Valeria Palermi, L’Espresso 20/6/2014, 20 giugno 2014
DRAGON LADIES
Agli occhi degli occidentali sono sempre le “dragon ladies”: donne dal fascino erotico e crudele. Creature splendide ma fatali, le cinesi: così le vuole lo stereotipo nato negli anni Trenta in America, quando le dark ladies asiatiche erano protagoniste di film d’avventura, romanzi, persino fumetti. Immagine così potente che è dura a morire: e del resto le star cinesi di oggi, da Meggie Cheung a Gong Li, a Ziyi Zhang, sono sempre creature che turbano per bellezza e mistero, con connotati a volte perfino magici. Che attraversino in volo foreste di pugnali volanti, siano “In the Mood for Love” o dominino da imperatrici sulla Città Proibita. Nella vita reale le dragon ladies d’oggi sono sicuramente meno letali che nel mito, ma di potere ne hanno anche di più. A partire, inevitabilmente, dalla Prima Signora della Cina, Peng Liyuan, che prima di diventare moglie del presidente Xi Jinping era comunque già famosa come soprano e star televisiva. Oggi, in ogni viaggio all’estero della coppia presidenziale, sottrae al marito i flash dei fotografi: è il volto cool della Cina contemporanea, l’emblema del suo studiatissimo soft power. Ogni sua mossa viene spiata e rilanciata dai siti e dai blogger di tutto il mondo, e Peng Liyuan contende a Michelle Obama la palma di più influente fashion icon del mondo. La “peonia fatata” (è uno dei suoi soprannomi), ha tra i suoi molti compiti quello di svecchiare l’immagine del Partito e dare appeal al suo paese. Proveniente da una famiglia perseguitata durante la Rivoluzione Culturale, nel 1980 entrò in ogni caso nell’Esercito Popolare di Liberazione come “guerriero delle arti e della cultura” e ne mantiene tuttora il grado di general maggiore. 51 anni, ha sposato Xi Jinping nel 1987, oggi è “good will ambassador” per l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma per molti media è soprattutto l’ambasciatrice di un nuovo charme cinese, spesso affidato alla sua stilista preferita, Ma Ke. Il cui brand si chiama “Wuyong”, alla lettera “inutile”: la spiegazione è che quello che spesso riteniamo inutile, in un mondo sempre più consumista e “deviato dal materialismo occidentale”, può invece rappresentare i più profondi valori di domani.
Molto dovrebbe piacere, alla First Lady cinese, la donna a capo dell’operazione che ha portato Krizia in mani cinesi. Si chiama Zhu Chongyun, 50 anni che si scambiano facilmente per 35, è un’ingegnere, ma la passione per la moda l’ha portata su un’altra strada: ha fondato nel ‘93 la Shenzen Marisfrolg Fashion Co Ltd (400 negozi e 4mila dipendenti, crescita annua del 30%, sales standing annuale pari a 2,56 miliardi di RMB), nel 2013 il brand sofisticato che porta il suo nome, “Zhuchongyun” appunto, e oggi è diventata Presidente del Board e Direttore creativo della casa di moda Krizia. «Da ingegnere ho un approccio scientifico al business della moda, soprattutto quando mi occupo del management», racconta di passaggio a Milano all’Espresso: «Mentre quando disegno lascio che prevalga la mia parte più emozionale. Essere il proprio boss non è sempre facile, ma è anche il modo migliore per fare le cose esattamente come si vuole. La mia idea di brand di successo? Creare desiderio di qualcosa di cui il consumatore non sia ancora consapevole. Io disegno pensando a donne carismatiche, forti, di carattere. La moda per me è equilibrio, armonia, coerenza: ogni dettaglio deve essere necessario, niente deve apparire per caso». Krizia, assicura l’imprenditrice, resterà molto italiana, fedele al suo Dna e prodotta in Italia: «Per prima cosa rilancerò il flagship store di Milano, subito dopo ne aprirò diversi in Cina, nel frattempo lavorerò con store multibrand e concept in Italia per rilanciare adeguatamente il marchio. Tempo tre anni, quando il team sarà definitivamente maturo e organizzato, ricomincerò a promuovere seriamente il brand di nuovo in Europa e probabilmente in America. Intendo setacciare gli archivi, la nostra reinterpretazione sarà sempre basata sugli elementi originari del marchio. Che ho acquistato per almeno tre buoni motivi: uno, mi dà l’occasione di lavorare in Italia, paese che adoro; due, ha una storia che ammiro; tre, il mio stile ha molto in comune con quello di Mariuccia Mandelli. C’è un’estetica condivisa. Krizia è stata moderna e carismatica, ha raccontato donne indipendenti, assertive, con un loro mondo e con le loro idee».
Prima nuova collezione prevista per le sfilate milanesi del febbraio 2015, Zhu Chongyun dividerà la sua vita tra Shenzen, dove proseguono i lavori del prossimo superbo quartier generale disegnato dal pool neozelandese di architetti van Brandenburg e da dove continuerà a seguire i suoi marchi, e Milano. In futuro potrebbe anche pensare a una linea Krizia Uomo: «Con calma, però. Gli uomini cinesi sono ottimi consumatori e il loro mercato è potenzialmente straordinario, ma va ancora educato. Io nella moda non cerco solo alta qualità, ma qualità artistica».
La donna che sta educando i cinesi alla moda esiste già, e si chiama Angelica Cheung, direttore di “Vogue China”. La Franca Sozzani, l’Anna Wintour dell’Impero di Mezzo. È lei che sta formando al gusto il mercato del lusso più imponente del mondo. Se “Il Diavolo veste Prada” fosse girato oggi, forse sullo sfondo vedremmo i grattacieli di Pudong invece che quelli di Times Square. Avvocato, un Mba, nata negli anni Sessanta, in un’intervista a “The Business of Fashion” ha ricordato la nonna che negli anni più duri della Rivoluzione Culturale, presa dal panico durante una ispezione della casa, gettò nella toilette i gioielli di famiglia. La nipote detta oggi ai fotografi più famosi del fashion system internazionale quale stile raccontare, quale Cina rappresentare, quali donne imporre. “Vogue China” sta educando la Cina al mondo, e il mondo alla Cina. Sta imponendo un’estetica e un punto di vista. «La Cina è grande, e noi abbiamo bisogno di un giornale che rifletta questo enorme mercato e il suo significato nel mondo, e gli tributi il rispetto che merita», chiosa lei. «Certo, voglio che questo sia una rivista moderna e internazionale, ovvio. Ma allo stesso tempo, il mio lavoro è assicurarmi che si rispetti la cultura cinese. Nessuna foto può permettersi di ignorare cinquemila anni di storia».
Personaggio tutto diverso, ma di altrettanto potere, è Margaret Chan. Compare regolarmente nelle varie classifiche sulle donne cinesi più potenti di oggi (nella più recente, estrapolata dalla Forbes’ World’s 100 Most Powerful Women, è al numero 1) e pour cause: è Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nata ad Hong Kong nel 1947, ha l’aria, nelle foto ufficiali, compassata e discreta, e l’aspetto sobrio di una insegnante severa ma giusta. Ma è ritenuta donna di grandissimo polso, che dà un contenuto estremamente attivo al suo ruolo. Che occupa dal 2006: il secondo mandato le è stato confermato nel 2012 proprio grazie alle sue ottime performance.
Una ribelle è invece Li Na: star del tennis, icona globale dello sport, e soprattutto per milioni di giovani cinesi un simbolo confortante di indipendenza e libertà. A 32 anni sta giocando il tennis migliore della sua vita, a gennaio ha vinto il suo secondo Grande Slam agli Australian Open, è totalmente a suo agio sulla scena intenazionale, ed è la seconda atleta donna più pagata della storia, subito dopo Maria Sharapova. Ma fa notizia ancor di più per il rapporto scontroso che ha con l’ortodossia politica del suo paese: è figlia di una nuova generazione individualista e competitiva, che mal sopporta di riportare ogni suo successo nell’alveo del più generale trionfo della Cina. Così sulla stampa cinese è insieme motivo di orgoglio nazionale per i successi sportivi ma anche spina nel fianco per palese mancanza di patriottismo. Però Li Na ha 22milioni e mezzo di follower sui social media cinesi, il doppio di qualsiasi atleta statunitense, e con queste cifre bisogna farsela andar bene. Li Na rappresenta in ogni caso il nuovo Sogno Cinese, le sue ambizioni e la sua impazienza.