Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Non è difficile immaginare i titoli dei quotidiani di stamattina: «Monti minaccia le dimissioni» oppure «Non sono Andreotti» o anche «Non punto alla durata ma a fare un buon lavoro». Il tema è sempre quello della riforma del mercato del lavoro.
• Ma non era andato in Asia?
Sì, in Corea, Giappone e Cina. Con l’intento di convincere gli orientali a investire in Italia, dato che oggi l’Italia sarebbe un paese diverso da quello di pochi mesi fa grazie alla riforma delle pensioni, alle liberalizzaioni e a questa riforma del mercato del lavoro che però è di là da venire, visto che lo strumento scelto per vararla è il normale disegno di legge, lunghissimo da approvare. Monti era in aereo da Astana a Seul e ha rilasciato ai giornalisti in volo con lui questa dichiarazione: «La riforma del lavoro è equa e incisiva, il Parlamento è sovrano, cercheremo tuttavia di avere un risultato finale, in tempi non troppo lunghi, il più vicino possibile al testo varato dal consiglio dei ministri. Sento il peso di decisioni non facili, dettate dal fatto che la situazione dell’Italia resta nonostante tutto piuttosto grave. Abbiamo cercato di essere equi nel distribuire i sacrifici. Non abbiamo mai potuto, dal 16 novembre in qua, evitare di prendere decisioni difficili. Non ci si può illudere che l’Italia ricominci a crescere dall’oggi al domani dopo qualche decennio gestito, diciamo così, in modo non ottimale. E però io non punto alla durata, ma a fare un buon lavoro, un lavoro nell’interesse generale. Un illustrissimo uomo politico (Andreotti – ndr) diceva: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Per noi nessuna delle due espressioni vale perché l’obiettivo è molto più ambizioso della durata ed è fare un buon lavoro. Se il Paese – questo è il passaggio culminante della dichiarazione –, attraverso le sue forze sociali e politiche, non si sente propnto a quello che secondo noi è un buon lavoro non chiederemo certo di continuare per arrivare a una certa data».
• Non è un po’ duro? Che idea ci dobbiamo fare?
Bersani ha risposto che Monti ha espresso questi concetti almeno una ventina di volte: non sarebbe dunque il caso di dar troppo peso alle sue parole. Sarà, ma in pubblico non gliele abbiamo sentite dire tanto spesso.
• Che accadrebbe se il governo si dimettesse?
È abbastanza facile da prevedere. Si andrebbe alle elezioni e l’Udc, cioè Casini, si proclamerebbe campione del montismo, chiedendo agli elettori di votare per la rimessa in trono dell’attuale governo. Ho l’impressione che il Pdl, cioè Berlusconi, starebbe sostanzialmente al gioco, specie se le dimissioni venissero presentate sul tema della riforma del lavoro e cioè in rotta di collisione con la Cgil. Ipotizzo invece che il Pd andrebbe in pezzi perché l’asse Letta-Veltroni starebbe con Monti e il combinato Bindi-Vendola no. Non so dire Bersani personalmente che farebbe. Ma, badi bene, stiamo scherzando. L’ipotesi “caduta del governo” è molto remota.
• Perché?
Intanto il Pd, che ha riunito ieri la direzione, ha approvato all’unanimità la relazione di Bersani, che dice sostanzialmente due cose: il governo va sostenuto; la riforma del lavoro va cambiata. Da venerdì a oggi i partiti hanno generalmente ammorbidito le loro posizioni: si tratta in definitiva di mettere nelle mani del giudice anche i licenziamenti di natura economica, evento che anche l’Udc adesso giudica non impossibile, e questo solo passaggio basterebbe – a quanto capisco – a metter tutti d’accordo (a parte la sinistra Cgil). Anche la Camusso ha prudentemente annunciato il suo sciopero per la fine di maggio, cioè non c’è fretta di far vedere quanto il padrone è cattivo. Per tutto questo schieramento la nomina di Squinzi, al posto del marchionniano Bombassei, al vertice di Confindustria è una consolazione: la concertazione forse non è morta del tutto. Resta poi la probabilità – che giudico altissima – che la riforma affondi nelle sabbie mobili parlamentari, cioè che alla fine non se ne faccia niente e che le arrabbiature di questi giorni si rivelino puro teatro, o accademia, come è accaduto tante volte in passato. In questo caso Monti, checché ne dica, se non facesse la crisi mostrerebbe d’essere più simila ad Andreotti di quanto pretende.
• Gli umori del paese intorno al premier sono sempre quelli di prima ?Che dicono i sondaggisti?
Il nostro sondaggista preferito – cioè Renato Mannheimer – dice che dal 50-60% di approvazione variamente rilevato nei mesi scorsi, il consenso nei confronti dell’azione dell’esecutivo è adesso precipitato al 44%. In sostanza alla maggioranza degli italiani la riforma Monti-Fornero non piace: il giudizio è negativo per il 67%, cioè per due italiani su tre. Non è poco, eppure siamo sicuri che Monti non ne terrà alcun conto.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 27 marzo 2012]