siamo in una terra di frontiera. Se mettiamo assieme tante cose di questi giorni — l’auto che si guida da sola di Google, Elon Musk che libera tutti i brevetti della Tesla elettrica, e questa storia di Local Motors — vediamo l’auto che non c’è ancora. Il futuro arriva».
Come hai cominciato?
«Lavoravo con mio padre, a Mestre: aveva una concessionaria di macchine agricole. Montavo e smontavo biciclette in garage già da piccolo. Ci mettevamo dei carretti dietro e facevamo le gare. Avevo 11 anni».
Che studi hai fatto?
«Le scuole tutte iniziate e abbandonate: professionale meccanica, ragioneria. Poi nel 1990 ho vinto un concorso per disegnare “l’automobile europea”, e mi sono iscritto a una scuola di design di Torino, lo IAAD. Il pregio di quella scuola è che aveva molti insegnanti che venivano dal mondo Fiat. Infatti dopo qualche mese all’Aprilia sono stato assunto in Fiat dove sono rimasto quattro anni».
Adesso cosa fai?
«Collaboro con una società a Torino, InovoDesign: lavoriamo molto per Fiat e abbiamo formato decine di ragazzi. Ma vedere in quali condizioni lavorano i giovani designer italiani mi avvilisce».
Ma non eravamo la capital del design?
«Eravamo, appunto. In Germania un designer viene pagato il doppio, qui prende quanto un metalmeccanico e non ha garanzie contrattuali. E poi sta morendo Bertone, Italdesign di Giugiaro è dei tedeschi, Fiat ha chiuso molte collaborazioni. È un peccato vedere il declino. La forza di Torino che aveva mille carrozzerie, mille piccoli artigiani, sta svanendo. Come a Detroit. Vedo tante tavole rotonde dove se ne parla, ma il mondo del design italiano è distrutto, difficile ripartire dalle ceneri».
La tua vittoria potrebbe segnare una inversione di tendenza?
«No no. Bisognerebbe trovare quella killer app che ci faccia sfruttare l’energia e il talento del mondo degli inventori che il presidente degli Usa Obama ha appena celebrato ospitando una Maker Faire alla Casa Bianca. Non so perché in Italia non si riesca a fare. Eppure ci sarebbero tanti di quei talenti».
Riccardo Luna, la Repubblica 20/6/2014