Filippo Ceccarelli, la Repubblica 20/6/2014, 20 giugno 2014
LA POLVERIZZAZIONE DELLA SINISTRA-VIRUS
I grandi animali come il leone non fanno più paura a nessuno — faceva dire Corrado Guzzanti al suo irresistibile Bertinotti qualche anno fa —. Spaventano invece i virus, microrganismi che non si possono neanche vedere. E allora, compagni, noi dobbiamo continuare a scinderci sempre di più».
«Dobbiamo creare migliaia e migliaia di minuscoli partitini comunisti indistinguibili gli uno dagli altri che cambino di continuo nome e forma, nome e forma, nome e forma...» Questo proponeva dunque il Bertinotti di Guzzanti. Ma forse non è un caso che per affrontare l’estrema e presente crisi della sinistra radicale, Sel e dintorni, ci si debba rifare alla commedia grottesca, sia pure nella sua più profetica accezione.
Perché Bertinotti non c’entra più, ma da quelle parti è esattamente quello che sta accadendo. La polverizzazione, l’irrilevanza, il vuoto di qualsiasi consapevolezza sull’effetto che tutto questo girare a vuoto trasmette all’opinione pubblica — ed è un peccato, anche grave.
Non che prima, un anno, un anno e mezzo fa, fosse tutto così chiaro. Ma da un po’ non si capisce davvero più nulla: né chi, né come, né dove, né soprattutto perché. Risulta faticoso, per non dire defatigante, anche solo affacciarsi sul dibattito in corso.
Debbono entrarci quelle che un tempo si definivano «alleanze». Nel gennaio scorso, al congresso di Rimini, Renzi non venne: la platea di Sel subissò di fischi il povero emissario del Pd, Bonaccini, mentre sui maxischermi scorreva un’elementare considerazione: «Un’altra occasione persa». Adesso quasi la metà dei parlamentari ha l’aria di aver cambiato giudizio sul premier e sul suo governo.
Gli impicci con la lista Tsipras, non proprio edificanti, risalgono a un paio di settimane orsono. L’infezione della discordia è notoriamente contagiosissima, per cui nemmeno i potenziali separatisti sono d’accordo tra loro. E tuttavia mai come in questo caso il virus — anticipatorio, satirico o post-bertinottiano che dir si voglia — sembra dispiegarsi a scapito non solo della ragionevolezza, ma della stessa ragion d’essere di Sinistra e libertà.
Renzi infatti non è comunista, forse perciò ha preso voti al centro e a destra, e in più continua strenuamente a tenersi buono Berlusconi. Nel gioco dei pieni e dei vuoti che di norma regola la politica si aprirebbe dunque un’autostrada, una pista d’aeroporto, o una prateria. E invece, o forse proprio per questo, per Sel si fa notte prima che faccia sera e il suo gruppo dirigente, come d’istinto, va a infilarsi nel classico ginepraio fitto di spine.
Per forza di cose i protagonisti, senza troppo personalizzare, hanno volti e modi e linguaggi da talk-show e a volte, specie di primo mattino o a notte fonda, si rischia colpevolmente di confonderli. Difendono o almeno presidiano un’area di valori e credenze che di sicuro esiste nella società, però è anche molto forte la tentazione di chiedersi quanto veramente incidono gli eletti nella realtà e nella vita dei loro stessi elettori e spettatori; e se non stiano lì, in Parlamento e nei salottini televisivi, un po’ per inerzia, o per abitudine, o per pigrizia, o per mestiere, o per virtù di quelle clausole di sbarramento che tanto li appassionano; o se, addirittura, non siano inutili. L’inutile Sel.
D’accordo, la parola suona sferzante — e tanto più nel momento in cui la fila per salire sul carro impennacchiato del giovane vincitore sembra superare, come spesso in Italia, ogni decenza. Ma mentre andava svolgendosi la titanomachia fra gli onorevoli Fratoianni e Migliore, si è consumata anche l’autorità, oltre che la leadership di Nichi Vendola.
Il carisma infatti non è dato per sempre e ogni stagione ha il suo termine. Comprenderlo, purtroppo, è quasi impossibile. Ma concentrarsi sul proprio originario impegno, cioè restare il più possibile in Puglia, amministrare, trovare umili soluzioni di governo e quindi rinunciare alle luci del proscenio, ecco, tutto questo allunga il tempo del comando e riduce di parecchio i rischi.
Le telefonate vere (Ilva). Le telefonate fasulle (almeno tre casi nell’ultimo anno). Ma Vendola sta sempre a Roma, e sta sempre in tv, e alla radio, e in foto sui manifesti, e con le strisce arcobaleno sulla faccia, e con il compagno, e inaugura e brinda alla nuova sede davanti ai suoi ritratti, e per forza di cose sempre più è condannato a esprimersi per fumisterie, contorsionismi, suggestioni.
L’altro giorno, alla ricerca di animali totemici, ha detto: «Forse potremmo essere un’anguilla». Il Bertinotti di Guzzanti puntava ai piccoli roditori.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 20/6/2014