Sergio Romano, Corriere della Sera 20/6/2014, 20 giugno 2014
È MEGLIO CAMBIARE IL SENATO O PIÙ SEMPLICEMENTE ABOLIRLO?
Non le pare che la soluzione più corretta e chiara per attuare un coerente monocameralismo sia abolire — cancellare, rottamare se si preferisce — una delle due camere? Nella fattispecie, come si è sostenuto di tanto in tanto anche da parte di certe aree della sinistra, si tratterebbe di fare a meno del senato. Non capisco perché un leader pervaso da salutare febbre innovatrice abbia scatenato uno strambo concorso di idee per inventare un senato nuovo non rispondente ad alcuna necessità. È inoltre del tutto incongruo che l’iniziativa in materia di riforme costituzionali sia promossa e coordinata da un governo. Rammento la sua proposta — che avemmo occasione di discutere anni addietro nella cornice di un festival dell’unità — di dar vita per via elettorale a una costituente in grado di affrontare con coerenza problemi di revisione non frammentabili in una fantasiosa ispirata all’estetica del post-moderno. Nella natura stessa del senato — perfino nella parola — si annida la convinzione che occorra una camera «alta» di saggi e anziani, o aristocratici staccati dalle cure del mondo, preposti ad arginare o correggere gli impeti della camera bassa. Anche per questo sarebbe preferibile avere una sola camera. Il bello che è una tale amputazione fu già inscritta nella prospettiva delineata dal centro di riforma dello stato voluto dal pci, fecondo di idee buone e irrealizzate. Il presidente pietro ingrao in persona — in un’intervista a l’espresso del 23 febbraio 1986 — perorò la causa: «perché non andare — si chiese — a una delle riforme “più decisioniste” che si possono dare oggi: e cioè a una camera unica?».
Roberto Barzanti
Siena
Caro Barzanti,
Dopo avere ricevuto la sua lettera ho appreso dal corriere del 14 giugno che anche enrico berlinguer, secondo emanuele macaluso, era favorevole al sistema monocamerale. Lo avrebbe detto, in particolare, nella sua relazione al xvi congresso del pci che si svolse a milano nel marzo del 1983. Ma stefano folli, sul sole 24 ore del 13 giugno, ci ha ricordato che abbiamo assistito recentemente a un curioso paradosso. Quando un emendamento sulla responsabilità civile dei giudici è stato approvato da una commissione della camera, cogliendo il governo di sorpresa, la maggioranza ha tranquillizzato i magistrati dicendo che la svista sarebbe stata corretta al senato. Quale che sia il nostro giudizio su quell’emendamento, siamo davvero certi che la democrazia non abbia bisogno di un luogo in cui i problemi, dopo un primo voto della camera (spesso dettato dalle emozioni del momento), possono essere affrontati a mente fredda e con maggiore distacco?
Credo che il vero problema stia nella mancanza di un dibattito nazionale sulle competenze di un diverso senato. Vi è un diffuso accordo sull’opportunità di evitare che voti la fiducia al governo, ma non mi sembra che agli italiani sia stato detto con chiarezza quali dovrebbero esserne le funzioni. Se le competenze regionali non bastano a giustificarne l’esistenza, come lei sostiene, perché non indicare espressamente le materie che dovranno essere trattate con un doppio voto?
Sull’utilità di un’assemblea costituente, caro barzanti, non ho cambiato idea. Ma quella proposta, quando fu suggerita, venne sempre azzoppata dal silenzio e dall’indifferenza. Oggi, d’altro canto, abbiamo un primo ministro per cui la costituzione non è un mostro sacro. La proposta di una costituente in questo momento sembrerebbe a molti un diversivo per rinviare ancora una volta il momento delle riforme.