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 2014  giugno 20 Venerdì calendario

CINQUE DOMANDE A «LO DIMOSTRA VIA POMA IL DNA NON DÀ CERTEZZE»

[Due articoli] –

Avvocato Silvia Gazzetti, il suo cliente Massimo Bossetti rimane in carcere. Si aspettava una decisione diversa?
«Avevo chiesto i domiciliari. Ma capisco che vi sia ancora bisogno di accertamenti».
Bossetti ha dato l’impressione di essere un uomo freddo e razionale. E’ cosi?
«Non è così freddo e distaccato come è stato descritto. E’ un uomo cui improvvisamente è crollato il mondo addosso. E’ un padre che ama tantissimo la sua famiglia. Soffre come chiunque altro e nel profondo ha pianto».
Per due volte si è rifiutato di rispondere al pm mentre ieri ha parlato. Perchè?
«La sua intenzione è sempre stata quella di parlare e la dimostrazione è che davanti al gip non si è sottratto ad alcuna domanda. Semplicemente, gli è cambiata la vita. Non è stata spavalderia. E non si vuole sottrarre alla giustizia».
Si dice che il Dna sia una prova insormontabile.
«Dipende, nel caso di via Poma non è stato così».
Omicidio volontario o preterintenzionale?
«Domanda da un milione di dollari. Diciamo che il caso va valutato molto bene. Credo che diventerà un caso di scuola per i risvolti che offrirà».

pao. col., La Stampa 20/6/2014


LO ZIO MATERNO NON LO DIFENDE: “SE HA DISTRUTTO TRE FAMIGLIE, PAGHI” –

Al quarto giorno, c’è un signore magro che apre la porta di casa. Ha gli occhi liquidi. Indossa un maglione marrone con il colletto alto. In soggiorno, la televisione è accesa sull’ennesimo telegiornale. «Non riesco più a mangiare e dormo malissimo», dice appoggiandosi al tavolo. Le labbra incominciano a tremare: «Voglio chiedere perdono in ginocchio alla famiglia di Yara. Sono sconvolto. Mi aggrappo all’1 per cento di possibilità che ci sia un errore nelle indagini. Spero che le accuse non siano vere. Ma se verranno confermate, mio nipote dovrà pagare per tutto il male che ha fatto. Ha distrutto tre famiglie».
Ennio Arzuffi è il fratello di Ester, la mamma del presunto assassino di Yara Gambirasio. Non si è mai allontanato da qui, dall’alta Val Seriana, dove tutto è incominciato quarantaquattro anni fa. «Non sapevo di quella relazione extraconiugale di mia sorella. Non conoscevo l’autista Giuseppe Guerinoni. Ester è più grande di me, andava a lavorare con la corriera. Ed era già sposata, quando è successo. Ricordo la festa per la nascita dei gemelli Massimo e Letizia: quella di mia sorella era una famiglia felice. Normale. Il suo segreto è rimasto custodito fino a ieri. Nulla faceva sospettare. Anche gli occhi azzurri dei gemelli sembravano normalissimi, visto che sono identici a quelli dei cugini». Qui lo zio si ferma, fa un lungo respiro. «Ma non mi importa dei pettegolezzi, di quello che dice la gente. Sono fatti privati, lontani nel tempo. L’unica cosa che conta è Yara. Io, come tutti, seguivo il caso sui giornali e alla televisione. Ero angosciato, povera bambina... L’altro giorno, mi telefona mia sorella dal mare. È stata lei a darmi la notizia. Sono morto. Lo giuro: morto. Giuseppe Massimo per noi era il più serio di tutti i nipoti. Un ottimo padre. Una brava persona. Non riesco a capire...».
Ennio Arzuffi racconta le origini della sua famiglia. Padre fuochista alle caldaie dell’ospedale di Groppino, madre casalinga con sei bambini da guardare. Abitavano alla frazione della Biciocca, in una cascina ora abbandonata. Lavoratori, gente semplice, di questa valle stretta e ventosa, dove si incastrano nuvoloni neri. Ci sono le fabbriche dei filati e gli scarpinocc, ravioli con formaggio e pan grattato. I bambini in bicicletta filano via sotto il diluvio in maglietta. E tutti si scambiano poche parole masticate in dialetto. Qui la signora Ester Arzuffi ha conosciuto l’autista Guerinoni. Da quell’incontro segreto è nato Massimo, il presunto assassino di Yara. Svelato grazie a un’indagine a ritroso, su 18 mila Dna della zona. Nessuno ha parlato in questa valle, tranne due persone. Questa è la novità. Non una, due. La prima è nota. Si chiama Luciano Bigoni, abita a Parre. Sta passando giorni difficili. Lui era amico e collega di Guerinoni. Ed è stato il primo autista a rompere il silenzio. Da giorni Bigoni vive barricato in casa, con il telefono staccato. Poca voglia di parlare ancora, ma poi si sfoga: «Quando ho saputo che il nome di Guerinoni era finito nelle indagini sul caso Yara, mi sono ricordato di quella vecchia storia che mi aveva confidato. Eravamo molto amici, non solo colleghi. Poteva essere fra il ‘65 e il ‘70. Aveva messo incinta una ragazza. Ecco cosa ho detto ai carabinieri, era giusto farlo. Ma non sapevo chi fosse. Non conoscevo Ester Arzuffi. Non mi ricordo di averla portata sul mio pullman, altrimenti lo avrei detto».
C’è, invece, un altro autista più informato. Si chiama Antonio N. Vive a Clusone, nella stessa valle. Anche lui ha sentito il bisogno di raccontare. È andato a parlare con un maresciallo dei carabinieri: «Guerinoni aveva una storia con Ester Arzuffi, sono sicuro. Me lo ha raccontato lui». La cosa impressionante è che il Dna della signora era già stato campionato e comparato, durante lo screening della zona, senza risultati significativi. Ma la confidenza raccontata dall’autista Antonio N. era troppo precisa, netta. Meritava una controprova. La seconda comparazione del Dna ha dato esito positivo. Inequivocabile, secondo gli investigatori. Dunque, la signora Ester Arzuffi è la madre biologica del presunto assassino, chiamato «Ignoto 1». C’era stato errore tecnico, ecco. Un errore scientifico. Anche da qui è passata la svolta delle indagini: da un tradimento consumato 44 anni fa in una valle chiusa, quasi fino all’ostilità. Da due autisti di corriera, amici di Guerinoni. Da un amore segreto, che così segreto in verità non era.

Niccolò Zancan, La Stampa 20/6/2014