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 2014  giugno 20 Venerdì calendario

MA QUALI CAFONI? PER IL FORTE I RUSSI RESTANO UNA GARANZIA


Forte dei marmi (Lucca). L’accoglienza è una scienza esatta. «L’autista mi avverte quando sono a mezz’ora dalla destinazione e io faccio togliere la torta al cioccolato dal frigo» dice con orgoglio Cristiano Pugnana, lunghi capelli biondi, occhi azzurri e una T-shirt Just Cavalli . L’inserviente la depositerà dentro a una cassetta di legno che ospita già una selezione di vini e salumi toscani e un benvenuto in cirillico. «È un’attenzione che apprezzano molto» dice, nella saletta iper-refrigerata del Royal Forte, l’agenzia immobiliare per ultraricchi, preferibilmente ex sovietici, che gestisce con la moglie Irina. Attenzione dovuta, dal momento che l’affitto di una villa per l’estate va dai 300 mila euro in su, «utenze escluse, perché se uno fa dieci docce al giorno paga di più di uno che ne fa una sola». Questo non è un paese per forfait.
Se gli chiedi che impressione gli ha fatto lo spot di un noto albergatore per insegnare il bon ton ai moscoviti, sibila solo «insensato». Tutta la città ne parla. Tre minuti surreali in cui Salvatore Madonna, titolare dell’Hotel Byron e Ludmilla Radchenko, che l’agenzia di comunicazione Klaus Davi promuove «top model», duettano in una sorta di decalogo a uso dei nuovi ottentotti. «Quando entrate in un albergo la prima regola è salutare, sorridere e guardare negli occhi chi vi sta davanti» dice la bella ragazza bionda. Gli altri suggerimenti non richiesti sono variazioni sul tema dell’importanza di un sorriso ben assestato. Lo scopo dichiarato è «conoscerci meglio per accogliervi meglio». Ma chiunque qui ha tradotto «siete ricchi ma zotici, vi insegniamo a stare al mondo». Madonna, camicia monogrammata e un tatuaggio che sbuca dal mocassino di pelle umana, nega: «Sono due giorni che rispondo a mail di russi. Non sapevo che fossero più permalosi dei siciliani. Era solo una maniera leggera di favorire la reciproca comprensione». Nonostante quel che dice su YouTube, lui clienti russi non ne ha. Gli è capitato in passato che pretendessero la suite, offrendo di pagare il triplo, ma giura di non aver ceduto. Non ha neanche tradotto il menu del suo ristorante stellato Michelin («Non faccio distinzioni», però in inglese c’è). Si cruccia che il Forte «perda tanti turisti italiani». A occhio sembra un adepto della religione warholiana dei 15 minuti di celebrità perché è impossibile che non capisca che dire «il cappuccino non si beve se non a colazione» è trattare potenziali clienti a pesci in faccia. Come gli scampi crudi, di cui i russi fanno incetta. «A 36 euro al piatto» racconta Piero Petrucci, il cui ristorante La Barca è un’istituzione, «vanno via come il pane. Ma anche il caciucco, ravioli al tartufo e zuppe di molluschi». La sua lista dei vini ha una zona Bordeaux, off limits per tutti tranne che per loro, con Chateau Latour del ‘97 a 900 euro. «Dieci-quindici anni fa, con la prime ondate, ne vendevamo di più. Adesso ne stapperò cinque a stagione». Differenze con i clienti italiani? Prenotano tavoli grandi, da 10-12 persone. Hanno bimbi più scatenati. Ma vengono anche tre volte alla settimana che, «a una media di 250 euro per una mamma e due figli piccoli», è una fetta cruciale del pubblico, ovvero il 30-40 per cento, che significa però una percentuale più alta del fatturato.
«Diciamo che, a parità di persone, spendono dal 50 per cento al doppio degli italiani» confessa David Vaiani, titolare del Bistrot, altra stella Michelin sul lungomare, diventato un mito locale per aver negato un tavolo al magnate Roman Abramovich («In verità il mio collaboratore non aveva capito chi fosse»). Ma il «paese dei Balocchi», quando ordinavano il quadruplo di quanto riuscivano a mangiare, o lasciavano mance da 500 euro, è finito. Quanto alle usanze, giusto una volta è intervenuto per sedare un brindisi con troppi bicchieri infranti. Riguardo ai vini abbinati male, malattia infantile di tanti stranieri, quando gli americani pretendevano il cestello del ghiaccio per il Sassicaia nessuno lanciava videoappelli.
«La verità è che ex comunisti arrivassero qui, e con più soldi di noi, non ce l’aspettavamo proprio!» è l’analisi sociologica di un importante imprenditore edile. Se in questi anni terribili lui ha retto («pur con un calo del 25 per cento nei prezzi di vendita dal 2008») è grazie ai russi. «Sei su nove delle nostre ultime ville da 300 metri quadrati in su, con giardino e piscina a partire da 3 milioni di euro, le abbiamo vendute a loro». Per la sua esperienza, dipingerli come incolti è una macchietta. «Si tratta di immobiliaristi o finanzieri che vivono a Londra, mandano i figli a studiare negli Stati Uniti e decidono di comprare qui, oltre che per la bellezza dei luoghi, per aver letto sugli Outlook di Standard&Poor che dal 2015 l’Italia tornerà a crescere. E i loro investimenti si apprezzeranno».
La domanda seria non è se i russi conoscano il galateo, ma se la «Perla del Tirreno» stia perdendo splendore a causa loro. Chi se l’è posta prima e meglio di tutti è Fabio Genovesi in Morte dei Marmi (Laterza). Il suo libro spassosissimo dava conto di scontri di civiltà per uno champagne sotto l’ombrellone o per un tamponamento ricompensato con quattromila euro cash . «L’errore iniziale è stato di vendergli tutto senza davvero accoglierli, anzi senza voler avere niente a che fare con loro» mi spiega davanti a un piatto di spaghetti con le arselle, «e così il Forte si è riempito di nuove ville e negozi Prada e svuotato di fortemarmini. Perché in un ristorante dieci russi possono anche fare come cento “locali”, ma all’edicola o al supermercato no». Il sindaco Umberto Buratti non sembra preoccupato: «Le ville comprate dai russi non erano già più di gente di qui, ma dei milanesi o di altri turisti facoltosi. O costruite ex novo. Il turismo di élite è sempre stato la nostra vocazione e ha fatto la ricchezza di un borgo di nove chilometri quadrati, con 8000 anime, in cui il 60 per cento delle abitazioni sono seconde case».
Un censimento dei russi non esiste. Si parla di 500 famiglie a stagione. L’ultima leva è quella degli ucraini. C’è chi dice che i veri oligarchi ora preferiscano la Costa Azzurra. Cristina Vascellari, occhi oltremarini, manager dell’hotel Principe, di proprietà russa, 28 stanze («a partire da 1000 euro a notte») per 120 dipendenti, non vede emorragie: «Sono prevalentemente famiglie. Lusso per loro è serenità». Concorda il biondo Pugnana, della Royal Forte: «Vengono per la gioia di andare al mare in bici senza che nessuno li infastidisca. E con la sicurezza che se chiamano nel cuore della notte dicendo vrach io gli mando un medico in 15 minuti. Idem se serve una batteria alla Bentley. Li dobbiamo trattare bene, sempre meglio. Altrimenti una bella lezione ce la danno loro». Saint-Tropez già si frega le mani.